venerdì 24 settembre 2010

USO ED ABUSO DEL DECRETO LEGGE

Alcune settimane fa, in quello che, nel nostro paese, viene talora definito il “teatrino della politica”, si è polemizzato sull'utilizzo, da parte del Governo, dello strumento del decreto legge.
Secondo l'ordinamento costituzionale italiano, “governare per decreto”, come è stato detto, non è certo possibile.
L'articolo 77 della Costituzione, infatti, prevede il decreto legge come una forma eccezionale di produzione di norme di rango legislativo: “Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.
Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”.
I “casi straordinari di necessità ed urgenza” sono quindi presupposto e fondamento per l'adozione dei decreti legge.
Secondo la Corte Costituzionale (sentenza 23 maggio 2007, n. 171), l'espressione usata dalla Costituzione deve avere un largo margine di elasticità, anche se talora si è dilatata fino al punto di trasformare questo presupposto in una semplice valutazione di opportunità politica.
Tuttavia, fin dal 1995 (sentenza 27 gennaio 1995, n. 29), la Corte Costituzionale ha affermato che non esiste alcuna preclusione affinchè il Giudice delle leggi esamini il decreto legge sotto il profilo del rispetto dei requisiti di validità costituzionale relativi alla preesistenza dei presupposti di necessità ed urgenza.
Successivamente la Corte (con la già citata sentenza 23 maggio 2007 n. 171 e con la successiva 30 aprile 2008 n. 128) ha emesso due clamorose decisioni di annullamento di decreti legge che non avevano come presupposto alcun requisito di straordinarietà e di urgenza.
I decreti legge, dopo la deliberazione da parte del Governo, sono emanati dal Presidente della Repubblica, in base all'articolo 87, comma 5, della Costituzione. E' rimasto famoso il rifiuto dell'allora Presidente della Repubblica Scalfaro di firmare il decreto legge di depenalizzazione del finanziamento illecito ai partiti, il 5 marzo 1993, all'epoca di tangentopoli. Tuttavia, sui poteri del Presidente della Repubblica in sede di emanazione dei decreti legge, non vi sono pareri unanimi in dottrina.
Come si è detto, il decreto legge entra in vigore subito, ma perde efficacia fin dall'inizio se non viene convertito in legge nel termine di sessanta giorni dalla pubblicazione.
E' pacifico che, in sede di conversione, il decreto legge può legittimamente essere emendato, non avendo mai avuto seguito la proposta di applicare alla conversione l'idea del “prendere o lasciare”, pur autorevolmente sostenuta, in sede scientifica, da Aldo M. Sandulli, che fu Presidente della Corte Costituzionale.
Negli anni ottanta e novanta, per le difficoltà politiche e parlamentari, che frequentemente impedivano la conversione dei decreti legge nel termine costituzionale di sessanta giorni, invalse la prassi della reiterazione dei decreti legge non convertiti (vi fu, addirittura, un decreto che fu reiterato per 29 volte).
A questo abuso, pose termine la Corte Costituzionale con la sentenza 24 ottobre 1996 n. 360. La Corte stabilì che devono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi i decreti legge reiterati, quando essi “considerati nel loro complesso o in singole disposizioni, abbiano sostanzialmente riprodotto, in assenza di nuovi (e sopravvenuti) presupposti straordinari di necessità ed urgenza, il contenuto normativo di un decreto legge che abbia perso efficacia a seguito della mancata conversione”.
I motivi della illegittimità della prassi della reiterazione dei decreti legge sono facilmente comprensibili: tale prassi altera la natura provvisoria della decretazione d'urgenza, procrastinando di fatto il termine perentorio per la conversione, previsto dalla Costituzione; la prassi toglie, poi, valore al carattere straordinario dei requisiti della necessità e dell'urgenza.
Gli abusi che la prassi ha introdotto nella figura del decreto legge, sono certo il sintomo di una profonda crisi nel sistema delle fonti del diritto (di cui si avrà modo di parlare in altra occasione).
Pur avendo, a partire dal 1996, la Corte Costituzionale ricondotto la decretazione d'urgenza nell'alveo della disciplina costituzionale prevista dall'articolo 77, come ebbe a scrivere un illustre studioso di diritto pubblico, Alberto Predieri, il decreto legge si è progressivamente configurato come una sorta di “disegno di legge governativo rafforzato”, in alternativa alla normale iniziativa legislativa.
Si è detto che, se c'è la possibilità di attendere il percorso parlamentare (con i suoi rischi e le sue necessità di mediazione), il Governo sceglie la via del disegno di legge; se questa possibilità non c'è, si sceglie necessariamente la strada del decreto.
Una curiosità: nonostante l'esistenza dei problemi che sono stati in precedenza illustrati, la riforma costituzionale della seconda parte della Costituzione, approvata dal Parlamento nel 2005 e respinta con il referendum del 2006, nulla innovava a proposito dell'istituto del decreto legge.
Ciò non può che significare che, per i politici, il poter “governare per decreto” rimane sempre una forte suggestione.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel novembre 2008)

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