Mentre, con lentezza infinita, le Giunte per le elezioni di Camera e Senato proseguono nei controlli delle schede relative alle elezioni politiche del 9 aprile 2006 (riscontrando, secondo indiscrezioni di stampa, differenze minime rispetto ai risultati ufficiali proclamati dalla Cassazione), si è imposta prepotentemente all’attenzione del mondo politico la necessità di adottare un nuovo sistema elettorale.
La situazione politica è instabile, al Senato la maggioranza è legata ad un filo e dipende da alcuni senatori dell’estrema sinistra e dai senatori a vita, il più giovane dei quali ha la verde età di settantanove anni. Ritornare a votare (anche per il solo Senato, come prospettato da taluno) potrebbe essere una soluzione, ma nessuno, a partire dal Presidente della Repubblica, vuole che si torni a votare con la legge elettorale adottata per le elezioni politiche dello scorso anno.
La soluzione più ragionevole potrebbe essere quella di tornare al sistema elettorale maggioritario con cui si votò nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Si tratta di un sistema elettorale che, ad onta di taluni difetti, ha favorito l’aggregarsi delle forze politiche secondo uno schema bipolare.
Ma ritornare, puramente e semplicemente, al precedente sistema elettorale, significherebbe ammettere che il proporzionale senza preferenze, introdotto dalla Legge 21 dicembre 2005 n. 270, è veramente una “porcata”, come ebbe a definirlo uno dei suoi padri, il senatore Calderoli.
Forse proprio per questo, quindi, si sta pensando a sistemi diversi, fra i quali quello tedesco, mai sperimentato nel nostro paese, a differenza di quello francese, di cui si parlerà in altra occasione.
Si tratta di un sistema molto complesso, che, se fosse stato adottato una ventina di anni fa, avrebbe contribuito, a mio giudizio, a salvare la prima repubblica. L’esasperato immobilismo istituzionale di democristiani e socialisti aborriva, negli anni ottanta, il sistema tedesco sul quale si davano, senza conoscerlo, giudizi abominevoli, valutandolo del tutto inadatto alla situazione italiana.
Ora, invece, si pensa di introdurlo. Vale, quindi, la pena di esaminarne, sia pure sommariamente, il funzionamento.
Poiché, come già ho accennato, si tratta di un sistema complesso, mi atterrò all’illustrazione che ne viene fatta in un recente volume collettaneo, “Costituzioni comparate”, edito da Giappichelli.
Va, innanzittutto, precisato che si sta parlando del sistema elettorale con cui si elegge il Bundestag (l’altra camera, il Bundesrat è composta da membri dei Governi dei Lander, che li nominano e revocano: i singoli Lander dispongono di voti, che oggi sono 69, e non di seggi).
Il Bundestag è formato da 598 deputati, eletti a suffragio universale e diretto ogni quattro anni.
Il sistema elettorale adottato (la legge elettorale federale risale al 1956) è di tipo misto, in quanto la metà dei seggi (299) viene assegnata con formula maggioritaria ad un turno (viene eletto il candidato che ha ottenuto la maggioranza relativa) in collegi uninominali, l’altra metà con formula proporzionale (utilizzando il metodo detto di Hondt, che favorisce i partiti maggiori) entro ogni Land (l’elettore vota, quindi, avvalendosi della medesima scheda, oltre che per il candidato nel collegio uninominale, per una lista di partito, senza preferenze).
I seggi vengono assegnati proporzionalmente ai partiti in base alla somma dei secondi voti, tenendosi conto di quelli già vinti da ogni partito in sede di collegio uninominale. Può tuttavia verificarsi il fenomeno dei mandati in eccedenza: se un partito ha ottenuto, nei collegi uninominali, un numero di seggi superiore a quello spettantegli in base al riparto proporzionale, conserva questi seggi ed il numero totale dei seggi al Bundestag viene conseguentemente aumentato. Ciò accade anche per effetto del voto disgiunto: capita, ad esempio, che molti votino un democristiano o un socialdemocratico nel collegio uninominale, ma per i liberali nelle liste di partito.
In questa legislatura, i mandati eccedenti sono cinque (per un totale di 603 membri complessivi del Bundestag).
Al fine di evitare la proliferazione dei partiti, la legge elettorale prevede anche una clausola di sbarramento, in forza della quale non possono partecipare al riparto proporzionale dei seggi i partiti che non abbiano ottenuto il cinque per cento dei voti validi sul territorio nazionale, ovvero tre seggi nei collegi uninominali.
Nell’ambito del sistema politico tedesco, il sistema elettorale che è stato testè descritto ha indubitabilmente sortito effetti positivi. Introdotto nel 1956, a partire dalle elezioni del 1961, ha ridotto i partiti a solo tre, i democristiani della CDU-CSU, i socialdemocratici della SPD ed i liberali della FDP.
Non ha impedito, tuttavia, l’ingresso nel Bundestag di nuove formazioni politiche, prima i verdi (nel 1983) e, dopo l’unificazione, gli ex comunisti della PDS, presentatisi, nelle ultime elezioni, insieme con la sinistra socialdemocratica di Oskar Lafontaine, in un’alleanza chiamata Link.
Proprio perché gli effetti di questo sistema elettorale sul sistema politico sono stati positivi, viene sfatato il mito di un sistema partitico tedesco per sua natura semplice (basti pensare alla frammentazione delle forze politiche nella Repubblica di Weimar, frammentazione ancora presente nel primo Bundestag della Repubblica federale, eletto nel 1949).
E’ tutt’altro che facile, però, pensare di trasferire meccanicamente il sistema tedesco nell’ordinamento italiano.
Vi sono, prima di tutto, due ostacoli di ordine costituzionale. Il sistema tedesco, infatti, può essere adottato solo per le elezioni della Camera dei Deputati, e non già per quelle del Senato. Secondo l’articolo 57 della Costituzione, “il Senato della Repubblica è eletto a base regionale”.
Il sistema tedesco, che prevede l’attribuzione dei seggi su scala nazionale e su base nazionale calcola la clausola di sbarramento, sembra quindi difficilmente adattarsi alle elezioni per il Senato.
Il sistema tedesco prevede anche i mandati in eccedenza (sistema che generalmente favorisce i partiti maggiori), fatto che rende variabile la composizione del Bundestag. Di contro, la Costituzione italiana, agli articoli 56 e 57, prevede una composizione fissa per la Camera ed il Senato: i deputati sono, infatti, 630 ed i senatori 315.
Per adattare il sistema elettorale tedesco ai limiti costituzionali, occorrerebbe eliminare l’istituto dei mandati in eccedenza. Il che, vista l’esperienza tedesca, andrebbe a danneggiare i partiti maggiori.
Non so, infine, se una clausola di sbarramento del cinque per cento riuscirebbe ad essere introdotta in Italia: essa semplificherebbe certamente il sistema, ma rischierebbe di eliminare le piccole formazioni politiche, che verosimilmente si opporrebbero alla sua introduzione.
Un sistema tedesco privo dei mandati in eccedenza e della clausola di sbarramento del cinque per cento finirebbe, in conclusione, per assomigliare parecchio al sistema maggioritario sperimentato in Italia dal 1994 al 2001, con la differenza che la quota proporzionale sarebbe del 50% anziché del 25%. Non varrebbe allora la pena di tornare puramente e semplicemente a questo sistema, già positivamente collaudato in ben tre consultazioni elettorali?
La situazione politica è instabile, al Senato la maggioranza è legata ad un filo e dipende da alcuni senatori dell’estrema sinistra e dai senatori a vita, il più giovane dei quali ha la verde età di settantanove anni. Ritornare a votare (anche per il solo Senato, come prospettato da taluno) potrebbe essere una soluzione, ma nessuno, a partire dal Presidente della Repubblica, vuole che si torni a votare con la legge elettorale adottata per le elezioni politiche dello scorso anno.
La soluzione più ragionevole potrebbe essere quella di tornare al sistema elettorale maggioritario con cui si votò nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Si tratta di un sistema elettorale che, ad onta di taluni difetti, ha favorito l’aggregarsi delle forze politiche secondo uno schema bipolare.
Ma ritornare, puramente e semplicemente, al precedente sistema elettorale, significherebbe ammettere che il proporzionale senza preferenze, introdotto dalla Legge 21 dicembre 2005 n. 270, è veramente una “porcata”, come ebbe a definirlo uno dei suoi padri, il senatore Calderoli.
Forse proprio per questo, quindi, si sta pensando a sistemi diversi, fra i quali quello tedesco, mai sperimentato nel nostro paese, a differenza di quello francese, di cui si parlerà in altra occasione.
Si tratta di un sistema molto complesso, che, se fosse stato adottato una ventina di anni fa, avrebbe contribuito, a mio giudizio, a salvare la prima repubblica. L’esasperato immobilismo istituzionale di democristiani e socialisti aborriva, negli anni ottanta, il sistema tedesco sul quale si davano, senza conoscerlo, giudizi abominevoli, valutandolo del tutto inadatto alla situazione italiana.
Ora, invece, si pensa di introdurlo. Vale, quindi, la pena di esaminarne, sia pure sommariamente, il funzionamento.
Poiché, come già ho accennato, si tratta di un sistema complesso, mi atterrò all’illustrazione che ne viene fatta in un recente volume collettaneo, “Costituzioni comparate”, edito da Giappichelli.
Va, innanzittutto, precisato che si sta parlando del sistema elettorale con cui si elegge il Bundestag (l’altra camera, il Bundesrat è composta da membri dei Governi dei Lander, che li nominano e revocano: i singoli Lander dispongono di voti, che oggi sono 69, e non di seggi).
Il Bundestag è formato da 598 deputati, eletti a suffragio universale e diretto ogni quattro anni.
Il sistema elettorale adottato (la legge elettorale federale risale al 1956) è di tipo misto, in quanto la metà dei seggi (299) viene assegnata con formula maggioritaria ad un turno (viene eletto il candidato che ha ottenuto la maggioranza relativa) in collegi uninominali, l’altra metà con formula proporzionale (utilizzando il metodo detto di Hondt, che favorisce i partiti maggiori) entro ogni Land (l’elettore vota, quindi, avvalendosi della medesima scheda, oltre che per il candidato nel collegio uninominale, per una lista di partito, senza preferenze).
I seggi vengono assegnati proporzionalmente ai partiti in base alla somma dei secondi voti, tenendosi conto di quelli già vinti da ogni partito in sede di collegio uninominale. Può tuttavia verificarsi il fenomeno dei mandati in eccedenza: se un partito ha ottenuto, nei collegi uninominali, un numero di seggi superiore a quello spettantegli in base al riparto proporzionale, conserva questi seggi ed il numero totale dei seggi al Bundestag viene conseguentemente aumentato. Ciò accade anche per effetto del voto disgiunto: capita, ad esempio, che molti votino un democristiano o un socialdemocratico nel collegio uninominale, ma per i liberali nelle liste di partito.
In questa legislatura, i mandati eccedenti sono cinque (per un totale di 603 membri complessivi del Bundestag).
Al fine di evitare la proliferazione dei partiti, la legge elettorale prevede anche una clausola di sbarramento, in forza della quale non possono partecipare al riparto proporzionale dei seggi i partiti che non abbiano ottenuto il cinque per cento dei voti validi sul territorio nazionale, ovvero tre seggi nei collegi uninominali.
Nell’ambito del sistema politico tedesco, il sistema elettorale che è stato testè descritto ha indubitabilmente sortito effetti positivi. Introdotto nel 1956, a partire dalle elezioni del 1961, ha ridotto i partiti a solo tre, i democristiani della CDU-CSU, i socialdemocratici della SPD ed i liberali della FDP.
Non ha impedito, tuttavia, l’ingresso nel Bundestag di nuove formazioni politiche, prima i verdi (nel 1983) e, dopo l’unificazione, gli ex comunisti della PDS, presentatisi, nelle ultime elezioni, insieme con la sinistra socialdemocratica di Oskar Lafontaine, in un’alleanza chiamata Link.
Proprio perché gli effetti di questo sistema elettorale sul sistema politico sono stati positivi, viene sfatato il mito di un sistema partitico tedesco per sua natura semplice (basti pensare alla frammentazione delle forze politiche nella Repubblica di Weimar, frammentazione ancora presente nel primo Bundestag della Repubblica federale, eletto nel 1949).
E’ tutt’altro che facile, però, pensare di trasferire meccanicamente il sistema tedesco nell’ordinamento italiano.
Vi sono, prima di tutto, due ostacoli di ordine costituzionale. Il sistema tedesco, infatti, può essere adottato solo per le elezioni della Camera dei Deputati, e non già per quelle del Senato. Secondo l’articolo 57 della Costituzione, “il Senato della Repubblica è eletto a base regionale”.
Il sistema tedesco, che prevede l’attribuzione dei seggi su scala nazionale e su base nazionale calcola la clausola di sbarramento, sembra quindi difficilmente adattarsi alle elezioni per il Senato.
Il sistema tedesco prevede anche i mandati in eccedenza (sistema che generalmente favorisce i partiti maggiori), fatto che rende variabile la composizione del Bundestag. Di contro, la Costituzione italiana, agli articoli 56 e 57, prevede una composizione fissa per la Camera ed il Senato: i deputati sono, infatti, 630 ed i senatori 315.
Per adattare il sistema elettorale tedesco ai limiti costituzionali, occorrerebbe eliminare l’istituto dei mandati in eccedenza. Il che, vista l’esperienza tedesca, andrebbe a danneggiare i partiti maggiori.
Non so, infine, se una clausola di sbarramento del cinque per cento riuscirebbe ad essere introdotta in Italia: essa semplificherebbe certamente il sistema, ma rischierebbe di eliminare le piccole formazioni politiche, che verosimilmente si opporrebbero alla sua introduzione.
Un sistema tedesco privo dei mandati in eccedenza e della clausola di sbarramento del cinque per cento finirebbe, in conclusione, per assomigliare parecchio al sistema maggioritario sperimentato in Italia dal 1994 al 2001, con la differenza che la quota proporzionale sarebbe del 50% anziché del 25%. Non varrebbe allora la pena di tornare puramente e semplicemente a questo sistema, già positivamente collaudato in ben tre consultazioni elettorali?
(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel marzo 2007)
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