mercoledì 15 settembre 2010

BEPPE GRILLO, UN INCANTATORE DI SERPENTI?

Nella sola giornata dell’8 settembre, in una serie di manifestazioni organizzate in tutta Italia, il comico genovese Beppe Grillo, ha raccolto ben 332.000 firme (autenticate) a sostegno di una sua proposta di legge di iniziativa popolare.
Il risultato ha dell’incredibile, se solo si pensa che il referendum sulla legge elettorale, promosso da Giovanni Guzzetta e Mario Segni, ha raccolto sì 821.000 firme (autenticate), ma nell’arco di ben quattro mesi.
Eppure Beppe Grillo non è un pifferaio magico, né ha le doti di un incantatore di serpenti.
Lo stupefacente successo della sua iniziativa, che la stampa ha pudicamente definito come V-Day, è spiegabile con il sentimento di profondo disagio che pervade il paese.
Non a caso un libro come “La casta”, scritto da due giornalisti del “Corriere della Sera”, Gianantonio Stella e il mio omonimo Sergio Rizzo, un durissimo atto di accusa verso la classe politica ed i suoi privilegi, ha venduto, nell’arco di pochi mesi, oltre un milione di copie.
I risultati ottenuti da Beppe Grillo sono tanto più strabilianti, in quanto il testo della proposta di legge non è neppure disponibile sull’ormai famosissimo “blog” del comico genovese. Ciò significa che 332.000 persone hanno firmato una proposta di legge il cui testo nessuno conosce, solo per fiducia in Beppe Grillo.
Dei tre punti della proposta di legge, avrei intenzione di esaminare il primo, quello definito “Parlamento pulito” e che nel “blog” è così riassunto: “No ai 25 parlamentari condannati in Parlamento. Nessun cittadino italiano può candidarsi in Parlamento se condannato in via definitiva, o in primo e secondo grado in attesa di giudizio finale”.
La proposta è apparentemente sensata e pare rispondere a criteri di etica nell’impegno politico, troppo sovente dimenticati.
Tuttavia, se si riflette sull’argomento, ci si avvede che la pura e semplice ineleggibilità, di qualsiasi condannato per qualsiasi tipo di reato, è improponibile.
Se la proposta di Grillo fosse approvata, infatti, il primo ad essere ineleggibile sarebbe proprio lui che, nel 1980, fu condannato, con sentenza ormai passata in giudicato, ad un anno e tre mesi di reclusione per omicidio colposo, in quanto responsabile della morte di due adulti e del loro bambino, a seguito di un incidente stradale.
Proprio la vicenda personale di Beppe Grillo sta a dimostrare tutta l’astrattezza della sua proposta di legge.
In materia, infatti, non si può non distinguere.
Vi è reato e reato, condanna penale e condanna penale.
Mi spiegherò con qualche esempio.
Un condannato, con sentenza definitiva, per reati di sangue (omicidio volontario, strage), per reati contro la pubblica amministrazione (corruzione, concussione), per reati finanziari (bancarotta fraudolenta, aggiotaggio) è ragionevole che non possa essere eletto a cariche pubbliche.
Altrettanto non può dirsi per altri tipi di reato. Ripugna, ad esempio, ritenere per sempre ineleggibile il giornalista che, eccedendo in una polemica, sia stato condannato per diffamazione. D’altro canto chi sia stato condannato per “radunata sediziosa”, secondo le previsioni dell’articolo 655 del codice penale, ha avuto un comportamento certo riprovevole, ma conseguente ad una scelta politica: non dovrebbe quindi essere considerato ineleggibile per tutta la vita.
Inoltre, l’articolo 19 del codice penale prevede la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che consegue di diritto alla condanna, nei casi previsti dalla legge.
Secondo l’articolo 28, l’interdizione dai pubblici uffici priva il condannato “del diritto di elettorato e di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico”.
L’interdizione dai pubblici uffici può essere temporanea (e, in tal caso, non può eccedere i cinque anni) o perpetua.
L’articolo 29 del codice penale prevede i casi in cui alla condanna consegue l’interdizione dai pubblici uffici: “La condanna all’ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l’interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque”.
Non si vede, quindi, la necessità di nuove norme, dato che già oggi l’interdizione dai pubblici uffici comporta l’ineleggibilità alla carica di parlamentare, come recentemente si è visto nel caso di Cesare Previti, condannato ad una pena che comportava l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Al più, potrebbe essere modificata ed estesa la disciplina dell’interdizione.
Inaccettabile, invece, è la proposta di prevedere l’ineleggibilità per i condannati in due gradi di giudizio, ma la cui sentenza di condanna non sia ancora divenuta definitiva.
Una siffatta previsione sembrerebbe, infatti, in contraddizione con la presunzione di innocenza prevista dall’articolo 27 della Costituzione, secondo cui “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
Men che meno sarebbe accettabile la proposta di Bertinotti di prevedere l’ineleggibilità per “gli inquisiti di mafia”: significherebbe lasciare la formazione delle liste dei candidati in mano alle Procure della Repubblica, dato che un semplice avviso di garanzia potrebbe far scattare l’ineleggibilità.
In realtà, a tutto questo è sotteso un problema politico rilevante: la spregiudicatezza e la noncuranza con cui le forze politiche scelgono i candidati.
Taluni personaggi, di cui Beppe Grillo vorrebbe l’ineleggibilità (e, quindi, la decadenza immediata dal mandato parlamentare se già eletti) non avrebbero neppure dovuto essere candidati, non in conseguenza di una disposizione di legge, ma per semplici ragioni di moralità politica.
Ma i partiti non sembrano capirlo, lasciando in tal modo spazio ad iniziative demagogiche ed irrazionali come quella di Beppe Grillo.
Non vorrei che tra poco fossimo costretti a ripetere quanto ha scritto il quotidiano “The Moscow Times” a proposito delle elezioni russe del 2 dicembre prossimo: “A questo punto sarebbe più onesto eliminare del tutto le elezioni e lasciare che i politici se la vedano tra loro per decidere chi deve andare alla Duma. Potrebbero anche tirare a sorte o giocarsi i seggi a poker o a dadi. Sarebbe più corretto e perfino più divertente. Almeno potremmo limitarci a fare da osservatori invece di doverci impegnare. Dopotutto, quando andiamo all’ippodromo nessuno ci chiede di correre dietro ai cavalli”.


(articolo pubblicato su "La Cronaca" nel settembre 2007)

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