venerdì 24 settembre 2010

LA FORMAZIONE DELL’AVVOCATO: I CREDITI SI ACQUISTANO ANCHE IN EDICOLA

Mi sono sbagliato. Più di tre anni fa, commentando su “La Cronaca” una prima bozza del regolamento per l’aggiornamento degli avvocati, allora in corso di elaborazione da parte del Consiglio Nazionale Forense, concludevo affermando: “Dubito che la soluzione, caldeggiata dall’avvocatura organizzata, possa mai avere una concreta realizzazione, proprio perché fondata su presupposti astratti”.
Invece, il Consiglio Nazionale Forense, in data 18 gennaio 2007, ha approvato il regolamento, che è stato poi parzialmente modificato il 13 luglio 2007 ed ha iniziato a trovare applicazione dal 1° gennaio 2008.
Questo è il meccanismo congegnato dal regolamento: novanta crediti formativi ogni tre anni è l’obbligo imposto agli avvocati quando, terminato il periodo transitorio, il sistema andrà a regime.
La lettura di libri o riviste non serve a realizzare alcun credito formativo, in quanto, per aggiornarsi, l’avvocato non può usare la vista ma solo l’udito. In particolare “integra assolvimento degli obblighi di formazione professionale continua la partecipazione effettiva agli eventi… indicati, promossi, organizzati, o accreditati anche stabilmente dal Consiglio Nazionale Forense e dai Consigli dell’Ordine e dalla Cassa Nazionale di previdenza forense”. Sono esenti dall’obbligo gli avvocati che siano anche professori universitari. Per il resto, gli avvocati avranno il “dovere di partecipare alle attività di formazione professionale continua disciplinate dal presente regolamento”, con l’avvertenza che il mancato adempimento dell’obbligo formativo nei termini previsti dal regolamento stesso costituirà “illecito disciplinare”. Ciascun iscritto dovrà, infine, depositare presso il proprio Consiglio dell’Ordine, “una sintetica relazione che certifica il percorso formativo seguito nell’anno precedente, indicando gli eventi formativi seguiti e documentando le attività formative svolte”. L’obbligo tuttavia non riveste valore assoluto, in quanto si potrà essere esentati dalla formazione permanente “per gravi motivi” (non vi è quindi l’obbligo di farsi trasportare in barella per assistere ad una conferenza, al fine di acquisire crediti formativi).
Nel regolamento appare del tutto svalutata l'attività di formazione, svolta autonomamente dall'avvocato presso il proprio studio, che da sempre rappresenta, invece, la principale fonte di accrescimento culturale di ciascun professionista.
L’attività di formazione degli avvocati si è, ben presto, rivelata un grosso affare. Nel corso del 2008, infatti, si sono moltiplicate le iniziative più varie, dai corsi di formazione ai seminari, dai convegni, alle conferenze, ai master di specializzazione.
Le iniziative di maggior respiro sono state realizzate, come prevedibile, a pagamento.
Qualche settimana fa, addirittura, un grande gruppo editoriale ha diffuso in edicola, al prezzo di Euro 14,90, un dvd (che ciascuno potrà utilizzare sul proprio pc), contenente due lezioni, per complessivi due crediti.
Con una battuta semiseria, si potrà quindi dire che ormai i crediti formativi per gli avvocati si vendono anche in edicola, al prezzo di Euro 7,45 a credito.
Più seriamente, viene da chiedersi per quale ragione si possano acquisire dei crediti formativi utilizzando mezzi telematici, ma non leggendo dei libri o delle riviste, come gli avvocati hanno sempre fatto, da decenni.
Desiderio di modernità a tutti i costi?

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Le associazioni forensi hanno, generalmente, accolto in modo favorevole il regolamento.
Due associazioni, tuttavia, hanno segnalato il regolamento all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha aperto, in proposito, un’indagine conoscitiva.
Si sostiene, da parte di tali associazioni, che la maggiore qualificazione degli avvocati deve essere perseguita nel rispetto della libertà e dell’autonomia di ciascuno, senza ingiustificati vincoli, che – si sostiene – il Consiglio Nazionale Forense non avrebbe neppure il potere di imporre.
Dell'esito dell'indagine dell'Autorità garante, ad oggi, nulla ancora si conosce.

* * *

Che la formazione permanente degli avvocati sia una necessità ineludibile è cosa del tutto ovvia. Come è ovvio che tale formazione è oggi nettamente insufficiente. Ma quello che un po' infastidisce, nel regolamento approvato dal Consiglio Nazionale Forense, è la burocratizzazione dell’aggiornamento, basata su un complicato sistema di crediti formativi ed il monopolio della formazione permanente lasciato nelle mani degli Ordini professionali, con esclusione delle Università e delle numerose associazioni a carattere culturale che operano nell’ambito giuridico.
La mia personale opinione non coincide con quella dell'avvocatura organizzata. Mentre condivido le finalità della formazione permanente, sono perplesso per quanto si riferisce all'idoneità dell'architettura istituzionale congegnata a perseguire tali finalità. Concordo, sul punto, con un noto amministrativista milanese, Umberto Fantigrossi.
Questi, sul suo sito internet, ha recentemente scritto: “C'è quanto meno da dubitare che gli Ordini, al di fuori e senza alcun rapporto con le Università – che sono le istituzioni tradizionalmente dedicate alla formazione dei professionisti – abbiano le risorse di competenza per far fronte a compiti di “accreditamento”, quindi di verifica della qualità e quindi della validità scientifica dei contenuti e della docenza”.
Aggiungo io che non si comprende quali risorse di competenza siano proprie della Cassa di previdenza forense, che pure ha titolo per promuovere ed accreditare eventi formativi.
Come ha affermato il Giudice costituzionale Giuseppe Tesauro su “Il Sole 24 Ore”, la formazione dovrebbe iniziare nell’Università.
All’Università – sostiene Tesauro – non si può chiedere di formare i giovani fino a renderli operativi già all’uscita dalle aule della facoltà di giurisprudenza.
Ma si può pretendere che le Università diano ai giovani gli strumenti – intellettuali, organizzativi e di metodo – per diventarlo. Non si realizza questo obiettivo se nei corsi non si danno gli spazi giusti a discipline in egual misura formative ed informative. Un eccesso di discipline cosiddette storico-culturali, invece, caratterizza purtroppo i corsi di giurisprudenza.
Il ruolo dell’Università può proseguire anche dopo la laurea. Mi pare, quindi, che le Università (o, comunque, istituzioni alle stesse correlate) siano idonee come e più degli Ordini a promuovere l’aggiornamento degli avvocati, mentre il regolamento non prevede nessun ruolo per le Università, lasciando un loro eventuale contributo alla discrezione degli Ordini.
Mi rendo conto che la mia può apparire un’ipotesi estrema ma, secondo il regolamento del Consiglio Nazionale Forense, che in questo rivela tutta la sua debolezza intrinseca, può valere di più, ai fini dell’acquisizione di crediti formativi, una modesta conferenza organizzata da un qualsiasi Consiglio dell’Ordine, piuttosto che un master postuniversitario, di eccellente contenuto, solo perché quest’ultimo ha trascurato di chiedere e quindi non ha ottenuto quello che è stato definito come l’accreditamento.
Umberto Fantigrossi pone un ulteriore problema.
Rileva, infatti, che le prestazioni che il regolamento del Consiglio Nazionale Forense impone a carico del singolo avvocato, in quanto incidono sulla libertà personale, potrebbero essere introdotte solo da una norma di legge. Solo la legge, infatti, può imporre prestazioni personali al singolo, secondo quanto dispone l’articolo 23 della Costituzione.
Ritorna, quindi, la tesi sostenuta da alcune associazioni forensi davanti all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Resta, tuttavia, il fatto che la formazione degli avvocati, per il ruolo, anche costituzionale, che essi rivestono, è troppo importante per essere lasciata alle cavillosità dei legulei.
Il nodo non potrà che essere sciolto nell’ambito della legge, di cui da tempo si parla, di riforma delle professioni e, in particolare, della professione forense.
(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel dicembre 2008)

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