venerdì 24 settembre 2010

NON SANNO DI CHE PARLANO…

“Non sanno di che parlano…”. Con queste parole l’ex Ministro dell’Interno Beppe Pisanu, personaggio certamente non sospettabile di estremismo, ha commentato sul quotidiano “La Stampa” le molteplici proposte che, nelle ultime settimane, si sono susseguite sul problema della sicurezza, ormai quasi unanimemente considerato un’emergenza nazionale.
In effetti, la campagna elettorale è stata giocata duramente ed efficacemente sul tema della sicurezza.
E’ assai diffuso un forte sentimento di insicurezza. La situazione economica mondiale desta non poche preoccupazioni.
C’è una crisi bancaria, detta dei “subprimes”; c’è un’impennata generalizzata dai prezzi delle materie prime e dei prodotti alimentari; c’è un disequilibrio importante, ma che non è nuovo, dei mercati finanziari e commerciali internazionali. Quest’ultima crisi riguarda direttamente l’euro.
In particolare, l’Italia sembra avviata verso una situazione di “stagflazione”, in cui alla stagnazione dell’economia si accompagna una sempre più significativa crescita dei prezzi.
Eppure, quando si parla di mancanza di sicurezza, non ci si riferisce all’incertezza derivante dalle scarsamente brillanti prospettive dell’economia, ma ad una asserita situazione di emergenza nel campo dell’ordine pubblico.
Nel corso della campagna elettorale, è sembrata emergere una prepotente domanda di “law and order” (come direbbero gli americani), che non ha equivalenti nel passato del nostro paese.
I meno giovani ricorderanno certamente che, trent’anni fa, durante gli anni bui del terrorismo, nelle grandi città, si sparava per le strade e che magistrati, avvocati, poliziotti, carabinieri, uomini politici, guardie carcerarie, giornalisti, comuni cittadini, quasi ogni giorno cadevano vittime del piombo brigatista.
I meno giovani ricorderanno che, ogni sabato pomeriggio, il centro di Milano e di altre città veniva messo a ferro e fuoco da manifestanti di opposte fazioni e che, non di rado, le manifestazioni lasciavano sul campo morti e feriti.
Ricorderanno ancora i meno giovani che, nel marzo 1977, a seguito della morte di un simpatizzante di “Lotta continua”, gli autonomi si impadronirono del centro di Bologna sotto la guida di Francesco Berardi, detto Bifo, e che l’allora Ministro dell’Interno Kossiga (così sprezzantemente chiamato dal “movimento”) fu costretto a mandare i mezzi cingolati nel centro di Bologna, per riportare l’ordine in città. Ricorderanno i meno giovani che, nel 1974, l’allora Presidente del Consiglio Rumor, per decidere di far entrare la polizia nell’Università di Roma, che era occupata da mesi e in cui da mesi non si riusciva più a svolgere alcuna attività didattica, convocò un “vertice”, come si diceva allora, dei segretari dei partiti che sostenevano il Governo (oggi basterebbe una telefonata del Ministro dell’Interno al Prefetto di Roma).
Adesso la situazione non è neppure lontanamente paragonabile a quella di allora. Eppure sembra che tutti siano convinti che una pretesa mancanza di sicurezza costituisca un’emergenza nazionale. Anche se l’ISTAT sostiene che, dal 2000 ad oggi, si è vista una progressiva riduzione del numero degli omicidi, da 13,1 a 10,3 per milione di abitanti, la criminalità è fonte di angoscia per il 58,7% degli italiani. Si tratta, quindi, di una percezione più che di un problema reale. Ma, mentre i problemi reali, proprio perché reali, si possono affrontare e risolvere, i problemi che sono solo percepiti sono assai più difficili da superare.
Il nuovo Governo, nella sua prima riunione, ha varato un decreto legge, definito giornalisticamente come “decreto sicurezza”, accompagnato da altre misure, contenute in disegni di legge presentati alle Camere. Anche il Comune di Cremona nel suo piccolo, dopo infinite polemiche che, ad un osservatore esterno, davano la sensazione di una città completamente in preda alla criminalità, ha nominato un assessore alla “sicurezza”, nella persona di uno stimato ex funzionario di polizia.
Si tratta di misure dall’effetto pratico assolutamente incerto, ma dal sicuro effetto “placebo”. Soddisfano un bisogno psicologico. Rispondono, appunto, all’angoscia che attanaglia il paese. Reale o percepita, endogena o indotta, in questa forma subdola di angoscia italiana, si esprimono l’incertezza e il timore di essere circondati da nemici, di non avere spazio né risorse sufficienti per vivere.
Quanto possa durare un effetto “placebo” non è dato di sapere.
Occorrerebbe, perciò, come ha scritto Marcello Sorgi su “La Stampa”, convincere i cittadini che la conquista di una maggiore tranquillità non può dipendere solo dal lavoro delle forze dell’ordine; ma è legata, in buona parte, a una maggiore disponibilità a cambiare i propri stili di vita, riducendo insieme rischi, ansie e paure non sempre giustificati.
Quanto al contenuto delle norme del decreto “sicurezza”, è stato così commentato, ancora su “La Stampa”, da un illustre giurista, Carlo Federico Grosso: “Alcune delle misure approvate potrebbero essere condivise da chiunque. Chi potrebbe contestare, ad esempio, l’opportunità di punire con sanzioni adeguate chi guida ubriaco o, guidando in tale condizione, cagiona la morte di qualcuno?
O discutere la ragionevolezza di colpire chi affitta in nero la casa a clandestini, di frenare i matrimoni di convenienza degli stranieri, di stroncare l’utilizzazione dei minori nell’accattonaggio o nelle attività illegali? Chi potrebbe criticare provvedimenti che riducono le agevolazioni processuali nei confronti dei mafiosi o facilitano la confisca dei loro beni?”.
Altri provvedimenti sono, invece, certamente discutibli.
Soprattutto quelli che riguardano gli immigrati, in quanto sembrano fondati su una filosofia che considera la povertà stessa un reato.
Ma di tali provvedimenti, vi sarà modo di parlare più avanti, quando avranno iniziato ad essere applicati in concreto ed i giudici avranno avuto modo di esaminarne i profili di costituzionalità, che, ad avviso di molti giuristi, non sarebbero irrilevanti.


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel giugno 2008)

Nessun commento:

Posta un commento