venerdì 24 settembre 2010

IL KOSOVO E’ UNO STATO SOVRANO?

Il 17 febbraio 2008 il Kosovo ha proclamato la propria indipendenza dalla Serbia, facendo nascere, nell’ambito di quella che un tempo era la Jugoslavia, un nuovo Stato.
Sino a quel momento, il Kosovo era una provincia autonoma della Serbia, occupata da truppe internazionali e sottoposta, dal 1999, all’amministrazione dell’ONU.
Come provincia autonoma, aveva una propria assemblea formata da 120 membri eletti a suffragio diretto, che a sua volta sceglieva un Presidente.
E’ stata questa Assemblea a dichiarare l’indipendenza del Kosovo, nonostante la Costituzione serba del 2006 avesse affermato la sovranità indiscussa della Serbia sulla provincia.
La comunità internazionale, almeno in alcune sue componenti assai significative (gli Stati Uniti e molti stati europei, fra cui Regno Unito, Francia, Germania, Italia, nell’ambito di un’Unione europea non unanimemente favorevole), ha appoggiato la nuova entità, effettuando un rapido riconoscimento dell’indipendenza kosovara.
La Serbia e la Federazione russa, dal canto loro, hanno espresso la loro contrarietà, affermando che tale auto-proclamazione di indipendenza costituiva una violazione delle norme del diritto internazionale.
Come ha sostenuto l’internazionalista Enrico Greppi su “Policy brief” una pubblicazione “online” dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, per quanto attiene al costituirsi di un nuovo Stato nella comunità internazionale, l’attribuzione della personalità giuridica fa essenzialmente riferimento al principio di effettività. Quando un’entità dotata di una propria organizzazione assume il controllo effettivo di una porzione di territorio ed esercita concretamente un’attività di governo sulla popolazione che vi è stanziata, e manifesta indipendenza rispetto a qualsiasi altro Stato, si può ritenere che questa entità sia un nuovo Stato.
L’eventuale riconoscimento da parte di altri Stati e di organizzazioni internazionali è un atto meramente politico, dotato puramente di efficacia dichiarativa della personalità giuridica internazionale. Come tale, è un atto discrezionale, che gli Stati emettono in base a proprie valutazioni circa l’effettività e l’indipendenza del nuovo Stato.
La materia è quindi regolata dal principio di effettività. Una famosa sentenza inglese degli anni trenta (caso Vrissarri vs. Clement) affermò il principio che, anche per gli Stati non riconosciuti “è possibile addurre prove onde dimostrare che essi sono in fatto degli Stati indipendenti”. La sentenza stabilì anche che occorre dimostrare che si tratta di “associazioni formate per la mutua difesa, le quali non riconoscano alcuna autorità fuori del proprio governo, osservino le regole della giustizia verso i sudditi degli altri Stati, vivano generalmente sotto le proprie leggi, e mantengano con la propria forza la loro indipendenza”.
Si è detto che il Kosovo non possiede compiutamente tali requisiti.
Infatti il Kosovo non ha una solida struttura politico-amministrativa, non ha un apparato di polizia, non ha un sistema giudiziario, non ha un’economia degna di questo nome (salvo quella legata a una diffusa criminalità e intrisa di corruzione), non ha proprie e decenti istituzioni scolastiche e universitarie. Per anni il nuovo Stato peserà, quindi, sugli Stati che lo hanno riconosciuto e sull’Unione europea.
Il fatto che l’11 maggio 2008, in occasione delle elezioni legislative ed amministrative in Serbia, si sia votato anche nelle zone del Kosovo nelle quali la maggioranza della popolazione è serba, sta a dimostrare che l’effettività dell’indipendenza kosovara permane, quanto meno, opinabile.

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Un problema simile si pose, anni fa, in Italia, con riferimento a quella che poi fu definita la “sedicente Repubblica sociale italiana”.
Come è noto, la Repubblica sociale italiana, fu costituita, dopo il crollo del regime fascista, conseguente al voto del Gran Consiglio del 25 luglio 1943, nella parte di Italia occupata dalle truppe tedesche. Il suo governo ebbe sede sul Lago di Garda (da cui il nome di Repubblica di Salò).
Si trattava, come si suol dire, di uno Stato fantoccio, uno Stato che doveva la sua esistenza a un’entità più potente, la Germania.
La Repubblica sociale, che pure ebbe un significativo controllo del territorio, quanto meno a nord dell’appennino tosco-emiliano (la cosiddetta “linea gotica”), fu riconosciuta come Stato solo dalla Germania, dal Giappone e da pochi altri Stati alleati di questi ultimi.
I comandi militari tedeschi, pur non avendo mai dichiarato di essere forze di occupazione militare, di fatto si comportarono come tali, asservendo a sé ogni potere civile e militare esistente.
Comunque, nell’Italia settentrionale l’autorità della Repubblica sociale ebbe una durata sufficientemente lunga, con organi sia costituzionali che amministrativi, i quali svolsero le attività loro proprie.
Come ebbe a scrivere Massimo Severo Giannini nella voce “Repubblica sociale italiana” dell’Enciclopedia del Diritto, la tesi accettata dalla dottrina dominante e anche dalla giurisprudenza – per quel poco che ha avuto occasione di pronunciarsi – è che la Repubblica sociale costituì un governo di fatto: di fatto sta a significare che storicamente fu un governo perdente, in quanto travolto, in una con le forze armate tedesche, dalle forze armate alleate, con l’offensiva finale, e dall’insurrezione interna delle forze partigiane del 25 aprile 1945.
I rapporti giuridici sorti sotto il “sedicente governo” della Repubblica sociale italiana furono disciplinati dal Decreto legislativo luogotenenziale 5 ottobre 1944 n. 249, che provvedeva a distinguere fra atti assolutamente inefficaci, atti relativamente inefficaci e atti relativamente ed assolutamente efficaci.
Ma, alla fine, come ebbe ancora a rilevare Massimo Severo Giannini, i fatti e le vicende della Repubblica sociale italiana, in quanto fatti di dolore, di tristezza e di sangue, appartengono alla storia, più che al diritto.


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel maggio 2008)

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