mercoledì 15 settembre 2010

LE MALEFATTE DI DON GELMINI E IL DIRITTO ALL’OBLIO

Le cronache estive si sono ampiamente occupate delle vicende di don Pierino Gelmini, accusato di molestie sessuali da alcune persone che erano state ospitate nella sua comunità per il recupero di tossicodipendenti.
Nel momento in cui scrivo queste righe, sui fatti sta ancora indagando l’Autorità giudiziaria. Non posso, quindi, esprimermi sull’argomento che suscita, quale che sia la realtà dei fatti, soprattutto un’infinita tristezza.
Mi limiterò a ricordare che, con l’occasione, gli organi di stampa hanno parlato anche di disavventure giudiziarie di don Gelmini, risalenti agli inizi degli anni settanta (e cioè a circa trentacinque anni fa), che lo avevano condotto anche in carcere e di cui si era completamente perduta la memoria.
Di fronte alla diffusione di tali notizie, ci si domanda se le vicende lecitamente pubblicizzate in un certo momento storico possano sempre costituire oggetto di nuova pubblicazione o se, invece, il trascorrere del tempo e il mutamento delle situazioni non la rendano illecita.
Già cinquant’anni fa, la Corte di Cassazione (sentenza 13 maggio 1958, n. 1563) aveva sfiorato il tema del diritto all’oblio, come diritto al segreto del disonore, cioè di un diritto a preservare la propria dignità, anche se fittizia, contro gli attacchi della verità. Il diritto, in definitiva, ad impedire di essere ancora proiettati senza consenso verso una indesiderata notorietà.
La dottrina si è anche chiesta se il diritto all’oblio debba configurarsi come una sorta di diritto ad essere dimenticati o, viceversa, come diritto a non essere nuovamente proiettati nella notorietà, una volta dimenticati. In un caso il tempo determinerebbe direttamente il sorgere del diritto, nell’altro caso sarebbe soltanto la causa efficiente dell’oblio, dal quale il diritto nascerebbe.
Più che le elaborazioni della dottrina, interessano, invece, gli interventi della giurisprudenza (non molti, in verità) pertinenti al tema del diritto all’oblio, in gran parte conseguenti a rievocazioni (di stampa, cinematografiche, televisive) di fatti di cronaca nera più o meno remoti.
Le soluzioni offerte dalla giurisprudenza non sono univoche. Si possono ricordare alcuni casi, nei quali il Tribunale di Roma, nell’ultimo decennio, ha avuto modo di pronunciarsi in modo diverso.
Con riferimento all’uomo politico, il cui comportamento deve essere improntato a criteri della massima trasparenza, è stato ritenuto che la tutela del “diritto all’oblio” (cioè il diritto a che non vengano divulgate notizie relative a vicende personali del passato) non può essere invocata da parte dell’uomo politico che ricopra cariche istituzionali in quanto in tal caso esiste un rilevante ed oggettivo interesse generale alla conoscenza della storia personale di quell’uomo politico (Tribunale di Roma, 4 febbraio 2004).
In ordine alla rievocazione di un delitto, sempre il Tribunale di Roma (1 febbraio 2001) ha affermato che “non è lesivo della personalità altrui uno sceneggiato televisivo basato su fatti di cronaca che per la loro eccezionalità e per la efferatezza dei delitti rievocati necessitano di essere ricordati e tramandati, non potendosi invocare una sorta di diritto all’oblio rispetto a vicende per le quali non sia venuto meno l’interesse del pubblico”.
All’opposto, sempre il Tribunale di Roma (20 novembre 1996) ha sancito il principio per cui “la riproduzione di vicende attinenti alla vita privata del condannato è suscettibile di produrre un danno ingiusto al diritto all’oblio dei familiari in difetto di un interesse pubblico attuale alla conoscenza di tali vicende”.
I fatti del passato, anche recente, possono inoltre essere oggetto di ricerca storica, quando i protagonisti della vicenda, o i loro immediati discendenti, sono ancora in vita. In una vicenda riguardante il generale De Lorenzo e il preteso tentativo di colpo di stato del luglio 1964 (oggi ricordata, immagino, solo dai più anziani, come chi scrive), il Tribunale di Roma (29 giugno 1998) ha avuto modo di affermare il seguente principio: “Nel conflitto tra il diritto di critica storica, con i diritti all’onore e alla reputazione – tutti diritti di rilevanza costituzionale – è da ritenersi prevalente il primo, purchè ricorrano i requisiti dell’interesse pubblico, della continenza espositiva e della scientificità del metodo seguito nella ricostruzione e rielaborazione dei fatti narrati”.
In conclusione, nella vicenda di don Gelmini, che è, oggi, un personaggio pubblico, si tratta di sapere se vi è un interesse pubblico a conoscere le sue vicende personali di trentacinque anni fa, che non hanno alcuna attinenza né con il suo ruolo attuale, nè con le indagini penali alle quali egli è oggi sottoposto.
Io sarei portato a rispondere di no, ma non mi nascondo che la soluzione del problema potrebbe anche essere opposta.


(articolo pubblicato su "La Cronaca" nel settembre 2007)

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