venerdì 24 settembre 2010

I GARES DE CUPAAL, CURCIO

Trent’anni fa. Era il marzo del 1978. Da qualche giorno, a Roma, in via Fani, alcuni brigatisti rossi avevano rapito Aldo Moro, dopo avere ucciso i cinque uomini della sua scorta.
L’Italia intera stava assistendo attonita a quello che le Brigate rosse avevano definito un “attacco al cuore dello Stato”.
L’atmosfera cupa di quei giorni si può ritrovare in un recentissimo libro di Giovanni Bianconi, giornalista del “Corriere della Sera”, “Eseguendo la sentenza”, edito da Einaudi, che ripercorre i 55 giorni della prigionia di Moro, sino al ritrovamento del suo corpo in Via Caetani.
Mi trovavo a Cremona, in Piazza Roma. Due pensionati, dopo aver sfogliato un giornale che a Cremona gode di un’autorevolezza almeno pari a quella del “New York Times” e prima di fare il consueto rifornimento di vino bianco, si scambiavano opinioni sui fatti di cui, in quei giorni, tutti parlavano. Ad un certo punto, uno dei due proruppe nella perentoria affermazione che, ancora oggi, dopo trent’anni, mi risuona nella memoria.
Renato Curcio, che era stato il fondatore e uno dei capi delle Brigate rosse era, all’epoca, detenuto e sottoposto, con altri brigatisti, ad un processo davanti alla Corte d’Assise di Torino. Nonostante avesse cercato, nell’ambito di tale processo, di rivendicare il rapimento e la successiva uccisione di Moro, essendo sottoposto ad un regime di detenzione rigorosissimo, non poteva certo essere responsabile diretto dei morti di Via Fani e del rapimento di Moro. Ciononostante, perché aveva teorizzato la lotta armata e si era reso responsabile di gravi fatti delittuosi, ma del tutto diversi, se ne chiedeva la morte per la strage di Via Fani, alla quale era estraneo. Strati di opinione pubblica (quel pensionato non era certo l’unico a pensarla in quel modo) chiedevano che imprecisate Autorità facessero giustizia sommaria dei brigatisti che si trovavano in carcere, provvedendo magari a “suicidarli”, come, nel 1977, i tedeschi si diceva avessero fatto con i terroristi della banda Baader-Meinhof, trovati morti nel carcere di Stammheim.
Ho rievocato questi fatti ormai lontani nel tempo (anche se sempre presenti nella memoria di molti) per dimostrare come l’opinione pubblica italiana abbia sempre oscillato fra un estremismo forcaiolo ed un atteggiamento eccessivamente benevolo verso chi delinque (come quando si tentò di teorizzare che Berlusconi, essendo stato eletto dal popolo, doveva essere considerato libero dall’osservanza delle norme penali).
Da qualche tempo, il pendolo è tornato ad oscillare sul lato dell’estremismo forcaiolo. Da parte di molti organi di stampa e di molti esponenti politici, si ripete ossessivamente che il problema principale del paese è la sicurezza. In effetti, molti italiani sono incerti ed insicuri. Temono per il loro futuro. Ma ciò non dipende dai reati che vengono commessi (che, secondo le statistiche, sono stazionari o, addirittura, in lieve diminuzione), ma dalla difficile ed incerta situazione economica: “it’s the economy, stupid”, come disse Bill Clinton per spiegare la sua vittoria su Bush padre nelle elezioni presidenziali del 1992.
Secondo notizie riportate anche dalla stampa italiana, nel 2007 New York dovrebbe registrare un numero di omicidi inferiore a cinquecento, il dato più basso da quando sono cominciate le rilevazioni nel 1963. Fino al 18 novembre gli omicidi sono stati 428, contro i 511 dello stesso periodo del 2006 (ma, nel 1990, erano stati 2262).
Sono dati assolutamente non paragonabili con quelli delle città e delle metropoli italiane, ma, ciononostante, le “sciure” che partecipano, ingioiellate e impellicciate, alle fiaccolate per la sicurezza, non hanno rinunciato al tradizionale shopping natalizio a Manhattan, favorito quest’anno dal cambio particolarmente favorevole fra euro e dollaro.
Anche a Cremona, ora che, grazie ad un poderoso spiegamento di forze dell’ordine, è stato finalmente debellato un pericolosissimo gruppetto di ragazzotti che stazionavano il pomeriggio in Piazza Roma (ora si è trasferito nella vicina Piazza Filodrammatici), più che ad un super-assessore per la sicurezza, le istituzioni dovrebbero, secondo me, pensare al futuro economico della città e della provincia: iniziative imprenditoriali significative, fatta eccezione per il raddoppio dell’Acciaieria Arvedi, all’orizzonte non se ne vedono e l’emigrazione di giovani laureati e diplomati (che dura dal dopoguerra) prosegue senza sosta, nella generale indifferenza e rassegnazione.
Quello che manca, invece, non è tanto la sicurezza, quanto quella che è stata definita la “cultura della legalità”. Se ci si guarda attorno, ci si avvede facilmente di come il non rispettare le regole sia entrato nel costume di molti.
E’ notizia di qualche giorno fa il fatto che il volo Milano-Bari sia stato costretto a decollare da Linate con due ore di ritardo, perché tre passeggeri, benché richiesti per ben quattro volte dal comandante dell’aereo, non avevano voluto spegnere i loro telefoni cellulari, che interferivano con la strumentazione di bordo.
E che dire degli automobilisti che attraversano gli incroci con il semaforo rosso, sulle autostrade percorrono la corsia d’emergenza, pretendono di parcheggiare ovunque, anche dove sono di ostacolo alla circolazione?
Immagino, poi, che molti, entrando in un locale pubblico in una giornata di pioggia, si siano accorti di come sia frequente, all’uscita, non ritrovare il proprio ombrello, soprattutto se nuovo, sottratto da qualcuno che ha una ben strana concezione della proprietà altrui. Secondo alcuni, magari di quelli che partecipano alle fiaccolate per la sicurezza, l’immigrato che, al mercato, vende abusivamente qualche borsa taroccata, attenta alla sicurezza, mentre chi, cittadino italiano, ruba un ombrello compie, tutt’al più, una bravata.
Altrettanto deve dirsi della scuola, sempre più isolata nella sua “alterità”. Si legge, ogni giorno, di atti di bullismo e di vandalismo nelle scuole che integrano, quanto meno, i reati di violenza privata e di danneggiamento doloso (senza parlare di reati legati allo spaccio ed al consumo di sostanze stupefacenti). Secondo i genitori (e, certamente, anche molti insegnanti, che a loro volta, sono genitori) si tratta di ragazzate. Ed i dirigenti scolastici (così, da qualche tempo, sono stati pomposamente ribattezzati i presidi) non so fino a che punto siano consapevoli dell’esistenza dell’articolo 331, primo comma, del codice di procedura penale, secondo il quale i pubblici ufficiali, che nell’esercizio o a causa delle loro funzioni, hanno notizia di un reato perseguibile d’ufficio, devono farne denuncia per iscritto. Tuttavia, secondo chi organizza le fiaccolate e chi vi partecipa, il problema principale è quello della sicurezza. Sicurezza messa a repentaglio soprattutto dagli immigrati extracomunitari. Il concetto di “extracomunitario” si è, poi, dilatato sino a ricomprendere ogni tipo di immigrato da un paese più povero dell’Italia. Sono quindi sicuramente “extracomunitari” i romeni e i bulgari, anche se ormai fanno parte dell’Unione europea. Ricordo poi (e il ricordo mi fa ancora sorridere) di aver sentito una persona chiedere con sussiego a due cittadini svizzeri come, nel loro paese, fosse stato affrontato il problema degli extracomunitari, per sentirsi rispondere, giustamente, che gli svizzeri sono essi stessi extracomunitari.
Non voglio negare che l’immigrazione sia oggi un problema che coinvolge tutti i paesi più sviluppati (se ne parla anche nella campagna presidenziale americana), ma non si può rimproverare agli immigrati di non sapersi adattare alle regole del nostro paese, quando si propone loro un paese in cui le regole sono elastiche e a volte si osservano e a volte no, a seconda delle convenienze.
Come si può chiedere ad un immigrato di uniformarsi alle nostre regole, quando tutti i valori sono capovolti e un Presidente di Regione festeggia a cannoli una condanna a cinque anni di reclusione?
Posso immaginare che molti amici e lettori mi criticheranno per queste righe, che giudicheranno improntate ad un eccessivo pessimismo.
Probabilmente è vero, ma sto diventando vecchio e, come diceva Cicerone, “senectus ipsa morbus”.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel gennaio 2008)

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