mercoledì 15 settembre 2010

LE PRIMARIE ALL’AMATRICIANA

Il 14 ottobre 2007 si voterà per le elezioni primarie del Partito democratico. In una consultazione aperta a tutti, con il solo obbligo, per i votanti, del pagamento di un euro, verrà scelto il segretario del partito; verranno nominati anche gli organi dirigenti del partito medesimo.
Le elezioni primarie normalmente sono una competizione elettorale attraverso la quale gli elettori o i militanti di un partito politico decidono chi sarà il candidato del partito (o dello schieramento politico del quale il partito medesimo fa parte) per una successiva elezione ad una carica pubblica.
Le elezioni primarie sono particolarmente diffuse negli Stati Uniti, dove sono ormai diventate lo strumento normale per la selezione dei candidati alle cariche pubbliche. In particolare, le primarie per la scelta dei candidati alla presidenza sono un evento seguito in tutto il mondo.
Si tratta di elezioni disciplinate da norme diverse da stato a stato e sono, in prevalenza, organizzate dalle pubbliche autorità (come si sa, gli Stati Uniti sono una federazione di cinquanta stati).
Al contrario di quanto si crede, lo sviluppo delle elezioni primarie negli Stati Uniti è un fenomeno relativamente recente e risale, sostanzialmente, all’ultimo trentennio.
In precedenza, nella maggioranza degli stati non vi erano elezioni primarie e i delegati alle convenzioni nazionali (che, a loro volta, nominavano i candidati alla presidenza) erano scelti in convenzioni statali. In pratica, come si diceva con linguaggio giornalistico, i maggiorenti democratici e repubblicani decidevano le candidature in “stanze piene di fumo”.
Le elezioni primarie si tenevano solo in pochi stati e, sostanzialmente, avevano la funzione di sondaggi di opinione, con i quali si verificava se un candidato era più o meno gradito agli elettori. Una affascinante descrizione di questo sistema si legge in un libro ormai dimenticato (“Come si fa il Presidente” di Theodore White, edito in Italia da Bompiani), dedicato alle elezioni presidenziali del 1960, in cui fu eletto John Kennedy.
Oggi, invece, elezioni primarie fortemente competitive si svolgono in quasi tutti gli stati (solo in pochi stati vi sono i “caucus”, cioè assemblee degli aderenti al partito), dal gennaio al giugno dell’anno delle elezioni presidenziali, e si arriva, ormai, alle convenzioni nazionali con candidati usciti vittoriosi dalle primarie. L’unica incertezza delle convenzioni riguarda solo la scelta dei candidati alla vice presidenza.
* * *
L’esperienza americana delle elezioni primarie è stata esportata. Primarie organizzate dai pubblici poteri si tengono in Argentina, mentre primarie di tipo privatistico, organizzate cioè dai partiti, vi sono state in Francia, Israele, Finlandia, Spagna, Bulgaria, Cile.
In Italia si deve ricordare, prima di tutto, la legge regionale della Toscana 17 dicembre 2004 n. 70, che contiene norme per la selezione dei candidati alle elezioni per il Consiglio regionale ed alla carica di Presidente della Giunta regionale.
Molte sono state, invece, le esperienze italiane di elezioni primarie di tipo privatistico, da quelle per la scelta del candidato premier del centro-sinistra del 16 ottobre 2005, a quelle per la scelta, sempre nell’ambito del centro-sinistra, dei candidati alla presidenza delle Giunte regionali della Puglia e della Sicilia.
Sempre il centro-sinistra ha utilizzato lo strumento delle primarie per scegliere i candidati a Sindaco di alcune città come Palermo, Genova, Como, Reggio Calabria, La Spezia, Lucca, L’Aquila, Carrara.
La coalizione di centro-destra non ha mai indetto elezioni primarie: la concezione di partito propria di Berlusconi esclude che, allo stato, il centro-destra possa far ricorso ad elezioni primarie. Berlusconi in competizione, davanti al suo elettorato, con Fini e Casini è, oggi, un evento inimmaginabile.
Ora le elezioni primarie vengono utilizzate per la scelta del “leader” del nuovo Partito democratico, probabilmente destinato ad essere candidato premier nelle prossime elezioni politiche.
A ben vedere, tuttavia, si tratta di elezioni ben diverse da quelle americane. Negli Stati Uniti, ad esempio, nessuno è in grado oggi di dire chi prevarrà nella competizione fra Hillary Clinton e Barack Obama e nessuno può prevedere le dinamiche che lo scontro fra i candidati più forti potrà innescare nei mesi (da gennaio a giugno) in cui si terranno le primarie.
Nel Partito democratico, invece, le primarie hanno un vincitore già sicuro (Walter Veltroni), e nessuno è disposto a scommettere un centesimo sulla vittoria di Rosy Bindi o Enrico Letta o del pur simpatico Mario Adinolfi (che io voterei, se mai dovessi decidere – cosa assai improbabile – di votare).
Le uniche incertezze sono sul numero dei votanti e sulla dimensione del sicuro successo di Veltroni.
Con ciò non voglio demolire l’idea delle elezioni primarie e la mia definizione di primarie “all’amatriciana” è forse troppo polemica.
Non mi nascondo che un “leader” scelto in una competizione fortemente combattuta ha maggiore autorevolezza di uno scelto, come si diceva negli Stati Uniti, in stanze piene di fumo e privo, quindi, di legittimazione popolare.
E’ vero che le elezioni primarie riducono l’opacità dei meccanismi di selezione dei candidati. Ma è altrettanto vero che i meccanismi con cui il candidato favorito (Veltroni) e gli altri due candidati di rilievo (Bindi e Letta) sono stati scelti, permangono opachi.
Nessuno, poi, ha fatto rilevare che i candidati ai vari organismi di partito sono inseriti in liste bloccate senza preferenze. Lo stesso sistema previsto dalla vigente legge elettorale (la famosa “porcata” di Calderoli), che il Partito democratico sostiene di voler eliminare.
Deve, quindi, concludersi che, probabilmente, tutti i candidati a queste primarie sono stati scelti in stanze piene di fumo.


(articolo pubblicato su "La Cronaca" nell'ottobre 2007)

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