venerdì 24 settembre 2010

UNA “LEGGE PROVVEDIMENTO” PER LICENZIARE VILLARI

Le cronache politiche delle ultime settimane hanno ampiamente parlato del modo in cui poter sostituire Riccardo Villari alla presidenza della Commissione di vigilanza sulla RAI.
Infatti, Riccardo Villari, eletto inopinatamente Presidente della Commissione, non intende sentire ragioni e non vuole dimettersi dalla carica, pur in presenza di un accordo fra le forze politiche per l’elezione di Sergio Zavoli.
Non intendo certo occuparmi dei problemi politici posti dalla elezione di Villari. Voglio piuttosto soffermarmi sulla eventualità, che qualcuno ha suggerito, di approvare una legge per far decadere Villari dalla carica.
Si tratterebbe, secondo l’espressione utilizzata dalla dottrina costituzionalistica, di una “legge provvedimento”.
E’ oggi largamente condivisa l’idea che le leggi si distinguono essenzialmente secondo caratteri di tipo formale. Rilevano cioè l’autorità competente a produrle e le modalità con le quali vengono prodotte.
Secondo l’ordinamento costituzionale italiano, quindi, sono leggi quelle approvate dal Parlamento, secondo le regole del procedimento legislativo previsto dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari.
Non sempre, tuttavia, alla forma della legge corrisponde un contenuto normativo: con la legge, cioè, non vengono sempre poste regole generali ed astratte.
Possono esservi, quindi, leggi provvedimento. Con tale espressione si intendono atti formalmente legislativi che, tuttavia, tengono luogo di provvedimenti amministrativi, in quanto provvedono concretamente su casi e rapporti specifici.
La legge, quindi, può avere anche carattere particolare, concreto, provvedimentale, fermi restando i limiti che essa incontra nelle disposizioni della Costituzione, a partire dal necessario rispetto del principio di eguaglianza, sancito dall’articolo 3.
Il primo problema che si è posto all’interprete è quello dell’ammissibilità della legge provvedimento.
Sotto il profilo costituzionale, in assenza di una riserva relativa all’attività amministrativa, non è, in astratto, preclusa alla legge ordinaria la possibilità di regolare materie ed oggetti normalmente affidati all’attività amministrativa. E’ quindi possibile che, in casi particolari, il legislatore compia direttamente scelte concrete, altrimenti affidate alla discrezionalità dell’Amministrazione, nell’apprezzamento del pubblico interesse.
E’ quanto costantemente ritenuto dalla Corte Costituzionale. Essa ripetutamente ha riconosciuto la compatibilità costituzionale degli atti normativi di che trattasi, sulla base del duplice rilievo dell’insussistenza di una riserva di amministrazione (posto che la Costituzione non garantisce ai pubblici poteri l’esclusività delle attività amministrative), e dell’inconfigurabilità, per il legislatore, di limiti diversi da quelli – formali – dell’osservanza del procedimento di formazione delle leggi, atteso che la Costituzione omette di prescrivere il contenuto sostanziale ed i caratteri essenziali delle disposizioni legislative (si vedano, da ultimo, le sentenze 24 febbraio 1995, n. 63 e 21 luglio 1995 n. 347).
Tuttavia una legge la quale, anziché contenere previsioni generali ed astratte, provveda in concreto, è maggiormente esposta a dubbi di legittimità costituzionale, specie sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza. Il giudizio di costituzionalità non può che farsi particolarmente severo nei confronti di tutte le leggi “provvedimentali”, “personali” o che comunque pongano eccezioni o deroghe a norme generali. Ciò, nella giurisprudenza costituzionale, si è tradotto per lo più, in un controllo di non arbitrarietà e di non irragionevolezza di questo tipo di leggi.
Di contro, avendo forma legislativa, le leggi provvedimento sono sottratte ai rimedi previsti dall’ordinamento nei confronti degli atti della Pubblica Amministrazione.
La Corte Costituzionale ha avuto modo di osservare, al riguardo, che il diritto di difesa, in caso di approvazione con legge di un atto amministrativo lesivo di interessi, non viene sacrificato, ma si trasferisce, secondo il regime di controllo proprio dei provvedimenti legislativi, dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale (Corte Cost., 16 febbraio 1993, n. 62): la legge provvedimento, ancorché abbia il contenuto sostanziale di un atto amministrativo, può essere sindacata solo davanti al suo giudice naturale, la Corte Costituzionale.
Di recente, è stata anche posta la questione della legittimità comunitaria delle leggi provvedimento, nella parte in cui abbiano violato il principio della tutela dell’affidamento.
Tale principio è stato invocato con riguardo al caso di ritiro del provvedimento amministrativo per mezzo di un atto legislativo (legge provvedimento): la questione, in particolare, è stata rimessa dal TAR per il Lazio (Sez. I, ordinanza 23 maggio 2007 n. 880) alla Corte di Giustizia, a proposito di una norma legislativa che aveva ex lege revocato, dopo anni, le concessioni relative all’alta velocità, risolvendo le convenzioni con i general contractors.
Non risulta che, ad oggi, la Corte di Giustizia abbia esaminato e deciso il caso.
Le problematiche sottese alle leggi provvedimento sono, quindi, molteplici. Basterà, soltanto, pensare alle norme che riguardano singole imprese, di cui si è avuto un esempio nel recente caso dell’Alitalia.
Ed anche nel caso a cui abbiamo fatto riferimento all’inizio, quello di una legge per destituire Riccardo Villari dalla presidenza della Commissione di vigilanza sulla RAI, una legge, proprio perché si configurerebbe come legge provvedimento, potrebbe non essere risolutiva della questione, in quanto potrebbe essere sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale.
(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel dicembre 2008)

Nessun commento:

Posta un commento