venerdì 24 settembre 2010

L’ABOLIZIONE DELLE PROVINCE: UN NONSENSO

Nel dibattito apertosi sui programmi presentati dalle forze politiche in vista delle elezioni del 13 aprile 2008, è ricomparsa un’idea non nuova, quella dell’abolizione delle Province.
Da parte dei fautori della soppressione delle Province, si sostiene che tale ente, schiacciato fra le Regioni e i Comuni, non ha più ragion d’essere e che la sua soppressione consentirebbe un notevole risparmio di denaro pubblico.
La tesi fu già prospettata da Ugo La Malfa nel 1970, alla vigilia dell’entrata in funzione dell’ordinamento regionale, ma non ebbe particolare fortuna.
Le Province sono previste dall’art. 114, primo e secondo comma, della Costituzione che, nel testo introdotto dalla Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (la riforma del titolo V) così dispone: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.
Dei due enti locali storicamente preesistenti alla Costituzione, il Comune era quello che vantava la storia più antica, essendo riconducibile, almeno indirettamente, ai comuni medioevali, se non, addirittura, agli antichi municipia romani.
Con l’avvento dello Stato moderno i comuni da città-stato vennero progressivamente degradati al ruolo di mere articolazioni amministrative del potere statale. In maniera simmetrica, la Provincia in quanto ente nacque come una creazione statale, un organismo intermedio tra Stato e Comune con funzioni di ente autarchico e di articolazione del decentramento statale.
Seppure vi fossero organismi simili istituiti in taluni Stati preunitari, la nascita effettiva del nuovo ente è fatta comunemente risalire all’editto albertino n. 659 del 1847 che istituì le Province nel Regno di Sardegna.
La presenza di un ente intermedio fra Stato e Comune, peraltro, non è caratteristica della sola Italia.
In molti ordinamenti statali è presente, infatti, una ripartizione del territorio in ambiti intermedi fra la collettività di base, il Comune, e quelli corrispondenti alla collettività statale o substatale, come la Regione o il Land.
Le circoscrizioni territoriali così individuate hanno diverse denominazioni (dai dipartimenti della tradizione francese risalente al periodo napoleonico, alle contee della tradizione inglese, ai distretti e circoli di quella tedesca, alle province italiane e di altri stati europei).
Nel complesso, tendono tuttavia, ad avere caratteristiche territoriali e demografiche simili e corrispondono a territori di media dimensione, gravitanti attorno ad un centro urbano di rilievo; in questo ambito territoriale, può essere utilmente decentrato l’esercizio di una o più funzioni di governo.
Se questi sono i tratti della provincia come circoscrizione territoriale nei vari ordinamenti, assai diversa è, invece, la sua configurazione sul piano istituzionale. All’individuazione di ambiti territoriali intermedi possono corrispondere infatti figure organizzative notevolmente diverse fra loro: in particolare, l’ambito territoriale provinciale può essere considerato come circoscrizione di decentramento di funzioni di governo e di amministrazione proprie di un livello superiore; può, invece, essere dato rilievo anche alla collettività provinciale, come soggetto investito della capacità, in tutto o in parte, di autogovernarsi, configurandosi quindi, come soggetto di autonomia locale.
Nella figura della Provincia emergono così due profili ben distinti: quello della circoscrizione di decentramento (sede di uffici periferici dipendenti dagli organi centrali dello Stato o della Regione) e quello del soggetto di autonomia locale, che si esprime in un ente autonomo territoriale rappresentativo della collettività provinciale.
La Provincia che, nell’ordinamento postunitario e, ancora più, nell’ordinamento dell’epoca fascista, era essenzialmente una circoscrizione di decentramento, con la Costituzione del 1948 ebbe un importante riconoscimento, essendo collocata fra gli enti che “costituiscono” la Repubblica.
Successivamente, la rivitalizzazione della Provincia è stata, in particolar modo, segnata dalla Legge 8 giugno 1990 n. 142 (che sostituì i vecchi T.U. della legge comunale e provinciale, risalenti in parte al 1915 ed in parte al 1934). Alla Provincia veniva riconosciuto un ruolo rilevante, sia nella programmazione e nella pianificazione del territorio, sia nella gestione di funzioni amministrative.
Il nuovo T.U. sulle autonomie locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) ha affermato che alla Provincia spettano “le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale” in settori quali difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente e prevenzione delle calamità; tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; valorizzazione dei beni culturali; viabilità e trasporti; protezione della flora e della fauna, parchi e riserve naturali; caccia e pesca nelle acque interne; smaltimento dei rifiuti a livello provinciale; rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore; compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica e alla formazione professionale, compresa l’edilizia scolastica.
Così, il legislatore statale – dopo aver completamente trascurato, per vari anni, la Provincia – ha inteso potenziarne la fisionomia funzionale. Ne ha delineato un nuovo ruolo, contrassegnato, per un verso, da significative funzioni di pianificazione e, per l’altro, dalla gestione di una estesa serie di materie, in particolare attinenti alla tutela ed all’uso del territorio.
Altre funzioni sono state delegate alle Province dalle Regioni, ai sensi dell’articolo 118, secondo comma, della Costituzione. La Regione Lombardia, per quanto a noi interessa, ha fatto ampio uso di tale sua facoltà.
Secondo l’attuale assetto, quindi, la Provincia è tutt’altro che un ente inutile. Se la si sopprimesse le sue funzioni dovrebbero essere attribuite alle Regioni (trattandosi di materie di interesse sovracomunale). Abolito l’ente, resterebbero, tuttavia, in piedi i suoi uffici: e si aprirebbe verosimilmente un lungo e complesso contenzioso in ordine alla successione fra enti (che fa venire alla memoria quello, interminabile, apertosi con la Legge 23 dicembre 1978 n. 833, con la quale furono soppressi gli enti ospedalieri, gli istituti mutualistici ed alcuni altri enti ed istituite le unità sanitarie locali).
Per sopprimere le Province, sarebbe, comunque necessaria una riforma costituzionale.
Previste dalla Costituzione, le Province sono, infatti, enti che hanno carattere necessario, sia perché deve essere garantita la loro giuridica esistenza, sia in quanto i cittadini vi appartengono necessariamente.
Una linea di condotta attenta alle esigenze delle comunità locali potrebbe, invece, senza sopprimere le Province, prevedere l’istituzione delle Città metropolitane (già previste dalla Legge 8 giugno 1990 n. 142, ma mai attuate in concreto) che, nelle aree urbane dove fossero istituite, dovrebbero sostituire tanto i Comuni quanto la Provincia. Si potrebbero poi concentrare nelle Province (secondo il modello già utilizzato dalla Regione Lombardia per le Aziende di promozione turistica), le competenze e le funzioni degli enti a carattere provinciale e subprovinciale.
In conclusione, non pare opportuna la soppressione di enti dotati di autonomia, nella quale si esprime la loro capacità di autodeterminazione secondo connotati del tutto peculiari, ricollegabili ai principi del pluralismo istituzionale e della democrazia.


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel marzo 2008)

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