giovedì 2 febbraio 2012

NAPOLITANO COME DE GAULLE

Il protagonista assoluto della vita politica italiana nel corso del 2011 è stato – a detta unanime di tutti gli osservatori – il Presidente della Repubblica Napolitano.
Da ultimo, egli ha saputo, in modo non traumatico, pilotare il passaggio dal Governo Berlusconi al Governo Monti.
La grande stampa internazionale ha colto pienamente il significato del ruolo svolto da Napolitano. “Re Giorgio” lo ha definito il “New York Times”, mentre il quotidiano francese “Le Monde” lo ha paragonato a De Gaulle.
Il paragone sembrerebbe azzardato, in quanto i due personaggi, De Gaulle e Napolitano, non potrebbero essere più diversi.
De Gaulle, guida della Resistenza francese contro i nazisti, era un militare d’antico stampo, un “monumento vivente”, come lo si definiva. Ritiratosi a vita privata dopo la guerra, fu richiamato al potere nel 1958, nel momento in cui la drammatica crisi algerina era sul punto di travolgere la IV Repubblica, dilaniata dalle lotte fra i partiti ed incapace di decidere alcunché. In pochi anni, oltre a concedere l’indipendenza all’Algeria ed a tutta l’Africa francofona, restituì la Francia al ruolo di grande potenza facendone, sia pure in modo non sempre coerente, la protagonista del processo di unificazione europea. Il nome di De Gaulle è soprattutto legato alla Costituzione della V Repubblica, che fu vista allora come una svolta autoritaria, ma che, invece, nell’arco di oltre un cinquantennio, ha garantito alla Francia stabilità e sviluppo. Oggi la Francia ha un sistema politico invidiato in tutta Europa, invidiato soprattutto da noi italiani che, negli anni sessanta, fummo severi critici della V Repubblica e del gollismo.
Talune posizioni di De Gaulle (come il veto all’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea, che infatti avvenne solo nel 1973 sotto il successore di De Gaulle) apparivano allora quasi ottocentesche, ma, rimeditate oggi alla luce di quanto poi accaduto, anche nelle ultime settimane, appaiono straordinariamente moderne ed attuali.
Ben diversa è la figura di Giorgio Napolitano. L’attuale Presidente della Repubblica è stato per molti anni un dirigente comunista, assolutamente ligio alle direttive del partito. In lui, tuttavia, prima che in altre personalità del più grande partito comunista dell’Occidente, fu palese l’evoluzione verso posizioni tipiche delle socialdemocrazie europee. Mentre, nel 1956, appoggiò la repressione sovietica in Ungheria, già nel 1968 fu a fianco della “primavera di Praga”, contestando l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Fu poi il primo dirigente comunista italiano a visitare gli Stati Uniti e ricoprì le cariche di Presidente della Camera dei Deputati e di Ministro dell’Interno. Parlamentare europeo, fu anche Presidente del Consiglio italiano del Movimento europeo.
Ciononostante, il paragone fatto da “Le Monde” è meno azzardato di quanto potrebbe, ad una prima impressione, sembrare.
Come De Gaulle, Napolitano si è trovato a dover affrontare la più significativa crisi che l’Italia abbia conosciuto nel dopoguerra. A tale scopo, ha interpretato i poteri presidenziali in modo estensivo, facendo sì che il suo ruolo si discostasse da quello puramente cerimoniale (tipico, ad esempio, del Presidente della Germania), avvicinandosi a quello, decisamente più politico, che è proprio del Presidente francese (ruolo che fu appunto modellato da De Gaulle). Per comprendere questa evoluzione, può essere utile la lettura di un recente volume di Mammarella e Cacace, “Il Quirinale. Storia politica e istituzionale da De Nicola a Napolitano”, edito da Laterza.
Resta un punto fermo: in Italia, il Presidente della Repubblica opera all’interno della forma di governo parlamentare declinata dalla Costituzione, i cui compiti sono dati dalla responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento, al cui raccordo è stata attribuita la funzione di indirizzo politico, e della corrispondente irresponsabilità del Presidente della Repubblica.
Secondo la dottrina, il ruolo sempre più significativo ricoperto dal Presidente della Repubblica, a partire dalla presidenza Pertini, trova il suo fondamento nel fatto che il Presidente “rappresenta l’unità nazionale”, così come stabilito dall’articolo 87 della Costituzione.
Secondo alcuni studiosi, “la rappresentanza dell’unità nazionale costituirebbe il fondamento per un rapporto diretto con l’opinione pubblica, quale fonte di legittimazione autonoma per farsi voce di esigenze che non si sono ancora coagulate sufficientemente a livello istituzionale, giustificando alla fine l’esistenza di un indirizzo politico del Presidente della Repubblica, anche contro i soggetti legittimati dalla Costituzione”.
Il ruolo giocato da Napolitano nel corso del 2011 e, in particolare, nella crisi che ha segnato il passaggio da Berlusconi a Monti, conferma che, nell’ordinamento costituzionale italiano, la figura del Presidente della Repubblica ha caratteri di indubbia flessibilità. Infatti, in proposito, si è affermato che il Capo dello Stato, proprio per l’innegabile flessibilità della sua figura, può ridursi ad organo puramente cerimoniale e simbolico, oppure, all’estremo, può trasformarsi in organo politico preminente.
Può quindi ritenersi insita nella Costituzione una sorta di “vis expansiva” della figura presidenziale. L’espansione, poi, si verifica in concreto in funzione della situazione politica contingente.
Di converso, può quindi affermarsi che non è in atto una lenta ed irreversibile trasformazione del Presidente della Repubblica in un Presidente alla francese, baricentro dell’intero sistema politico. Anzi, si può ritenere che, in una fase politica meno drammatica, i poteri del Presidente potrebbero tornare ad essere più circoscritti di quelli conosciuti nell’arco del 2011, proprio in forza della flessibilità di cui si è detto.


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel mese di dicembre 2011)