lunedì 10 settembre 2012

L’EUROPA HA BISOGNO DI UN “DRIZZONE”

Era il giugno 2008, poco più di quattro anni fa. Berlusconi era da poco uscito trionfatore dalle elezioni politiche ed aveva formato un governo forte di una delle più ampie maggioranze parlamentari del dopoguerra. E se ne uscì con la battuta per cui l’Europa aveva bisogno di un drizzone (che ovviamente lui era pronto a dare). Al di là della volgarità plebea dell’espressione (che, lo si intuì, stava per cambiamento o svolta) non si capì mai che cosa Berlusconi avesse in mente. Fu ben presto preso dal bunga bunga  e di drizzone  non parlò più. Anzi si ricordò ancora dell’Europa solo nell’estate 2011, di fronte alla minacciosa crisi dei mercati finanziari, che, qualche mese dopo, avrebbe dato un drizzone alla sua vicenda politica.
Al di là di tutto, però, la crisi economica che ha investito l’intera Europa, e, in particolare, la cosiddetta zona euro fra il 2011 ed il 2012 ha posto in primo piano il futuro dell’Europa, che è apparsa più volte in bilico fra il salto di qualità verso l’unione politica e la disgregazione totale di un progetto che ha avuto inizio nel lontano 1951, con la firma del Trattato di Parigi, istitutivo dalla CECA, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio.
I sei paesi firmatari del Trattato CECA, nel 1951, erano da poco usciti da una guerra fortemente distruttiva. Non vi era alcun uomo politico europeo, allora, che non avesse, nella sua storia personale, gli argomenti per opporsi alla pacificazione e al processo di integrazione europea. Ma i leader politici di allora non diedero spazio ai loro, pur comprensibili, risentimenti, senza cedere all’animosità ed al rancore. Il tedesco Adenauer, l’italiano De Gasperi, i francesi Schuman e Monnet e il belga Spaak parlarono del futuro dell’Europa come se il passato non esistesse. Non lo avevano certo dimenticato. Sapevano, però, che ogni polemico riferimento al passato avrebbe alimentato le resistenze nazionali e reso la ricostruzione dell’Europa ancora più difficile.
Da allora sono passati sessantuno anni. Dalla CECA di soli sei paesi, si è passati all’Unione europea a 27 (che diventeranno 28 l’anno prossimo, con l’ingresso della Croazia).
Le competenze di natura economica dell’Unione si sono moltiplicate, con la conseguenza che, mentre nel 1951, le funzioni della CECA erano circoscritte ai settori del carbone e dell’acciaio, oggi non vi è campo dell’economia che non sia regolamentato dall’Unione.
Quello che l’Europa è oggi appare scontato. Nessuno considera, dandolo appunto per scontato, l’enorme vantaggio, dal punto di vista della pace e del benessere, che il mercato unico ha portato.
L’Europa ha dato vita anche ad una moneta comune, l’euro, che ha sostituito le monete nazionali in 17 dei 27 paesi dell’Unione. Una moneta senza uno Stato che la governi è certo un fatto anomalo, dato che è almeno dal secolo XIX che la moneta circola e viene accettata per la fiducia che gli operatori hanno verso lo Stato che l’ha emessa e non per il valore intrinseco dell’oro (o dell’argento) in essa contenuto.
Le conseguenze non sono state felici. L’Unione monetaria, non accompagnata dall’unione bancaria, dall’unione di bilancio e dall’unione politica non si è rivelata all’altezza di far fronte alla speculazione e alla crisi.
La crisi dell’euro ha, di conseguenza, riproposto la necessità di una autorità politica che governi l’Europa, la sua moneta e la sua politica economica. Ho volutamente usato il termine asettico di autorità politica, perché, rispetto agli anni cinquanta, vi è un certo pudore a far uso di parole come Stati Uniti d’Europa, federazione, Stato federale. Eppure il trasferimento della sovranità che vi è stato dagli Stati democratici nazionali al Leviatano tecnocratico di Bruxelles e della BCE non può andare oltre: il trasferimento della sovranità deve avvenire verso autorità che uniscano al carattere sovranazionale la legittimazione democratica.
Questo è il contenuto essenziale della decisione che la Corte Costituzionale tedesca dovrà assumere il 12 settembre prossimo, con riferimento al cosiddetto Trattato del fiscal compact.
Ai ceti politici nazionali; manca una visione strategica europea del nuovo scenario globale. A surrogare questo deficit di capacità della politica europea di porre nuove domande e di dare risposte adeguate, a Bruxelles e Strasburgo si sono gradualmente consolidate classi dirigenti tecnico-burocratiche che, nell’evanescenza della politica europea, si vestono da èlites traenti che “processano” le decisioni a livello dell’Unione.   
Dell’Europa deve quindi riappropriarsi, come nel 1951, la politica.
Infatti proprio la crisi ha mostrato come il sistema intergovernativo dei vertici (Consiglio europeo, Ecofin, Eurogruppo), che si sono succeduti a decine dall’inizio della crisi, sia assolutamente inadeguato come strumento di decisione.
La stessa esperienza del Trattato istitutivo dalla CECA può costituire, ancora oggi, una utile esperienza. Dalla CECA prese vita la CED (Comunità europea di difesa): l’articolo 38 del cui Trattato prevedeva che l’assemblea parlamentare della CED, opportunamente integrata (si parlò, allora, di Assemblea ad hoc) elaborasse un progetto di Trattato istitutivo della Comunità politica europea.
Come si sa, il Trattato della CED fu bocciato dalla Assemblea nazionale francese in una contrastata votazione svoltasi il 30 agosto 1954, che vide uniti nazionalisti e comunisti. Ovviamente, la fine della CED trascinò con sé la Comunità politica europea, che non vide mai la luce.
E’ rimasto, però, il progetto di Statuto, che era stato redatto, in pochi mesi, dalla Assemblea ad hoc. Era un Trattato snello, di poco più di un centinaio di articoli, ben lontano dalla struttura elefantiaca degli attuali Trattati dell’Unione europea.
Lo Statuto della CPE fu il primo progetto costituzionale fondativo di un’Unione di stati e di popoli europei redatto da un’assemblea rappresentativa ufficialmente insediata, a differenza dei diversi documenti costituzionali elaborati da associazioni, movimenti e singoli nel secondo dopoguerra. Lo Statuto, che mirava a fornire una struttura istituzionale completa alla CPE, organizzandone i poteri e delineandone le specifiche competenze, rimase l’unica bozza di costituzione europea fino agli anni ottanta, quando iniziarono ad essere elaborati vari progetti, da cui sarebbero nati l’Atto unico europeo, il progetto – mai entrato in vigore – di Trattato costituzionale europeo ed i Trattati di Maastricht, Nizza e Lisbona.
Nel 2014 si terranno le elezioni europee. Perché gli Stati non potrebbero affidare al Parlamento, come nel 1952 lo affidarono all’Assemblea ad hoc, il compito di redigere un progetto di Trattato di Unione politica? Sarebbe l’unico modo per sottrarre l’Europa agli eurocrati e per restituirla ai cittadini europei. Se l’Unione politica è divenuta indispensabile per salvare il benessere economico degli Stati, non può essere elargita dall’alto, ma deve formarsi attraverso un processo democratico.
E questo è il solo drizzone di cui l’Europa ha veramente necessità.