venerdì 11 febbraio 2011

Cala il sipario sulla saga della Fondazione

Con la nomina e l’insediamento del nuovo Consiglio di Amministrazione della Fondazione Città di Cremona, è calato il sipario su una saga che sembrerebbe aver appassionato i cremonesi per parecchi mesi.
Il sipario dunque è calato e viene da domandarsi se lo spettacolo che è terminato sia stato un bello spettacolo. La risposta alla domanda è senz’altro negativa. Errori e titubanze hanno caratterizzato gli atti amministrativi adottati dal Comune di Cremona; ancora oggi, anche se probabilmente gli atti del Comune riferentisi alla Fondazione sono ormai divenuti inoppugnabili, permangono in me forti perplessità sulla legittimità (oltre che sull’opportunità) di tali provvedimenti.
Intendo, in particolare, riferirmi agli atti successivi alle dimissioni del precedente Consiglio di Amministrazione della Fondazione, ottenute (o, per meglio dire, pretese) dal Sindaco a seguito di incomprensioni verificatesi in relazione all’acquisto, da parte della Fondazione, del complesso di Palazzo Fodri.
Al momento di provvedere alla nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione (che compete al Sindaco del Comune di Cremona, secondo la previsione dell’articolo 9 dello Statuto della Fondazione) il Comune ha ritenuto che, nella fattispecie, dovesse trovare applicazione l’articolo 6, comma 5, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 30 luglio 2010 n. 122. Tale norma testualmente prevede: “Tutti gli enti pubblici, anche economici, e gli organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato, provvedono all’adeguamento dei rispettivi statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, ove non già costituiti in forma monocratica, nonché il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti”.
Poiché lo Statuto della Fondazione prevedeva, invece, un Consiglio di Amministrazione di sette componenti, si disse che, prima che il Sindaco procedesse alle nuove nomine, il numero degli amministratori doveva essere adeguato alle disposizioni legislative sopravvenute.
Nutro molti dubbi in ordine alla necessità che la norma in esame dovesse applicarsi alla Fondazione Città di Cremona. La Fondazione, infatti, è un soggetto di diritto privato. L’articolo 16 del D.Lgs. 4 maggio 2001 n. 207, che dopo gli interventi della Corte Costituzionale in materia di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (da ultimo, si veda Corte Costituzionale, 7 aprile 1988, n. 396), stabilì, infatti, che le istituzioni, per le quali fosse esclusa la possibilità di trasformazione in aziende pubbliche di servizi (non erogando esse direttamente servizi assistenziali), fossero trasformate in associazioni o fondazioni di diritto privato, disciplinate dal codice civile e sottoposte al controllo ed alla vigilanza della Regione, ente nel quale veniva identificata l’autorità governativa, di cui agli articoli 25 e 27 del codice civile.
E questo è quanto è accaduto per la Fondazione Città di Cremona, come ho già avuto modo di spiegare, tempo addietro, su queste stesse colonne.
La norma che dispone la riduzione dei Consigli di Amministrazione a cinque componenti, che pur non brilla certo di eccessiva chiarezza, più che a fondazioni private, sembra potersi riferire agli organismi di diritto pubblico, espressione derivata dal diritto comunitario, con cui si intende qualsiasi organismo anche in forma societaria (e quindi anche di diritto privato) in cui sussistano cumulativamente i seguenti requisiti: che venga istituito, anche in forma societaria, per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, avente carattere non industriale o commerciale; che sia dotato di personalità giuridica; che svolga attività finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure ancora il cui organo di amministrazione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà sia designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (articolo 3, comma 26, del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163, noto come Codice degli appalti pubblici).
Ma la Fondazione Città di Cremona non può certo rientrare nella categoria degli organismi di diritto pubblico, atteso che non risulta essere finanziata, in modo maggioritario, dallo Stato o da altri enti pubblici.
Secondo l’articolo 12 dello Statuto della Fondazione, compete al Consiglio di Amministrazione dell’ente di provvedere, se del caso, alla modificazione dello Statuto. Alla luce di tale precisa disposizione, pare anomalo che, nel caso concreto, per modificare lo Statuto ed adeguarlo alla normativa sopravvenuta (comunque non applicabile per le ragioni già esposte) si sia nominato, su richiesta del Comune, un Commissario da parte dell’A.S.L. (ente cui la Regione Lombardia, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, della L.R. 8 febbraio 2005, n. 6, ha attribuito le funzioni amministrative di vigilanza e controllo, di cui all’articolo 25 del codice civile, sulle persone giuridiche di diritto privato “che operano in ambito socio-sanitario e socio-assistenziale”).
Poiché i poteri dell’A.S.L. non possono che essere quelli previsti dall’articolo 25 del codice civile, non v’è chi non veda come non rientri nelle previsioni di tale norma la nomina di un Commissario allo scopo di apportare modifiche allo Statuto di una fondazione di diritto privato. E’ solo previsto, infatti, che l’Autorità di vigilanza “può sciogliere l’amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto e dello scopo della fondazione o della legge”.
In questo modo, certamente anomalo, lo Statuto della Fondazione è stato modificato, con la riduzione a cinque componenti del Consiglio di Amministrazione.
Lo snellimento del Consiglio di Amministrazione ha poi determinato l’immediato accrescersi degli appetiti delle forze politiche, con una rigida lottizzazione del Consiglio stesso.
Ciò è accaduto nonostante la giurisprudenza (compresa quella del T.A.R. di Brescia) abbia avuto più volte modo di affermare che, quando la nomina riguarda un soggetto privato, come la Fondazione Città di Cremona indubitabilmente è, l’Ente locale procede alla nomina nell’esercizio della propria capacità di diritto civile, della quale è titolare al pari di ogni altro soggetto dell’ordinamento, e quindi non nomina un rappresentante dell’Ente stesso, ma un cittadino degno di fiducia “secondo una valutazione discrezionale del Sindaco, quale pubblica autorità, senza che in alcun modo possano riscontrarsi collegamenti con l’indirizzo politico-amministrativo dell’Ente locale” (si veda, da ultimo, T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 8 luglio 2010, n. 2478).
La conseguenza pratica della feroce lottizzazione del Consiglio di Amministrazione della Fondazione è stata l’eliminazione, dal Consiglio, del rappresentante dell’Associazione degli ex allievi dell’Orfanatrofio, che degnamente rappresentava quanti tradizionalmente erano stati beneficati dalle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza di Cremona.
Da parte delle forze politiche, bontà loro, si è detto che un rappresentante dell’Associazione sarebbe stato ammesso come uditore alle adunanze del Consiglio di Amministrazione (contro ogni previsione legislativa o statutaria).
Grazie al cielo, la Fondazione Città di Cremona, come più volte si è ripetuto, è un ente privato. Se così non fosse, e la Fondazione fosse, come ai piani alti del Palazzo Municipale si mostra di credere, una azienda partecipata del Comune, tutti gli atti della Fondazione, se adottati con l’intervento di persone estranee al Consiglio di Amministrazione, sarebbero, per ciò stesso, illegittimi.
Come ha ritenuto il Consiglio di Stato (Sezione VI, 21 ottobre 1996, n. 1367), costituisce principio generale il fatto che, negli organi collegiali, la partecipazione di persone estranee, anche se limitata alla sola presenza fisica, costituisce motivo di invalidità delle deliberazioni assunte dall’organo.
Ma la cosa che, nella vicenda, maggiormente stupisce è un’altra. Nessuno, in modo particolare dell’opposizione o della sempre invocata società civile, ha criticato, se non con un fragoroso silenzio, questa poco commendevole proposta di inserire un uditore nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione.
Purtroppo, il vero problema dell’ordinamento costituzionale italiano (evito deliberatamente di usare la stucchevole espressione riforme) sembra essere quello di ricostituire le condizioni perché si affermi e si consolidi l’indipendenza delle istituzioni governanti dai partiti e dai movimenti politici, dalle cui invadenti ingerenze le istituzioni stesse devono essere poste al riparo.
Ma questo è un problema che va ben al di là delle modeste vicende della Fondazione Città di Cremona.


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel febbraio 2011)