tag:blogger.com,1999:blog-10899532741555615222023-06-20T21:04:46.147-07:00Cronache del dirittoAvv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.comBlogger98125tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-85078167242876519572014-01-16T10:57:00.000-08:002014-01-23T11:35:47.008-08:00TRA PASSATO E FUTURO: NOTE MINIME SUL PROCESSO CIVILE (*)Nel dibattito politico italiano, il tema della giustizia è, da qualche tempo, sempre più presente. Al centro dell'attenzione è essenzialmente il processo penale, sia perchè se ne parla, spesso strumentalmente, in relazione alle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi, sia perchè è il processo penale che può incidere su un bene di eccezionale rilevanza quale è la libertà personale. Tuttavia, non deve essere trascurato il processo civile per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, il processo civile è inteso a dirimere le controversie fra privati. Potenzialmente, quindi, riguarda la gran parte dei consociati. Secondariamente, ad avviso di molti osservatori, le difficoltà e le lungaggini della giustizia civile costituiscono la causa non ultima che induce gli imprenditori stranieri a non investire in Italia (si può leggere, in proposito, il Rapporto sulla giustizia civile predisposto dall'OCSE). Sul processo civile mi sia consentita qualche riflessione personale. Alla fine di marzo del 1967, e cioè più di quarantasei anni fa, varcavo, per la prima volta, la soglia di Palazzo Persichelli ed iniziavo la pratica forense. Ebbi subito uno choc assistendo alle prime udienze civili. Ebbi la sensazione di trovarmi in un mercato, in cui si accavallavano le presenze degli avvocati negli uffici dei giudici. Tutto ciò mi appariva molto diverso dal processo civile che avevo studiato sotto la guida di un illustre maestro, di origine cremonese, Vittorio Denti che, negli anni successivi, ebbi modo di apprezzare, oltre che come studioso, come grandissimo avvocato e che mi onorò della sua stima ed amicizia. Il processo che avevo studiato era quello delineato dal Codice di procedura civile del 1942, così come successivamente modificato nel 1950. Era un processo in cui il dominus era il Giudice istruttore, sotto il controllo del Collegio, e che doveva essere improntato ai principi, teorizzati dal grande processualista Giuseppe Chiovenda, di oralità, concentrazione, immediatezza. Mi accorsi ben presto che la realtà era molto diversa: il giudice ben di rado conosceva il processo prima di decidere sull'ammissibilità e rilevanza delle prove ed il processo non era orale ma prevalentemente scritto; non era concentrato ma si diluiva in una lunghissima serie di udienze. Infine, la decisione non dava in alcun modo una sensazione di immediatezza. Tuttavia, negli anni sessanta e, all'inizio degli anni settanta, il processo civile era sufficientemente funzionale rispetto alle esigenze sociali dell'epoca. I problemi iniziarono negli anni settanta quando, sotto la spinta del fenomeno del terrorismo, si disse che bisognava, in ogni caso, “privilegiare il penale”. I magistrati impegnati nel settore penale che, negli anni cinquanta, erano circa un terzo del totale, crebbero in breve tempo sino alla metà. La crisi del processo civile, a quel punto, era inevitabile e, purtroppo, irreversibile. Le riforme che, a partire dagli anni novanta, si sono susseguite, quasi con cadenza annuale, non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. Modifiche affrettate ed a macchia di leopardo hanno demolito l'intima coerenza del codice del 1942 ed hanno creato una situazione di costante incertezza interpretativa delle norme processuali. Il modello di processo inizialmente delineato dal codice del 1942 ebbe vita breve. Terminata la guerra, si ebbe un grande movimento di opinione, che vide in prima fila l'avvocatura, per il ritorno al codice del 1865, che era considerato di ispirazione liberale, in contrasto con l'impostazione autoritaria del codice del 1942. Da questo movimento di opinione nacque la novella del 1950, che ridusse il ruolo del Giudice istruttore a favore dell'iniziativa delle parti e abolì il sistema delle preclusioni introdotto nel 1942. Ma, al di là di queste vicende storiche, il modello di processo delineato dal codice del 1942 non poteva funzionare non tanto perchè frutto di una ispirazione autoritaria, quanto per insuperabili ragioni organizzative. Infatti, se il Giudice istruttore doveva essere il dominus del processo, era indispensabile che potesse avere in concreto il controllo dei processi a lui affidati. Si diceva (io, anche se vecchio, non posso dirlo per esperienza diretta) che, perchè il processo del 1942 potesse funzionare, ogni Giudice non poteva avere più di una cinquantina di fascicoli a lui affidati. Se pensiamo, invece, come in taluni Tribunali, ad esempio Brescia, il numero medio dei fascicoli assegnati a ciascun Giudice istruttore è di circa 1.500, ci accorgiamo di come l'idea di un Giudice istruttore dominus del processo (e di un processo improntato ai principi di oralità, concentrazione ed immediatezza), si risolva in una pura astrazione. Effetti parzialmente positivi ha avuto, questo va riconosciuto, l'introduzione del rito del lavoro che risale al 1973, ed in cui i poteri di iniziativa delle parti sono temperati dai poteri officiosi del Giudice. Tuttavia, soprattutto dopo il 1998, allorquando la materia del pubblico impiego fu affidata ai Giudice del lavoro, anche il modello entrò in crisi, a causa dell'elevato contenzioso. Il problema, come mi pare di avere già accennato, non è tanto nel modello di processo, quanto nel numero di cause che è ingestibile da parte delle attuali strutture e dell'attuale numero di magistrati addetti al settore civile. Vi sono stati diversi tentativi per deflazionare il contenzioso, ma non mi pare che abbiano ottenuto un particolare successo. In primo luogo per un motivo culturale: l'Italia sembra la patria della “litigation”; la mediazione sembra estranea alla nostra cultura, che in tanti casi non ricerca il contemperamento degli interessi, ma vuole l'annientamento dell'avversario. Inoltre tentativi come quello dell'introduzione dei magistrati onorari e della mediazione, recentemente reintrodotta dopo essere stata eliminata dalla Corte costituzionale, non hanno sinora ottenuto successo perchè gli italiani, in primo luogo gli avvocati, hanno fiducia nel magistrato togato, cui, anche nel subconscio, riconoscono terzietà e competenza, mentre diffidano degli estranei all'ordine giudiziario. Per quanto riguarda l'arbitrato, va detto che esso costituisce un prodotto, come si suol dire, “di nicchia”: infatti è molto costoso e si adatta prevalentemente a controversie di assai elevato valore economico. Come ho già detto, il vero nodo da sciogliere della giustizia civile è la quantità del contenzioso. Si possono introdurre tutti gli accorgimenti tecnici che si vogliono, si può introdurre un rigidissimo sistema di preclusioni, ma il collo di bottiglia del processo è rappresentato dalla redazione delle sentenze, atteso che nessun magistrato può materialmente scrivere più di un certo numero di sentenze all'anno, numero molto ridotto rispetto al contenzioso pendente. Come puro esercizio intellettuale si possono ipotizzare modelli alternativi di processo, rispetto a quello esistente. Vorrei accennare a due modelli, che hanno ciascuno pregi e difetti. Il primo modello è quello previsto dal Regolamento di procedura applicato davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione europea. E' un modello assolutamente garantista, distingue una fase scritta da una fase orale, è rispettoso al massimo del principio del contraddittorio, garantisce l'interesse pubblico con l'intervento obbligatorio in giudizio di una parte imparziale, e cioè l'Avvocato generale (che ha un ruolo non dissimile da quello del Pubblico ministero nei giudizi civili davanti alla nostra Corte di Cassazione). Non è tuttavia ipotizzabile l'introduzione di un siffatto modello. Esso può funzionare davanti alla Corte di Giustizia, dove il contenzioso è assai ridotto e le questioni che devono essere decise sono essenzialmente di diritto e non già di fatto. Non può certo funzionare nella generalità dei casi. Un altro modello, alla cui introduzione nell'ambito della giustizia civile mi pare si potrebbe pensare con attenzione, è quello del giudizio cautelare amministrativo. Si tratta di un rito molto veloce e deformalizzato, atteso che le parti sono convocate in camera di consiglio davanti al Collegio nel giro di qualche settimana dal momento del deposito del ricorso. In camera di consiglio le parti, sempre che non vogliano rimettersi agli scritti, discutono brevemente il ricorso e il Collegio decide con ordinanza succintamente motivata. La decisione è pressochè immediata, atteso che l'ordinanza viene depositata al massimo due o tre giorni dopo la discussione in camera di consiglio. L'ordinanza è impugnabile davanti al Consiglio di Stato, anche se l'impugnazione non è statisticamente molto frequente. In gran parte dei casi le parti si acquietano di fronte alla decisione del giudice ed accettano l'ordinanza, tanto è vero che gran parte dei ricorsi viene dichiarata perenta dopo cinque anni dalla camera di consiglio, con la conseguenza che l'arretrato esistente, apparentemente colossale, è in molti casi del tutto fittizio. L'adozione di questo modello, tuttavia, richiederebbe agli avvocati un forte cambiamento di mentalità. I ristretti tempi per la decisione in camera di consiglio impongono, infatti, all'avvocato di sparare subito tutte le sue cartucce, arrivando anche a prevedere quali possono essere le difese avversarie, confutandole in anticipo. Inoltre, la consulenza tecnica e la prova testimoniale, anche se astrattamente ammissibili, sono assai rare nella pratica, con la conseguenza che è privilegiata la prova documentale, al contrario di quanto avviene sia nel processo civile che nel processo penale. La prassi della discussione prevede, inoltre, che il Collegio ponga delle domande agli avvocati. La discussione può risolversi, per l'avvocato, in una sorta di esame, a cui bisogna giungere assolutamente ben preparati. Viene poi da dire che, proprio in questo modello, probabilmente trovano concreta attuazione i principi di Chiovenda dell'oralità, della concentrazione, dell'immediatezza. E' da ricordare, infine, che un sistema siffatto, supportato da una buona organizzazione del lavoro (come la fissazione nella medesima udienza di ricorsi simili), è fisiologicamente contrario alla formazione dell'arretrato. Pensiamo, infatti, che per quanto concerne il TAR di Brescia, da cui Cremona dipende, vengono mediamente discussi e decisi, con ordinanza cautelare, dai quaranta ai cinquanta ricorsi per udienza, con un numero di quattro udienze mensili, fatta eccezione per il periodo estivo ed il periodo natalizio. (*) Il testo che precede costituisce la rielaborazione dell'intervento svolto in occasione della tavola rotonda sul tema “Esiste ancora in Italia il processo accusatorio?” tenutasi il giorno 11 ottobre 2013.Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-1423969890223852162013-07-11T04:41:00.000-07:002013-07-11T04:43:26.505-07:00DA CONSIGLIERI A MEZZI ASSESSORI: E’ UN SALTO POSSIBILE?<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La recente decisione del Sindaco di Cremona di affidare ad un consigliere comunale, anziché ad un assessore, l’incarico di sovrintendere al settore del commercio, e cioè di uno dei settori chiave nell’ambito delle competenze comunali (insieme all’urbanistica, all’edilizia, ai lavori pubblici ed ai servizi sociali) merita di essere approfondita. La scelta, di indubbio rilievo, non ha destato particolare interesse negli organi di informazione, sempre attenti ad ogni stormir di fronde in quelli che si usano definire i “piani alti” del Palazzo municipale. Ma non ha sollecitato neppure l’attenzione delle cosiddette opposizioni (che, a volte, si fa fatica a capire a che cosa si oppongano). In realtà, la confusione fra i ruoli di consigliere e di assessore pone problemi di carattere istituzionale non irrilevanti. Un tempo, quando l'ordinamento degli enti locali aveva come suo fondamento il T.U. del 1915 (R.D. 4 febbraio 1915 n. 148), gli elettori sceglievano il solo Consiglio comunale, il quale, poi, nel suo seno, eleggeva la Giunta municipale ed il Sindaco. Negli anni novanta, la situazione fu profondamente innovata, dapprima con la Legge 8 giugno 1990 n. 142 e poi con la Legge 25 marzo 1993 n. 81, entrambe successivamente trasfuse nel vigente T.U. sull'ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267). Tra le principali innovazioni rispetto al sistema precedente (i cui principi ispiratori risalivano addirittura alla Legge “Rattazzi” del Regno di Sardegna, emanata il 23 ottobre 1859) vi sono l'elezione diretta del Sindaco e l'incompatibilità fra l'appartenenza alla Giunta ed al Consiglio comunale. I ruoli del Consiglio comunale e della Giunta sono nettamente separati. Secondo l'articolo 42 del T.U., il Consiglio è “organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo”. Inoltre ha competenza rispetto ad alcuni atti fondamentali, specificatamente indicati. L'articolo 48, di contro, prevede che la Giunta collabora con il Sindaco nel governo del Comune. Se questi sono i ruoli, chiaramente fra di loro distinti di Consiglio e Giunta, resta da vedere se sia possibile che il Sindaco affidi ad uno o più consiglieri deleghe di funzioni amministrative attinenti il governo del Comune che, come si è visto, spetta invece alla Giunta. La figura del consigliere delegato (quella che il Sindaco di Cremona ha introdotto per il settore del Commercio) contrasta chiaramente con l'impianto della normativa che si è affermata nel corso degli anni novanta e di cui si è detto. Oggi, infatti, il Consiglio non esprime più direttamente l'esecutivo, non ha più competenze gestionali, approva gli atti fondamentali dell'ente, svolge la funzione di indirizzo politico-amministrativo e di controllo sull'attività dell'ente. Il consigliere quindi non può essere chiamato a gestire direttamente un settore dell'amministrazione per conto del Sindaco perchè si troverebbe contemporaneamente nella posizione di controllato (in quanto consigliere delegato) e di controllore (in quanto consigliere). La normativa attuale impone conseguentemente la separazione dei ruoli tra esecutivo e Consiglio. Tuttavia, l'articolo 12, comma 7, dello Statuto del Comune di Cremona prevede che “il Sindaco può affidare a consigliere o a consiglieri comunali compiti specifici delimitandone funzioni e termini”. Una non recente pronuncia giurisprudenziale (TAR Toscana, 27 aprile 2004 n. 1248) ha affermato che lo Statuto comunale, fatto salvo il rispetto dei principi e precetti legislativi in materia di organizzazione degli enti locali, può prevedere la delegabilità da parte del Sindaco ad un consigliere di alcune competenze, che non comportino l'adozione di atti a rilevanza esterna e compiti di amministrazione attiva, limitate ad approfondimenti collaborativi per l'esercizio diretto delle predette funzioni da parte del Sindaco che ne è titolare. Si ignora quale sia il contenuto della delega attribuita dal Sindaco in materia di commercio. Nonostante le più accurate ricerche, infatti, non è stato possibile reperire il provvedimento sul sito internet del Comune. Il che non depone certo a favore della trasparenza amministrativa. Pare, tuttavia, difficile che una delega di carattere generale come quella riguardante il settore del commercio abbia, come richiesto dalla norma statutaria, dei precisi termini temporali. Pare, altresì, difficile che la delega, secondo l'insegnamento del TAR per la Toscana, non attribuisca al consigliere delegato compiti di amministrazione attiva, che comporterebbero l'inammissibile confusione in capo al medesimo soggetto dei ruoli di controllore e di controllato. Vi è poi il problema della partecipazione del consigliere delegato alle riunioni della Giunta che non dovrebbe essere possibile, stante il divieto di far partecipare alla Giunta soggetti estranei alla medesima, a pena dell'illegittimità delle deliberazioni adottate (si veda TAR Puglia, Lecce, 24 gennaio 2006, n. 470). D'altro canto, risulta evidente la difficoltà, per non dire l'impossibilità, per la Giunta, ad operare come “organo di governo” in materia di commercio, senza la presenza di chi, nell'ambito della Amministrazione, è stato delegato ad occuparsi del settore. Né, a questa difficoltà, sarebbe possibile porre rimedio con riunioni informali ma aventi sostanzialmente funzioni decisionali, in quanto la loro istituzionalizzazione cozzerebbe contro il già richiamato principio della impossibilità, per gli estranei, di partecipare alle decisioni degli organi collegiali. Si ignora, infine, se il consigliere delegato, per la sua attività, venga retribuito con una indennità, così come sono retribuiti gli assessori. In caso affermativo, vi sarebbe certamente, a carico di chi avesse assunto la decisione di corrispondere l'indennità, responsabilità per danno erariale, suscettibile di giudizio davanti alla Corte dei Conti. Un bel pasticcio politico-istituzionale, quindi, che la saggezza amministrativa, che viene prima dell'opportunità politica, avrebbe dovuto consigliare di evitare. Sarebbe bastato leggere una recente pronuncia del Consiglio di Stato (parere su ricorso straordinario, 26 novembre 2012 n. 4992) in cui si è affermato il seguente principio: “Non si può disconoscere che l'esercizio delle deleghe in questione comporti il coinvolgimento dei consiglieri comunali delegati in funzioni di amministrazione attiva e determini una situazione, per lo meno potenziale, di conflitto d'interessi e di sovrapposizione di ruoli e di responsabilità”. </span></div>
Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-11788341695661777732013-04-27T05:28:00.001-07:002013-04-27T05:28:48.439-07:00UNA CRISI CHE VIENE DA LONTANO<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La sera del terzo giorno lo psicodramma è finito. Ma, come ha scritto Lucia Annunziata, la drammatica ed inattesa rielezione di Napolitano, ha sancito il “<i>default</i>” del sistema.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Una intera classe politica si è rivelata impari rispetto alle responsabilità alla stessa affidate e del tutto incapace di scegliere un Presidente della Repubblica con le caratteristiche che si richiedono per ricoprire l’alta carica. Eppure non mancavano, fra i possibili candidati, personalità di statura internazionale, di esperienza politica, di alto livello culturale e di assoluta integrità morale.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ma questa classe politica imbelle si è trovata unita nel chiedere al quasi nonagenario Napolitano il sacrificio (che a Napolitano deve essere umanamente costato moltissimo) di accettare un nuovo mandato.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Per senso di responsabilità ed attaccamento alle istituzioni, Napolitano ha accettato la rielezione, fatto che non ha precedenti nella storia repubblicana.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’impotenza del Parlamento ha però, indubbiamente, esaltato il ruolo del Presidente che, d’ora in poi, alla riottosità delle forze politiche, potrà opporre, oltre al suo potere di sciogliere le Camere, anche la possibilità di rassegnare, in ogni momento, le sue dimissioni. E questo Napolitano lo ha fatto chiaramente intendere nel discorso di insediamento. Si conferma, quindi, nel concreto, la tesi già prospettata da alcuni costituzionalisti per cui il ruolo del Presidente, nell’ordinamento costituzionale, possiede una sorta di “<i>vis expansiva</i>” che, nei momenti di crisi ed instabilità politica, esalta la posizione del Presidente quale rappresentante dell’unità nazionale.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Anche se in un contesto drammatico, in cui pareva che, a partire da quello del Partito democratico, i gruppi parlamentari fossero destinati a<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>disintegrarsi, questa elezione presidenziale si è risolta al sesto scrutinio, in un tempo cioè relativamente breve. Si è rimasti molto lontani dai tempi di alcune elezioni presidenziali del passato. Per l’elezione di Leone nel 1971 occorsero 23 scrutini; 21 ne servirono nel 1964 per eleggere Saragat; sia Pertini nel 1985 che Scalfaro nel 1992 furono eletti al sedicesimo scrutinio; per eleggere Segni, nel 1962, servirono 9 scrutini. Anche nella IV Repubblica francese (che prevedeva un sistema di elezione del Presidente della Repubblica simile al nostro), nel 1953, Rene Coty fu eletto solo al tredicesimo scrutinio.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Tutte queste elezioni, anche se lontane nel tempo, furono traumatiche. All’epoca, tuttavia, le istituzioni repubblicane avevano una solidità che oggi si è perduta.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">In questa elezione, poi, i parlamentari ed i rappresentanti regionali hanno mostrato ben poca dignità istituzionale e sono apparsi inconsapevoli del loro ruolo. Vi sono stati voti assolutamente improbabili (basterà citare quelli a Valeria Marini e Rocco Siffredi). Parlamentari e rappresentanti regionali si sono poi fatti beffe della segretezza del voto, rendendo il loro voto riconoscibile e vantandosene davanti alle telecamere, nonché abusando della prassi dell’astensione, giudicata con perplessità da parte della dottrina costituzionalistica.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Quanto è accaduto induce, quindi, ad una riflessione: ci si può chiedere se, in luogo della elezione parlamentare, che così tante volte si è rivelata traumatica, non sarebbe il caso di introdurre l’elezione diretta del Presidente della Repubblica.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Secondo l’opinione corrente, l’elezione diretta è legata all’esistenza di una forma di governo presidenziale (come quella degli Stati Uniti) o semi-presidenziale (come quella della Francia della V Repubblica).<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">In realtà, la elezione diretta è compatibile con una forma di governo parlamentare come quella esistente in Italia. Nell’ambito dell’Unione europea, solo <st1:personname productid="la Germania" w:st="on">la Germania</st1:personname> e <st1:personname productid="la Grecia" w:st="on">la Grecia</st1:personname> hanno una modalità di elezione del Presidente della Repubblica simile a quella del nostro paese. Portogallo, Austria, Irlanda, Finlandia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, che pure hanno un regime sostanzialmente di tipo parlamentare, eleggono il Presidente della Repubblica con il voto popolare diretto.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Nel corso dei lavori dell’Assemblea Costituente, emerse chiaramente che la forma di governo più adatta alla società italiana era quella parlamentare, nel solco della tradizione liberale prefascista. Solo il piccolo Partito d’Azione, per bocca soprattutto di Piero Calamandrei, si pronunciò per un sistema presidenziale. Alla scelta della forma di governo, fu subordinata quella del metodo di elezione del Capo dello Stato. L’esperienza della repubblica di Weimar condizionò la dottrina costituzionalistica e le scelte dell’Assemblea Costituente. L’esito tragico dell’esperienza weimariana (che si concluse con l’ascesa al potere di Hitler) rendeva assai diffidenti i costituenti nei confronti della forma di governo, introdotta dalla costituzione tedesca del 1919, che prevedeva la doppia legittimazione del Parlamento (eletto con il sistema proporzionale) e del Capo dello Stato (eletto con un sistema che al primo turno prescriveva la maggioranza assoluta dei voti e al secondo turno la maggioranza relativa). Il dualismo insito in quel sistema venne considerato negativamente, almeno fino a quando non fu ripreso dalla Costituzione francese del 1958.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Di conseguenza, l’elezione da parte del Parlamento, sebbene non fosse l’unica possibile, risultava la più coerente con la forma di governo prescelta, mentre l’elezione da parte del popolo veniva considerata incompatibile con il ruolo del Presidente, al quale non si voleva attribuire un potere di governo.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">A sessantacinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, la situazione è cambiata. E’ cambiata in Europa, dove lo spettro di Weimar si è dissolto. Ma è cambiata soprattutto in Italia.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Come in Francia la crisi algerina determinò il passaggio, nel volgere di qualche mese, dalla IV alla V Repubblica, così pure nel nostro paese, la crisi politica, che si è progressivamente aggravata negli ultimi decenni, fa sì che la figura del Presidente della Repubblica si stagli sempre di più come la figura centrale nell’equilibrio delle istituzioni, sì da richiedere quella forte legittimazione che gli deriverebbe dall’elezione popolare.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il cambiamento del sistema di elezione del Presidente della Repubblica e, in prospettiva, la introduzione, sul modello francese, di un regime semi-presidenziale ha sempre suscitato forti diffidenze.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Molti, soprattutto a sinistra, usano ripetere, come un mantra, che <st1:personname productid="la Costituzione" w:st="on">la Costituzione</st1:personname> italiana è la più bella del mondo. Ma una Costituzione non deve essere “<i>bella</i>”; è sufficiente sia, quanto al sistema di governo, “<i>efficace</i>”, ovvero “<i>funzionale</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">E costoro probabilmente ben poco conoscono della nascita della Costituzione italiana, e del contesto storico in cui avvenne e della sua interpretazione, soprattutto ad opera della giurisprudenza della Corte Costituzionale. E probabilmente ignorano del tutto le altre Costituzioni cui quella italiana si ispirò e quelle con cui oggi può essere confrontata.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><st1:personname productid="la Costituzione" w:st="on"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;">La Costituzione</span></st1:personname><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"> non è un feticcio, ma un testo legislativo che va conosciuto e studiato (e, se occorre, modificato con grande parsimonia).<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il modo di elezione del Presidente della Repubblica è, appunto, una delle possibili modifiche a cui pensare.<o:p></o:p></span></span></div>
Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-48183850253083788302013-04-15T04:43:00.000-07:002013-04-15T04:43:51.756-07:00RESTITUIRE LO SCETTRO AL PRINCIPE<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il politologo Gianfranco Pasquino che, in anni lontani, fu anche senatore della Repubblica (ed ebbe quindi modo ci vivere come protagonista all’interno delle istituzioni) scrisse, nel 1985, un saggio sulle riforme istituzionali, dal titolo suggestivo “<i>Restituire lo scettro al principe</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il principe è, evidentemente, il popolo sovrano, gli elettori, cui il potere di scelta è stato sottratto dai partiti.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’usurpazione della sovranità popolare da parte dei partiti è caratteristica del sistema politico italiano, ovvero di quella che si suole chiamare la “<i>costituzione materiale</i>” del nostro paese. Al 1949, infatti, risale il termine “<i>partitocrazia</i>” coniato dal costituzionalista Giuseppe Maranini nella sua prolusione all’Università di Firenze dal titolo “<i>Governo parlamentare e partitocrazia</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il fenomeno si è, tuttavia, aggravato a partire dal 2006, quando entrò in vigore l’attuale legge elettorale per <st1:personname productid="la Camera" w:st="on">la Camera</st1:personname> ed il Senato, <st1:personname productid="la Legge" w:st="on">la Legge</st1:personname> 29 dicembre 2005 n. 270, comunemente conosciuta con la definizione di “<i>porcellum</i>”, frutto della fantasia del politologo Giovanni Sartori.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il “<i>porcellum</i>” non ha mai goduto di buona stampa ed è sempre stato sottoposto a feroci critiche sia da parte di giuristi che di politologi. Ma non si è mai riusciti ad eliminarlo, in quanto del tutto funzionale agli interessi, sovente inconfessabili, delle forze politiche e dei loro ristretti gruppi dirigenti.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Due furono i tentativi di modificare il “<i>porcellum</i>” attraverso lo strumento del referendum. Nel 2009, grazie anche all’ostilità di tutti i partiti, un referendum inteso a cancellare alcune parti della legge, per modificarne il significato, non raggiunse il <i>quorum</i>.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Due successive richieste di referendum che miravano alla abolizione integrale della legge (per far rivivere la legge precedente) furono dichiarate inammissibili dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 12 gennaio 2012 n. <st1:metricconverter productid="13, in" w:st="on">13, in</st1:metricconverter> quanto i quesiti referendari avrebbero lasciato una situazione di vuoto legislativo qualora approvati dal voto.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">I difetti del “<i>porcellum</i>” si sono fatti ancor più evidenti dopo l’esito delle elezioni del 24 e 25 febbraio 2013.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Oltre ai difetti che derivano dall’impossibilità, per l’elettore, di esprimere, in qualsiasi forma, la sua scelta per un candidato, sono emersi, in modo prepotente, i limiti del premio di maggioranza, previsto dalla legge (si dice, da parte dei teorici della partitocrazia, per garantire la governabilità). Di fronte a tre schieramenti non dissimili quanto a forza numerica, al Senato il premio non ha funzionato. I premi, calcolati per regione, si sono, infatti, neutralizzati a vicenda.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Alla Camera, invece, la coalizione risultata maggioritaria, con circa il trenta per cento dei voti, ha ottenuto 340 seggi, e cioè quasi il doppio di quali che avrebbe potuto conseguire secondo un riparto proporzionale.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">In altri termini, il voto degli elettori della coalizione vincente ha avuto l’effetto di valere per due, mentre il voto attribuito a tutte le altre forze politiche valeva solo uno.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ciò appare stridere in modo palese con il dettato dell’articolo 48 della Costituzione che prevede, fra l’altro, come il voto debba essere “<i>eguale</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Secondo la dottrina costituzionalistica, il principio di eguaglianza del voto deve essere rigorosamente rispettato “<i>in entrata</i>”, con la conseguenza dell’assoluto divieto di ogni forma di voto plurimo o multiplo (pur presente in passato nei sistemi elettorali di altri paesi). Non altrettanto rigida deve essere l’eguaglianza del voto “<i>in uscita</i>”, ovvero nel processo di trasformazione dei voti in seggi. <st1:personname productid="La Corte Costituzionale" w:st="on">La Corte Costituzionale</st1:personname> (nella sentenza 11 luglio 1961 n. 43) ha chiarito che il principio di eguaglianza del voto non si estende al risultato concreto della manifestazione di volontà dell’elettore.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Detto risultato “<i>dipende, invece, esclusivamente dal sistema elettorale che il legislatore ordinario, non avendo <st1:personname productid="la Costituzione" w:st="on">la Costituzione</st1:personname> disposto al riguardo, ha adottato per le elezioni politiche e amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni popolari</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Nella Costituzione, infatti, non è espresso il principio proporzionalistico, anche se tale principio può intuirsi come sotteso a varie disposizioni costituzionali.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La possibilità di introdurre una disciplina elettorale maggioritaria trova però un limite nel principio di ragionevolezza. E’, in particolare, problematica, sotto il principio della legittimità costituzionale, una legislazione, come quella prevista per <st1:personname productid="la Camera" w:st="on">la Camera</st1:personname> dei Deputati, che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti o di seggi. Dubbi in questo senso sono stati espressi dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 15, 16, 17 del 30 gennaio 2008 (relative ai referendum del 2009) ed, ancora, dal Presidente della Corte Costituzionale Franco Gallo nella sua relazione annuale sull’attività del giudice delle leggi tenuta il giorno 12 aprile 2013.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’irragionevolezza della disciplina prevista dal “<i>porcellum</i>” trova conferma nel fatto che due famose leggi maggioritarie del passato, pur avendo suscitato, a suo tempo, polemiche roventi, prevedevano, per l’applicazione del premio di maggioranza, il raggiungimento di una soglia minima di voti. Si tratta della Legge “<i>Acerbo</i>” (Legge 18 novembre 1923, n. 2444, voluta da Mussolini per assicurare ai fascisti una solida maggioranza) e della legge “<i>truffa</i>” (Legge 31 marzo 1953, n. 148, contro la cui approvazione i comunisti condussero un’epica battaglia, e che poi non fu applicata, per il mancato raggiungimento della soglia prevista, che era allora del cinquanta per cento).<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il meccanismo previsto dall’ordinamento per la proposizione delle questioni di legittimità costituzionale (di cui già ho parlato in un articolo pubblicato mesi fa su questo sito “<st1:personname productid="La Corte Costituzionale" w:st="on"><i>La Corte Costituzionale</i></st1:personname><i> voce viva della Costituzione</i>”) rende assai difficile che il “<i>porcellum</i>” possa essere sottoposto al giudizio della Corte Costituzionale.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La responsabilità di “<i>restituire lo scettro al principe</i>”, eliminando il “<i>porcellum</i>” dall’ordinamento, compete, in conclusione, al Parlamento. La riforma elettorale deve contribuire a togliere ai partiti, per restituirlo agli elettori, quel che essi hanno tolto allo Stato e alla società, trasformando il sistema proporzionale in partitocrazia.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ma non so se, anche sotto la spinta della grave crisi morale, sociale, economica e politica del paese, le forze politiche avranno il coraggio di compiere le scelte che pure, da parte di molti, si ritengono non più dilazionabili.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Come si suol dire, non si può pretendere che il tacchino festeggi il Natale.</span><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><o:p></o:p></span></span></div>
Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-84159943044485876342013-01-14T05:39:00.002-08:002013-01-14T05:41:08.201-08:00IL DILEMMA DEL “PORCELLUM”<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La vigente legge elettorale (<st1:personname productid="la Legge" w:st="on">la Legge</st1:personname> 21 dicembre 2005, n. 270), poco dopo la sua approvazione, fu definita una “<i>porcata</i>” dall’allora ministro Calderoli che l’aveva proposta.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Prendendo spunto da questa definizione, il politologo Giovanni Sartori, con caustico spirito toscano, definì tale legge “<i>porcellum</i>”. E tale definizione è rimasta nel linguaggio politico e giornalistico.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">I difetti del “<i>porcellum</i>” sono molteplici e ben noti. Innanzitutto, non consente all’elettore qualsiasi forma di scelta dei parlamentari, né in collegi uninominali, né con le preferenze, in quanto deputati e senatori sono eletti sulla base di liste bloccate, predisposte dai partiti o, per meglio dire, dai loro ristretti gruppi dirigenti. Prevede, inoltre, per <st1:personname productid="la Camera" w:st="on">la Camera</st1:personname>, un premio di maggioranza assai cospicuo che favorisce la lista o la coalizione di liste che abbia ottenuto il maggior numero di suffragi, indipendentemente dal raggiungimento di una soglia minima di voti.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Per il Senato, invece, il premio di maggioranza è configurato su base regionale, con la conseguenza che, su base nazionale, il raggiungimento di una maggioranza è prevedibile allo stesso modo del risultato di una lotteria. La legge, contiene, infine, una norma (l’articolo 5), che prevede, da parte delle coalizioni o dei gruppi politici che partecipano alla competizione elettorale, l’indicazione del candidato alla guida del Governo. Ciò, pur non innovando nulla in ordine ai poteri del Presidente della Repubblica, previsti dall’articolo 92 della Costituzione, ha fatto impropriamente parlare di una elezione diretta del Presidente del Consiglio, che nel nostro ordinamento costituzionale semplicemente non esiste.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Di fronte a questi macroscopici difetti del “<i>porcellum</i>”, da anni si è posto il problema di introdurre un nuovo sistema elettorale; si è proposto, di volta in volta, il sistema tedesco, il sistema francese, quello spagnolo o quello anglosassone. Sono state ipotizzate anche soluzioni ibride, come un mostruoso sistema ispano-tedesco. Ma, ad oggi, nonostante le insistenze del Presidente Napolitano sulla necessità di provvedere, nulla è stato fatto.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Da talune parti, poi, si è iniziato a dire che ormai non sarebbe più possibile emanare una nuova legge elettorale in tempo utile per le elezioni politiche previste per la primavera del <st1:metricconverter productid="2013, in" w:st="on">2013, in</st1:metricconverter> quanto imprecisati vincoli europei impedirebbero la modificazione delle normativa elettorale nell’anno antecedente le elezioni.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Una cosa va chiarita fin da subito: in questa vicenda, l’Unione europea non è assolutamente coinvolta. I trattati comunitari (a partire dal Trattato CECA del 1951 ai Trattati di Roma del 1957 sino al Trattato di Lisbona del 2007) non danno alcun potere agli organi comunitari (Consiglio europeo e Consiglio dei ministri, Commissione, Parlamento europeo) in ordine alle elezioni interne a ciascun stato membro. In altri termini, nessuna direttiva o regolamento dell’Unione europea riguarda le elezioni nazionali.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La questione nasce nell’ambito del Consiglio d’Europa.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti dell’uomo e l’identità culturale europea. Il Consiglio d’Europa fu fondato nel 1949, con il Trattato di Londra, e oggi ne fanno parte 47 stati, fra i quali tutti quelli appartenenti all’Unione europea. La sede è a Strasburgo. Lo strumento principale d’azione consiste nel predisporre e favorire la stipulazione di accordi o convenzioni internazionali tra gli Stati membri. Le iniziative del Consiglio d’Europa non sono vincolanti e vanno ratificate dagli Stati membri. Come si è detto, il Consiglio d’Europa è un’organizzazione a sé, distinta dall’Unione europea, e non va confuso con organi di quest’ultima quali il Consiglio europeo o <st1:personname productid="la Commissione" w:st="on">la Commissione</st1:personname> europea. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La più significativa fra le convenzioni stipulate nell’ambito del Consiglio d’Europa è la “<i>Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali</i>”, più conosciuta con l’acronimo CEDU. E’ entrata in vigore il 3 settembre 1953 ed ha istituito, fra l’altro, <st1:personname productid="la Corte" w:st="on">la Corte</st1:personname> europea dei diritti dell’uomo, per assicurare il rispetto della convenzione stessa.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><st1:personname productid="la Corte" w:st="on"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La Corte</span></st1:personname><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"> europea dei diritti dell’uomo ha sede a Strasburgo e non è un’istituzione dell’Unione europea, com’è invece <st1:personname productid="la Corte" w:st="on">la Corte</st1:personname> di giustizia dell’Unione europea, che ha sede a Lussemburgo, e con la quale non deve essere confusa.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><st1:personname productid="la Corte" w:st="on"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La Corte</span></st1:personname><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"> può decidere sia ricorsi individuali che ricorsi degli Stati membri con i quali si lamenti la violazione di una delle disposizioni della Convenzione o dei suoi Protocolli addizionali. Essa svolge tuttavia una funzione sussidiaria rispetto agli organi giudiziari nazionali, in quanto le domande sono ammissibili solo una volta esaurite le vie di ricorso interne.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><st1:personname productid="la Corte" w:st="on"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La Corte</span></st1:personname><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">, in caso di accoglimento della domanda, indica l’entità del danno sofferto dalla parte ricorrente e prevede un’equa riparazione, di natura risarcitoria o di qualsiasi altra natura.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Gli Stati firmatari della Convenzione si sono impegnati a dare esecuzione alle decisioni della Corte europea. Il controllo sull’adempimento di tale obbligo è rimesso al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Una recente sentenza della Corte (6 novembre <st1:metricconverter productid="2012, in" w:st="on">2012, in</st1:metricconverter> causa Ekoglasnost c. Bulgaria) ha riguardato il caso delle elezioni svoltesi in Bulgaria nel 2005.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">In tale sentenza, <st1:personname productid="la Corte" w:st="on">la Corte</st1:personname> ha condannato <st1:personname productid="la Bulgaria" w:st="on">la Bulgaria</st1:personname>, per aver escluso dalle elezioni il movimento politico Ekoglasnost, che non aveva ottemperato alle nuove procedure burocratiche introdotte poco prima del voto. <st1:personname productid="la Corte" w:st="on">La Corte</st1:personname> ha ritenuto che <st1:personname productid="la Bulgaria" w:st="on">la Bulgaria</st1:personname> avesse violato l’articolo 3 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU (in vigore dal 18 maggio 1954) che sancisce il diritto a libere elezioni. Secondo <st1:personname productid="la Corte" w:st="on">la Corte</st1:personname> non sarebbe stato osservato il periodo di un anno, richiesto dalla Commissione di Venezia, per l’adozione di sostanziali modifiche alla legge elettorale.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><st1:personname productid="la Commissione" w:st="on"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La Commissione</span></st1:personname><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"> di Venezia è un organo consultivo del Consiglio d’Europa, formato da giuristi indipendenti, che, nel 2002, approvò il “<i>Codice di buona condotta in materia elettorale</i>”, una serie di linee guida per i legislatori nazionali in materia di riforma dei sistemi elettorali, successivamente fatte proprie dall’Assemblea del Consiglio d’Europa.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">“<i>Ciò che è da evitare – </i>si legge nel documento<i> – non è tanto la modifica della modalità di scrutinio, poiché quest’ultimo può sempre essere migliorato; ma la sua revisione ripetuta o che interviene poco prima dello scrutinio (meno di un anno). Anche in assenza di volontà di manipolazione, questa apparirà in tal caso come legata ad interessi congiunturali di partito</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Come ha scritto su “<i>Il Sole 24 Ore</i>” un illustre giurista, che è stato anche un protagonista della vita politica italiana, Giuliano Amato, la raccomandazione della Commissione di Venezia non potrebbe riguardare una legge che eventualmente modificasse il “<i>porcellum</i>”. Avrebbe, infatti, tale legge come scopo quello di eliminare le distorsioni contenute nel “<i>porcellum</i>”, queste ultime, sì, suscettibili di essere censurate alla luce della raccomandazione approvata dalla Commissione di Venezia.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Va anche detto che una sentenza che condannasse l’Italia per una modifica al sistema elettorale introdotta a breve distanza di tempo dal voto, non avrebbe particolari conseguenze pratiche e non comporterebbe l’annullamento delle elezioni. Sarebbe, tuttavia, di grande valore morale e politico, in quanto metterebbe il nostro paese sul medesimo piano di Stati in cui solo recentemente è stato introdotto un regime democratico (come è, appunto, <st1:personname productid="la Bulgaria" w:st="on">la Bulgaria</st1:personname>).</span></span></div>
Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-84651026386360870422013-01-14T05:37:00.002-08:002013-01-14T05:40:13.523-08:00KOKOPELLI, I SEMI DELLA DISCORDIA<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Kokopelli è il nome di una divinità degli indiani Navajo, protettrice della fertilità.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Kokopelli, forse per questa ragione, è anche il nome di una associazione, operante nell’ambito agricolo, che ha dato origine ad una controversia, conclusasi con una sentenza, che ha fatto discutere, della Corte di Giustizia dell’Unione europea (la sentenza 12 luglio <st1:metricconverter productid="2012, in" w:st="on">2012, in</st1:metricconverter> causa C-59/11). La controversia, che ha dato origine alla causa, riguarda la commercializzazione di sementi per ortaggi.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La direttiva in materia, la 2002/55/CE, assoggetta la commercializzazione di queste sementi alla previa ammissione delle loro varietà in almeno uno Stato membro. Una varietà è ammessa nei cataloghi ufficiali solo ove sia distinta (se indipendentemente dall’origine della variazione iniziale da cui proviene, si distingue per uno o più caratteri importanti da qualsiasi altra varietà), stabile (è tale se rimane conforme alla definizione dei suoi caratteri essenziali dopo le riproduzioni successive o alla fine di ogni ciclo) e sufficientemente omogenea (tale è se le piante che la compongono, tenendo presente le particolarità del loro sistema di riproduzione, sono simili o geneticamente identiche per l’insieme delle caratteristiche considerate a tal fine).<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Tuttavia un’altra direttiva, la 2009/145/CE, prevede alcune deroghe a tale regime di ammissione nei cataloghi nazionali di varietà da conservazione e le varietà sviluppate per la coltivazione in condizioni particolari.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Come risulta dal comunicato stampa della Corte di Giustizia, emesso a commento della sentenza, con sentenza del 14 gennaio 2008, il Tribunale di Nancy (Francia) condannava l’associazione senza scopo di lucro Kokopelli a risarcire all’impresa di sementi Graines Baumaux i danni per concorrenza sleale. Tale giudice constatava che <st1:personname productid="la Kokopelli" w:st="on">la Kokopelli</st1:personname> e <st1:personname productid="la Baumaux" w:st="on">la Baumaux</st1:personname> operavano nel settore dei semi antichi o da collezione, che esse commercializzavano, tra gli altri, 233 prodotti identici o analoghi e che si rivolgevano alla medesima clientela di coltivatori dilettanti ed erano dunque in una situazione di concorrenza. Esso ha, pertanto, considerato che <st1:personname productid="la Kokopelli" w:st="on">la Kokopelli</st1:personname> agiva in concorrenza sleale, mettendo in vendita sementi orticole non figuranti né nel catalogo francese né nel catalogo comunitario delle varietà delle specie di ortaggi.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><st1:personname productid="la Kokopelli" w:st="on"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;">La Kokopelli</span></st1:personname><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"> impugnava tale sentenza dinanzi alla Corte d’appello di Nancy, la quale chiedeva alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla validità della direttiva relativa alla commercializzazione delle sementi di ortaggi e di quella che prevede talune deroghe per le “<i>varietà da conservazione</i>” e le “<i>varietà sviluppate per la coltivazione in condizioni particolari</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Due erano i punti sollevati da Kokopelli alla Corte d’appello e, quindi, alla Corte di Giustizia. Se la normativa sulla commercializzazione delle sementi di specie orticole (direttiva 2002/55) e delle varietà da conservazione (direttiva 2009/149) di specie orticole ledono la libertà di commercio e se le stesse direttive sono in contrasto con la conservazione della diversità agricola e, in particolare, con gli obblighi contenuti nel Trattato FAO sulle risorse genetiche vegetali per l’agricoltura e l’alimentazione. <st1:personname productid="La Corte" w:st="on">La Corte</st1:personname> ha riconosciuto la validità della normativa sementiera e ha ritenuto che favorisca, anziché ledere, la libertà di esercitare un’attività economica, garantendo a tutte le imprese un terreno comune su cui competere e al tempo stesso venendo incontro all’obiettivo generale di aumentare la produttività dell’agricoltura. E, inoltre, ha affermato che la normativa attuale è sufficiente come tutela della biodiversità coltivata, in virtù dell’esistenza del catalogo specifico sulle varietà da conservazione.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Varie pubblicazioni ambientaliste hanno giudicato tale sentenza come una sconfitta delle associazioni volontarie (come <st1:personname productid="la Kokopelli" w:st="on">la Kokopelli</st1:personname>) impegnate nella salvaguardia delle varietà delle piante antiche, considerate l’unica alternativa alle sementi industriali ed agli OGM.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">In realtà le sementi tradizionali non sono state messe al bando, così come affermato da un’interpretazione ideologica ed estremista della sentenza. Così come previsto dalle direttive sottoposte all’esame della Corte di Giustizia, la commercializzazione delle “<i>varietà antiche</i>”, sia pure a determinate condizioni, è consentita. Con la conseguenza che la biodiversità, tutelata dal Trattato della FAO (l’organizzazione dell’ONU per l’alimentazione e l’agricoltura), cui hanno aderito sia l’Unione europea che gli Stati membri, non è a rischio.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il Ministero delle Politiche agricole, poche settimane dopo la pubblicazione della sentenza, ha chiarito che quanto disposto dalla Corte di Giustizia, e cioè l’obbligo di iscrizione al registro ufficiale comunitario rappresenta un elemento di garanzia fondamentale, sia per i produttori agricoli che per i consumatori, in quanto un’autorità pubblica garantisce le caratteristiche delle varietà iscritte.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il Ministero concludeva affermando che non è dunque corretto sostenere che la sentenza della Corte di Giustizia limiti la possibilità di commercializzazione e quindi di coltivazione di varietà tradizionali ed antiche. Così come non è corretto affermare che si debbano sostenere alti costi per ottenere la registrazione di tali varietà nel catalogo comunitario e che occorrano lunghi tempi di attesa per la registrazione.<o:p></o:p></span></span></div>
Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-7434921110519115712012-10-10T04:25:00.002-07:002012-10-10T04:25:20.466-07:00LA SAGA DI MATUZALEM E LA GIUSTIZIA SPORTIVA<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Francelino da Silva Matuzalem è un calciatore brasiliano, attualmente in forza alla Lazio, che è stato protagonista di una complessa vicenda giudiziaria che, come è stato osservato in un recente articolo pubblicato dalla “<i>Rivista di diritto ed economia dello sport</i>”, può segnare la fine della giustizia sportiva, la cui autonomia in Italia è stata riconosciuta legislativamente dal D.L. 19 agosto 2003 n. 220, convertito con modificazioni nella Legge 17 ottobre 2003 n. 280, recante “<i>Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Nel 2004, Matuzalem, che allora giocava per il Napoli, sottoscrisse un contratto di ingaggio della durata di cinque anni con un club ucraino, il FC Shaktar Donetsk.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ciononostante, Matuzalem, nel 2007, risolse (si dice così, anche se i cronisti sportivi usano erroneamente il verbo rescindere, che giuridicamente ha un altro e diverso significato) il contratto, senza dare alcun preavviso e senza giusta causa. Poco dopo la risoluzione, firmò un altro contratto, per la durata di tre stagioni, con il club spagnolo del Real Saragozza.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il club spagnolo, nell’occasione, si obbligava a tenere indenne Matuzalem da ogni eventuale pretesa risarcitoria derivante dalla risoluzione anticipata del precedente contratto.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Al termine della prima stagione giocata con il Saragozza, quest’ultimo club stipulava un accordo con <st1:personname productid="la Lazio" w:st="on">la Lazio</st1:personname> per la cessione temporanea del calciatore per la stagione successiva.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Tuttavia, con decisione del 2 novembre 2007, <st1:personname productid="la Camera" w:st="on">la Camera</st1:personname> di Risoluzione delle Controversie della FIFA ebbe a riconoscere, a favore del club ucraino, per i danni derivanti dalla anticipata risoluzione del contratto stipulato con Matuzalem, un risarcimento di 6,8 milioni di euro.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Questa decisione fu impugnata davanti al Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna, il quale annullava parzialmente la precedente decisione, elevando il risarcimento ad 11,86 milioni di euro.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Né Matuzalem né il club ottemperavano al lodo del TAS. Ciò provocava un procedimento disciplinare, all’esito del quale, con decisione del 31 agosto 2010, il Comitato Disciplinare della FIFA, constatata l’inottemperanza del club spagnolo e di Matuzalem, irrogava una sanzione pecuniaria e concedeva un termine di novanta giorni per procedere al pagamento, a pena della “<i>interdizione da qualsiasi attività calcistica o connessa al calcio senza alcun ulteriore avviso</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Sia il Saragozza che Matuzalem si appellavano ancora al TAS di Losanna il quale, tuttavia, con decisione del 29 giugno 2011, rigettava l’impugnazione, confermando la decisione del Comitato Disciplinare della FIFA.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’unica strada che, a questo punto, rimaneva al Saragozza ed a Matuzalem era quella di proporre impugnativa davanti al Tribunale Federale svizzero, strada che, alla fine, si sarebbe rivelata vincente.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Con sentenza del 27 marzo 2012, il Tribunale Federale svizzero annullava il lodo del TAS, affermando il principio per cui un atleta non può essere sottoposto ad interdizione perpetua dall’attività calcistica, in virtù di un procedimento di condanna di un organo della giustizia sportiva, configurandosi, in tal caso, una “<i>violazione dell’ordine pubblico internazionale svizzero</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il concetto è stato chiarito nella sentenza del Tribunale Federale: una pronuncia favorevole nel merito può infatti determinare una violazione dell’ordine pubblico nel caso in cui si pone in contrasto con alcuni principi fondamentali dell’ordinamento, “<i>diventando assolutamente incompatibile con principi derivanti da valori generalmente riconosciuti, che secondo il comune modo di sentire (“dominants opinion”) in Svizzera rappresentano la base di qualunque ordinamento giuridico</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il concetto di ordine pubblico è presente anche nell’ordinamento italiano ed è espressamente menzionato dall’articolo 16 della Legge 31 maggio 1995 n. 218, di riforme del sistema italiano di diritto internazionale privato.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’ordine pubblico ha la funzione di tutelare l’ordinamento, impedendo che il giudice applichi norme straniere suscettibili di produrre effetti incompatibili con i principi giuridici, ma di valenza etica, politica, economica e sociale che in un determinato momento storico sono posti dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici, a presidio dei valori fondamentali che debbono essere rispettati per assicurare l’armonia dell’ordinamento giuridico.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Se il Tribunale Federale svizzero si ritiene competente ad annullare, per contrasto con i principi dell’ordine pubblico, le decisioni del TAS (che è organo avente sede in Svizzera), è evidente che per la giustizia sportiva, sinora autoreferenziale ed orgogliosa della sua alterità, non possono che suonare campane a morto.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><strong><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">* * *<o:p></o:p></span></strong></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Da ultimo, va ricordato che anche una recente sentenza della Corte Costituzionale italiana (7 febbraio 2011 n. 49) ha fortemente limitato l’autonomia dell’ordinamento sportivo, fissata dal già citato D.L. 19 agosto 203, n. 220, conosciuto anche come “<i>decreto salva calcio</i>” (che doveva essere salvato, si fa per dire, dalle pronunce di alcuni TAR e, in particolare, della Sezione di Catania del TAR per <st1:personname productid="la Sicilia" w:st="on">la Sicilia</st1:personname>).<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">In particolare <st1:personname productid="la Corte Costituzionale" w:st="on">la Corte Costituzionale</st1:personname> ha affermato che “<i>qualora la situazione soggettiva (discendente da una vertenza originata in ambito sportivo) abbia consistenza tale da assumere nell’ordinamento statale la configurazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, in base al ritenuto diritto vivente del giudice che, secondo la suddetta legge ha giurisdizione esclusiva in materia, è riconosciuta la tutela risarcitoria”.</i> Aggiunge, inoltre, <st1:personname productid="la Corte" w:st="on">la Corte</st1:personname> che “<i>in tali fattispecie deve, quindi, ritenersi che la esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti avverso i quali sono state irrogate le sanzioni disciplinari – poste a tutela della autonomia dell’ordinamento sportivo – non consente che sia altresì esclusa la possibilità, per chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il caso esaminato dalla Corte Costituzionale riguarda il dirigente di una squadra di pallacanestro, che aveva impugnato davanti al Giudice amministrativo, nei confronti della sua Federazione sportiva, la sanzione disciplinare della inibizione allo svolgimento di ogni attività nell’ambito della Federazione stessa.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il Giudice delle leggi ha escluso la possibilità di instaurare un giudizio di annullamento sulle sanzioni disciplinari sportive, ma ha ammesso la possibilità di chiedere il risarcimento del danno, ove la sanzione sia illegittima.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Anche sotto questo profilo, quindi, il sistema della giustizia sportiva rischia, quindi, di risultare minato sin dalle fondamenta.</span><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><o:p></o:p></span></span></div>
Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-57024507359089448392012-10-03T10:37:00.001-07:002012-10-03T10:38:46.910-07:00IL CICLONE RENZI SI ABBATTE SULLE PRIMARIE<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Dal 13 settembre, il Sindaco di Firenze ha iniziato da Verona, a bordo di un camper, la sua campagna in giro per l’Italia, per lanciare la sua candidatura nelle elezioni primarie, promosse dal Partito democratico, per scegliere il candidato a Presidente del Consiglio della coalizione di centro-sinistra, nelle prossime elezioni politiche.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La candidatura di Renzi ha avuto, per così dire, l’effetto di uno “<i>tsunami</i>”. Prima del 13 settembre, pareva che le elezioni primarie sarebbero solo servite ad incoronare Bersani, già segretario del PD, a candidato Premier. Dopo qualche settimana, invece, non vi è più nulla di scontato. La<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>candidatura di Renzi, che prima nessun osservatore aveva preso sul serio, si è prepotentemente affermata e, in ogni città in cui si è recato, il Sindaco di Firenze ha attirato centinaia o migliaia di persone. Anzi, secondo taluni sondaggi, i due candidati, Bersani e Renzi, sono quasi alla pari nelle preferenze dei potenziali partecipanti alle elezioni primarie.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Anche nella sonnacchiosa Cremona, la presenza di Renzi, pur se salutata dall’inspiegabile gelo della carta stampata locale, ha destato vivo interesse. Renzi, non preannunciato da manifesti ma solo dal passaparola, ha riempito Palazzo Cittanova e la piazzetta antistante. Una folla così per una manifestazione politica non si vedeva a Cremona almeno dagli anni settanta, quando riempivano le piazze personaggi come Fanfani, Pajetta, Zaccagnini.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il successo di Renzi che, fino a qualche mese fa, era conosciuto quasi esclusivamente dai fiorentini e dagli addetti ai lavori, è dovuto, in buona parte, al meccanismo delle elezioni primarie, che gli hanno offerto una formidabile occasione per proporre la sua persona e le sue idee.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Come ormai ben si sa, le elezioni primarie sono una competizione elettorale attraverso la quale gli elettori o i militanti di un partito politico decidono chi sarà il candidato del partito (o dello schieramento politico del quale il partito medesimo fa parte) per una successiva elezione ad una carica pubblica.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La ragione delle elezioni primarie è la promozione della massima partecipazione degli elettori alla scelta dei candidati, in contrapposizione al sistema che vede gli elettori scegliere fra candidati designati dai partiti al loro interno.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Le elezioni primarie sono caratteristiche degli Stati Uniti. La prima elezione primaria fu tenuta dal Partito democratico nello Stato della Pennsylvania nel 1847. Dopo la guerra civile americana, si diffusero soprattutto negli stati del Sud, nei quali la rappresentanza politica era di fatto monopartitica. Il Sud, uscito sconfitto dalla guerra civile, premiò, infatti, per decenni il Partito democratico, in contrapposizione al Nord, schierato in prevalenza con i repubblicani. In quel contesto, le primarie avevano il ruolo di introdurre il pluralismo nel sistema politico degli stati meridionali.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">A partire dagli anni settanta del novecento, poi, le elezioni primarie si sono generalizzate come strumento di scelta del candidati alla Presidenza ed alle alte cariche politiche, in particolare quelle di governatore e di senatore.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Negli ultimi anni, lo strumento delle primarie dagli Stati Uniti si è diffuso in altri paesi, fra cui <st1:personname productid="la Francia" w:st="on">la Francia</st1:personname> (Hollande è stato scelto come candidato socialista alla Presidenza attraverso elezioni primarie).<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">In Italia, le elezioni primarie sono state introdotte dal Partito democratico. Le elezioni primarie a livello nazionale (quelle di Prodi nel 2005, di Veltroni nel 2007 e di Bersani nel 2009) si sono limitate a dare legittimazione popolare a candidature già predeterminate dal gruppo dirigente del partito. In periferia, invece, dove si sono svolte numerose elezioni primarie per le candidature a Sindaco o a Presidente di Regione, le elezioni primarie sono state fortemente combattute ed hanno talora avuto risultati assolutamente imprevisti. Sono stati, infatti, spesso premiati candidati “<i>outsider</i>”, in contrapposizione a candidati appoggiati dall’apparato del partito.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’intuizione di Renzi (che, a suo tempo, contro le previsioni, aveva vinto le primarie per la candidatura a Sindaco di Firenze) è stata quella di applicare la logica delle elezioni primarie locali alle elezioni primarie per la candidatura a Presidente del Consiglio, impedendo che queste si trasformassero in una marcia trionfale di Bersani. Anzi ha capito che l’elettorato è ormai stanco di una classe dirigente immobile ed ingessata, legata in modo sin troppo evidente ai propri privilegi. Da qui, il fortunato slogan della “<i>rottamazione</i>”. Renzi ha poi tratto dall’esperienza delle primarie per le presidenziali americane la necessità di far conoscere per tempo la sua candidatura. Negli Stati Uniti, infatti, le primarie durano cinque mesi (dai primi di gennaio ai primi di giugno) e le candidature vengono “<i>testate</i>” in numerose consultazioni, in stati diversi, dove diverse sono le condizioni politiche, sociali, economiche. In Italia, invece, le primarie si svolgeranno, come nel passato, in un giorno solo (la data più probabile pare essere quella del 25 novembre), ma Renzi ha cominciato la sua corsa elettorale circa due mesi e mezzo prima della data fissata ed intende visitare, una dopo l’altra, tutte le città italiane, così come, negli Stati Uniti, nei cinque mesi delle primarie, i candidati attraversano il paese da un capo all’altro.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Quanto alla partecipazione alle primarie, l’esperienza degli Stati Uniti insegna che vi sono due tipi di primarie, quelle chiuse e quelle aperte. Le primarie chiuse (come, in altro modo, i “<i>caucus</i>” che sono assemblee di iscritti al partito) sono riservate a coloro che si registrano come aderenti all’uno o all’altro dei due principali partiti. Primarie aperte, invece, sono quelle in cui possono partecipare tutti, a condizione di essere elettori nello Stato.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">E’ noto il conflitto di questi giorni: i seguaci di Bersani vorrebbero primarie chiuse, e cioè riservate a coloro che vorranno sottoscrivere una dichiarazione di intenti e che accetteranno di vedere inserito il loro nome in un elenco pubblico. Evidentemente ciò favorirebbe il successo di Bersani che, a quanto si sa, può contare sul compatto sostegno dell’apparato del partito. Renzi, che è estraneo alla “<i>nomenklatura</i>” è ovviamente favorevole a primarie aperte.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La scelta della candidatura è una delle principali funzioni svolte, nei regimi democratici, dai partiti. Con le elezioni primarie le candidature vengono selezionate in modo trasparente. Le elezioni primarie, tuttavia, non sono un meccanismo neutrale: l’elettorato (lo si vede sistematicamente nelle elezioni primarie americane) è attratto da candidati nuovi. Uno scarso numero di elettori partecipa, infatti, alle primarie per votare il Presidente uscente, la cui ricandidatura è scontata: tanto è vero che quest’anno ben pochi elettori democratici hanno votato alle primarie, in cui Obama era l’unico candidato.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">I candidati nuovi, attraverso le elezioni primarie, si fanno conoscere e si temprano in un agone politico assai combattuto, mostrando le loro doti anche di carattere.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Come ha scritto il costituzionalista Stefano Ceccanti, via via nel corso della lunghissima campagna elettorale, i candidati <i>imparano</i> a divenire, possibilmente, dei Presidenti.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Bill Clinton, che oggi è riconosciuto come un grande Presidente, carismatico e popolarissimo, nel 1992, quando si candidò per la prima volta era quasi uno sconosciuto. Era governatore dello Stato dell’Arkansas, più piccolo e più povero di diverse regioni italiane. Una personalità dal profilo politico inferiore a quello di Renzi, che è Sindaco di una grande città, conosciuta in tutto il mondo.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Clinton era uno dei tanti candidati (che la stampa malevola aveva soprannominato i “<i>sette nani</i>”), ma, alla fine delle primarie, emerse come il candidato che avrebbe sconfitto il Presidente uscente, il repubblicano Bush sr.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">E’ evidente, quindi, che il meccanismo delle primarie, non può che favorire Renzi, a danno di Bersani. Indubbiamente il gruppo dirigente del PD, troppo autoreferenziale, ha sottovalutato questo fenomeno.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Se poi le primarie saranno del tipo aperto, ciò provocherà un ulteriore indebolimento del partito che le ha organizzate. E, in genere, dei partiti.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">L’impatto delle primarie sul sistema politico sarà, in conclusione, notevole e ben più significativo che in passato.</span><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><o:p></o:p></span></div>
Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-28148010958301923342012-09-10T05:56:00.000-07:002012-10-03T10:38:15.145-07:00L’EUROPA HA BISOGNO DI UN “DRIZZONE”<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Era il giugno 2008, poco più di quattro anni fa. Berlusconi era da poco uscito trionfatore dalle elezioni politiche ed aveva formato un governo forte di una delle più ampie maggioranze parlamentari del dopoguerra. E se ne uscì con la battuta per cui l’Europa aveva bisogno di un <i>drizzone</i> (che ovviamente lui era pronto a dare). Al di là della volgarità plebea dell’espressione (che, lo si intuì, stava per cambiamento o svolta) non si capì mai che cosa Berlusconi avesse in mente. Fu ben presto preso dal <i>bunga bunga </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e di <i>drizzone </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non parlò più. Anzi si ricordò ancora dell’Europa solo nell’estate 2011, di fronte alla minacciosa crisi dei mercati finanziari, che, qualche mese dopo, avrebbe dato un <i>drizzone</i> alla sua vicenda politica.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Al di là di tutto, però, la crisi economica che ha investito l’intera Europa, e, in particolare, la cosiddetta <i>zona euro</i> fra il 2011 ed il <st1:metricconverter productid="2012 ha" w:st="on">2012 ha</st1:metricconverter> posto in primo piano il futuro dell’Europa, che è apparsa più volte in bilico fra il salto di qualità verso l’unione politica e la disgregazione totale di un progetto che ha avuto inizio nel lontano 1951, con la firma del Trattato di Parigi, istitutivo dalla CECA, <st1:personname productid="la Comunità" w:st="on">la Comunità</st1:personname> europea del carbone e dell’acciaio.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">I sei paesi firmatari del Trattato CECA, nel 1951, erano da poco usciti da una guerra fortemente distruttiva. Non vi era alcun uomo politico europeo, allora, che non avesse, nella sua storia personale, gli argomenti per opporsi alla pacificazione e al processo di integrazione europea. Ma i leader politici di allora non diedero spazio ai loro, pur comprensibili, risentimenti, senza cedere all’animosità ed al rancore. Il tedesco Adenauer, l’italiano De Gasperi, i francesi Schuman e Monnet e il belga Spaak parlarono del futuro dell’Europa come se il passato non esistesse. Non lo avevano certo dimenticato. Sapevano, però, che ogni polemico riferimento al passato avrebbe alimentato le resistenze nazionali e reso la ricostruzione dell’Europa ancora più difficile.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Da allora sono passati sessantuno anni. Dalla CECA di soli sei paesi, si è passati all’Unione europea a 27 (che diventeranno 28 l’anno prossimo, con l’ingresso della Croazia).<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Le competenze di natura economica dell’Unione si sono moltiplicate, con la conseguenza che, mentre nel 1951, le funzioni della CECA erano circoscritte ai settori del carbone e dell’acciaio, oggi non vi è campo dell’economia che non sia regolamentato dall’Unione.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Quello che l’Europa è oggi appare scontato. Nessuno considera, dandolo appunto per scontato, l’enorme vantaggio, dal punto di vista della pace e del benessere, che il mercato unico ha portato.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’Europa ha dato vita anche ad una moneta comune, l’euro, che ha sostituito le monete nazionali in 17 dei 27 paesi dell’Unione. Una moneta senza uno Stato che la governi è certo un fatto anomalo, dato che è almeno dal secolo XIX che la moneta circola e viene accettata per la fiducia che gli operatori hanno verso lo Stato che l’ha emessa e non per il valore intrinseco dell’oro (o dell’argento) in essa contenuto.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Le conseguenze non sono state felici. L’Unione monetaria, non accompagnata dall’unione bancaria, dall’unione di bilancio e dall’unione politica non si è rivelata all’altezza di far fronte alla speculazione e alla crisi.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La crisi dell’euro ha, di conseguenza, riproposto la necessità di una autorità politica che governi l’Europa, la sua moneta e la sua politica economica. Ho volutamente usato il termine asettico di <i>autorità politica</i>, perché, rispetto agli anni cinquanta, vi è un certo pudore a far uso di parole come <i>Stati Uniti d’Europa</i>, <i>federazione</i>, <i>Stato federale</i>. Eppure il trasferimento della sovranità che vi è stato dagli Stati democratici nazionali al Leviatano tecnocratico di Bruxelles e della BCE non può andare oltre: il trasferimento della sovranità deve avvenire verso autorità che uniscano al carattere sovranazionale la legittimazione democratica.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Questo è il contenuto essenziale della decisione che <st1:personname productid="la Corte Costituzionale" w:st="on">la Corte Costituzionale</st1:personname> tedesca dovrà assumere il 12 settembre prossimo, con riferimento al cosiddetto Trattato del <i>fiscal compact</i>.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ai ceti politici nazionali; manca una visione strategica europea del nuovo scenario globale. A surrogare questo deficit di capacità della politica europea di porre nuove domande e di dare risposte adeguate, a Bruxelles e Strasburgo si sono gradualmente consolidate classi dirigenti tecnico-burocratiche che, nell’evanescenza della politica europea, si vestono da <i>èlites</i> traenti che “<i>processano</i>” le decisioni a livello dell’Unione.<span style="mso-tab-count: 1;"> </span><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Dell’Europa deve quindi riappropriarsi, come nel 1951, la politica.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Infatti proprio la crisi ha mostrato come il sistema intergovernativo dei vertici (Consiglio europeo, Ecofin, Eurogruppo), che si sono succeduti a decine dall’inizio della crisi, sia assolutamente inadeguato come strumento di decisione.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La stessa esperienza del Trattato istitutivo dalla CECA può costituire, ancora oggi, una utile esperienza. Dalla CECA prese vita <st1:personname productid="la CED" w:st="on">la CED</st1:personname> (Comunità europea di difesa): l’articolo 38 del cui Trattato prevedeva che l’assemblea parlamentare della CED, opportunamente integrata (si parlò, allora, di Assemblea <i>ad hoc</i>) elaborasse un progetto di Trattato istitutivo della Comunità politica europea.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Come si sa, il Trattato della CED fu bocciato dalla Assemblea nazionale francese in una contrastata votazione svoltasi il 30 agosto 1954, che vide uniti nazionalisti e comunisti. Ovviamente, la fine della CED trascinò con sé <st1:personname productid="la Comunità" w:st="on">la Comunità</st1:personname> politica europea, che non vide mai la luce.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">E’ rimasto, però, il progetto di Statuto, che era stato redatto, in pochi mesi, dalla Assemblea <i>ad hoc</i>. Era un Trattato snello, di poco più di un centinaio di articoli, ben lontano dalla struttura elefantiaca degli attuali Trattati dell’Unione europea.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Lo Statuto della CPE fu il primo progetto costituzionale fondativo di un’Unione di stati e di popoli europei redatto da un’assemblea rappresentativa ufficialmente insediata, a differenza dei diversi documenti costituzionali elaborati da associazioni, movimenti e singoli nel secondo dopoguerra. Lo Statuto, che mirava a fornire una struttura istituzionale completa alla CPE, organizzandone i poteri e delineandone le specifiche competenze, rimase l’unica bozza di costituzione europea fino agli anni ottanta, quando iniziarono ad essere elaborati vari progetti, da cui sarebbero nati l’Atto unico europeo, il progetto – mai entrato in vigore – di Trattato costituzionale europeo ed i Trattati di Maastricht, Nizza e Lisbona.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Nel 2014 si terranno le elezioni europee. Perché gli Stati non potrebbero affidare al Parlamento, come nel 1952 lo affidarono all’Assemblea <i>ad hoc,</i> il compito di redigere un progetto di Trattato di Unione politica? Sarebbe l’unico modo per sottrarre l’Europa agli eurocrati e per restituirla ai cittadini europei. Se l’Unione politica è divenuta indispensabile per salvare il benessere economico degli Stati, non può essere elargita dall’alto, ma deve formarsi attraverso un processo democratico.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">E questo è il solo <i>drizzone</i> di cui l’Europa ha veramente necessità.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><o:p></o:p></span></span></div>
Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-34117158492451353722012-08-05T01:20:00.002-07:002012-09-10T05:56:33.952-07:00LA CORTE COSTITUZIONALE RAFFORZA L’ISTITUTO DEL RFERENDUM<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Non ha destato particolare interesse, se non fra gli addetti ai lavori, la recentissima sentenza della Corte Costituzionale 20 luglio 2012 n. 199. Essa riguarda la materia dei servizi pubblici locali (nella quale sarebbe comunque necessaria una decisa opera di semplificazione e razionalizzazione, anche con l’adozione di un Testo Unico), ma soprattutto afferma un principio assai importante in materia di referendum, istituto di democrazia diretta sempre visto piuttosto malvolentieri dal Parlamento e dalle forze politiche in esso rappresentate.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Per una piena comprensione dell’argomento, è necessario rapidamente ripercorrere le tappe della vicenda. Con uno dei referendum tenutisi il 12 e 13 giugno 2011 (si tratta di uno dei due referendum che comunemente si diceva riguardassero l’acqua) fu abrogato l’articolo 23 bis del D.L. 25 giugno 2008 n. 112, avente ad oggetto la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’abrogazione veniva formalmente dichiarata con decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011 n. 113. Meno di un mese dopo, l’articolo 4 del D.L. 13 agosto 2011 n. 138, dettava una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che, sia pure con esclusione del servizio idrico integrato, era in buona parte riproduttiva dell’articolo 23 bis, abrogato dal referendum, e di molte disposizioni del Regolamento attuativo di tale articolo.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’articolo 4 veniva impugnato davanti alla Corte Costituzionale delle Regioni Puglia, Lazio, Marche, Emilia Romagna, Umbria e Sardegna, che, in buona sostanza, lamentavano la violazione del principio (considerato immanente nell’articolo 75 della Costituzione, che disciplina l’istituto del referendum abrogativo), secondo cui non potrebbero essere riprodotta, in un nuovo testo normativo, le norme abrogate per via referendaria, atteso l’effetto vincolante del referendum.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Sciogliendo il nodo, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4 (e delle successive modificazioni da questo subite in pendenza del giudizio di costituzionalità).<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La Corte Costituzionale, dopo aver affermato l’analogia, se non la sostanziale coincidenza, della normativa abrogata per via referendaria con l’articolo 4, rileva che, nella fattispecie sottoposta al suo giudizio, “<i>non può ritenersi che l’esclusione del servizio idrico integrato dal novero dei servizi pubblici locali ai quali una simile disciplina si applica sia satisfattiva della volontà espressa attraverso la consultazione popolare, con la conseguenza che la norma oggi all’esame costituisce, sostanzialmente, la reintroduzione della disciplina abrogata con il referendum</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Di conseguenza, la disposizione di cui all’articolo 4 “<i>viola il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare</i>”, desumibile dall’articolo 75 della Costituzione.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La Corte così giustifica le conclusioni cui è pervenuta: “<i>Un simile vincolo derivante dall’abrogazione referendaria si giustifica, alla luce di una interpretazione unitaria della trama costituzionale ed in una prospettiva di integrazione degli strumenti di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa delineato dal dettato costituzionale, al solo fine di impedire che l’esito della consultazione popolare, che costituisce esercizio di quanto previsto dall’art. 75 Cost., venga posto nel nulla e che ne venga vanificato l’effetto utile, senza che si sia determinato, successivamente all’abrogazione, alcun mutamento, né del quadro politico, né delle circostanze di fatto, tale da giustificare un simile effetto. <o:p></o:p></i></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><i><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Tale vincolo è, tuttavia, necessariamente delimitato, in ragione del suo carattere puramente negativo, posto che il legislatore ordinario, pur dopo l’accoglimento della proposta referendaria, conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata</span></i><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Tale principio, che la Corte cerca di rafforzare con il richiamo a sue precedenti sentenze del 1990 e del 1993, non era però mai stato espresso così chiaramente. Tanto è vero che l’Avvocatura dello Stato, intervenuta nel giudizio per il Presidente del Consiglio dei Ministri, aveva osservato che la giurisprudenza della Corte Costituzionale, pur avendo rilevato in talune decisioni la non riproponibilità della medesima disciplina abrogata, “<i>non avrebbe mai avuto occasione di specificare la portata di tale preclusione</i>”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Si può ricordare, a questo proposito, il caso clamoroso del finanziamento pubblico dei partiti; esso, abrogato per via referendaria nel 1993, venne tuttavia ripristinato, pochi mesi più tardi, nella forma dei rimborsi elettorali ai partiti stessi. E’ ben vero che questo caso non è mai stato sottoposto al giudizio della Corte Costituzionale, ma è altrettanto vero che si è sempre sostenuto, non solo da parte dei politici, ma anche da parte della dottrina costituzionalistica che, dopo il referendum, resta inalterato il potere del Parlamento di legiferare nella materia che era stata oggetto del referendum stesso.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">In concreto, se si ripercorre la storia dei referendum in Italia, ci si avvede che, sul terreno strettamente politico, spesso i risultati referendari sono stati traditi, sia dai partiti che dai governi.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Dopo la sentenza del 20 luglio 2012, il tradimento sarà</span><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"> indubbiamente più difficile. E il referendum abrogativo, come istituto di democrazia diretta, sarà sempre meno un’illusione e sempre più una realtà.<o:p></o:p></span></span></div>
Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-14680332456540817962012-07-03T05:47:00.002-07:002012-08-05T01:22:50.148-07:00IN RICORDO DI “ALDRO”<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">“<em>Aldro</em>” è il soprannome con cui gli amici chiamavano Federico Aldrovandi. Federico (non mi è mai piaciuto il vezzo – diffuso anche a Cremona – di attribuire <span style="font-family: Times, "Times New Roman", serif;">alle</span> persone un nomignolo derivato dal cognome) era un ragazzo di diciotto anni di Ferrara. Una sera della fine di settembre 2005 si recò con gli amici a Bologna, dove trascorse la notte in una discoteca decisamente “alternativa”. Bevve un po’ e assunse qualche sostanza stupefacente (in quantità moderata, come ebbero poi ad accertare gli esami tossicologici).</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Lasciati gli amici, decise di tornare a casa a piedi, ed a Ferrara, in Via Ippodromo, incontrò una pattuglia della polizia. Probabilmente reagì male a qualche richiesta, ma la circostanza non è mai stata chiarita. Vi fu una colluttazione tra Federico e i due poliziotti, che ne chiamarono in aiuto altri due. Lo scontro fu molto violento e Federico morì, con il torace schiacciato sull’asfalto dalle ginocchia dei poliziotti. Erano circa le sei del mattino del 25 settembre 2005. La famiglia fu avvertita solo alle undici. Soprattutto per la tenacia della mamma di Federico, il caso sul quale si era cercato di calare un velo di silenzio insabbiando le indagini, condusse ad un processo penale che si è concluso il 21 giugno 2012 con la condanna definitiva, da parte della Cassazione, dei quattro poliziotti alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione per omicidio colposo, di cui tre anni coperti da indulto. Le reazioni scomposte di uno dei quattro poliziotti, che ha avuto la faccia tosta di definire Federico, in una pagina di Facebook, come un “<i>cucciolo di maiale</i>” (meritando da parte del Ministro dell’Interno, che è veramente una “<i>dama di ferro</i>”, l’immediato avvio di un procedimento disciplinare) sono cronaca di questi ultimi giorni.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ma perché parlo di Federico Aldrovandi? Non certo per ripercorrere le tappe del caso giudiziario (ne è stato tratto anche un bellissimo documentario “<i>E’ stato morto un ragazzo</i>” di Filippo Vendemmiati, trasmesso qualche sera fa da Rai News). Non certo perché personalmente qualcosa mi accomuni a Federico: avrei potuto essere suo nonno e poi non fumo, non bevo alcolici, la musica che lui ascoltava io la percepisco solo come una insopportabile cacofonia. Certo, provo una pena infinita quando penso alla sua giovane vita spezzata in una notte di settembre, quando forse sarebbe bastato l’intervento di un’ambulanza e la somministrazione di un sedativo per risolvere il problema (così risulta dalla sentenza di primo grado). La pena è ancora più forte se penso alla madre, al padre, al fratello.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ma provo, soprattutto, una forte indignazione civile di fronte ad agenti delle forze dell’ordine, sulla cui protezione tutti dovremmo poter contare, che si lasciano andare ad indicibili atti di violenza contro un ragazzo inerme, sino a massacrarlo e ucciderlo, e che poi cercano di depistare ed insabbiare le indagini, per sfuggire alle conseguenze del loro comportamento.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Le violenze operate da agenti delle forze dell’ordine (che pure hanno pagato un tributo di sangue altissimo nella lotta al terrorismo ed alla mafia) si sono verificate più volte, per fortuna piuttosto di rado con conseguenze letali.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Rispetto a simili evenienze, purtroppo, l’ordinamento italiano è inadeguato, come si può dedurre dal reato di cui erano imputati i poliziotti e dalla pena che è stata loro inflitta.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><personname productid="La Repubblica" w:st="on"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La Repubblica</span></personname><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"> italiana ha sottoscritto la “Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”, conclusa a New York nel 1984, e l’ha ratificata con Legge 3 novembre 1988 n. 498. La convenzione, per l’Italia, è diventata efficace l’11 febbraio 1989, data del deposito dello strumento di ratifica.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Tale convenzione impone agli Stati che la ratificano l’obbligo di legiferare affinché qualsiasi atto di tortura, come pure il tentativo di praticare la tortura o qualunque complicità o partecipazione a tale atto, siano espressamente previsti come reato nel diritto penale interno.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">A tale convenzione, viene riconosciuto il merito, in particolare, di avere per la prima volta fissato dal punto di vista del diritto internazionale una definizione del reato di tortura e di trattamenti e punizioni inumani e degradanti, oltre a sottoporre gli Stati aderenti al monitoraggio permanente del Comitato contro la tortura.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ciononostante il Parlamento non ha mai introdotto il reato di tortura nel codice penale italiano, anche se, nel 2006, una proposta di legge in tal senso fu approvata dal Senato, ma poi decadde per la fine anticipata della legislatura.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Le ragioni contrarie alla introduzione del reato di tortura sono ben note e presenti nel dibattito internazionale. Sono state determinate, in particolar modo, dalle posizioni assunte negli ultimi anni dai governi di Bush e solo in parte di Obama verso certi metodi di interrogatorio, definiti dall’Amministrazione semplicemente come “<i>duri</i>”, che vengono impiegati nei confronti di detenuti sospettati di attività terroristiche (è la polemica sui detenuti di Guantanamo). La posizione degli organi internazionali preposti alla tutela dei diritti umani, nonché di una parte consistente dell’opinione pubblica mondiale, è che questi metodi siano da qualificarsi, se non come torture vere e proprie, quantomeno come trattamenti inumani e degradanti, vietati dal diritto internazionale.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La mia opinione, tuttavia, è che i tempi siano ormai maturi per introdurre il reato di tortura nell’ordinamento giuridico italiano. Non si può consentire che la tortura rimanga impunita, soprattutto quando la tortura è un atto di violenza esercitato in particolare da pubblici ufficiali nei confronti di persone inermi, allo scopo di spezzarne la volontà di resistenza:<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la tortura, per usare le parole del giurista Antonio Cassese, è allora “<i>la faccia perversa e crudele dell’autoritarismo, il modo più rapido e sbrigativo di ‘trattare’ con chi ‘non è d’accordo’</i>” (come Federico Aldrovandi, cui piaceva la musica alternativa e che fumava qualche spinello).</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ciao Federico.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><i><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;">Sit tibi terra levis</span></i><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;">. </span></span></div>
</div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-7780343107064471432012-06-18T23:42:00.001-07:002012-07-03T05:49:19.904-07:00LA CORTE COSTITUZIONALE, VOCE VIVA DELLA COSTITUZIONE (*)<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Le origini del giudizio di costituzionalità, che è affidato alla Corte Costituzionale, si possono rinvenire negli Stati Uniti.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Fu la storica sentenza della Corte Suprema nella causa Marbury vs. Madison del 1803 che affermò il principio della superiorità della Costituzione rispetto alla legge, chiarendo altresì che il ruolo di tutore della Costituzione è affidato ai giudici.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">In questa sentenza si legge: “<i>Il popolo ha il diritto originario di stabilire, per il suo futuro governo, quelle regole che ritiene adeguate al conseguimento della felicità [… ma …] i poteri delle camere legislative sono definiti e limitati; <personname productid="la Costituzione" w:st="on">la Costituzione</personname> è stata posta per iscritto per evitare che questi poteri siano mal compresi o dimenticati. […] O <personname productid="la Costituzione" w:st="on">la Costituzione</personname> è una legge superiore, non modificabile con mezzi ordinari, oppure è posta sullo stesso livello degli atti legislativi ordinari e, come tale, sempre modificabile dal potere legislativo. Se la prima parte di questa proposizione alternativa è vera, un atto legislativo contrario alla Costituzione non è legge; se la seconda parte è vera, allora le Costituzioni scritte sono un tentativo assurdo, da parte del popolo, di limitare un potere per sua stessa natura illimitabile</i>”.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Nel continente europeo la tradizione era, invece, quella del costituzionalismo francese che aveva sostituito l’assolutismo monarchico con una sorta di assolutismo parlamentare, che respingeva qualsiasi forma di controllo esterno, in particolare da parte dei giudici.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">In questa tradizione si inserisce lo Statuto albertino che costituì la carta fondamentale, prima del Regno di Sardegna e poi del Regno d’Italia, sino al D.Lgs.Lgt. 25 giugno 1944 n. 151, sull’ordinamento provvisorio dello Stato.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Era una costituzione flessibile, non rigida, che poteva essere modificata con legge ordinaria. Tanto è vero che la forma di governo si trasformò quasi subito da costituzionale pura in parlamentare e, poi, con il fascismo, in autoritaria, senza che lo Statuto subisse modifiche.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Ignorava del tutto, lo Statuto albertino, il controllo di costituzionalità. Ma la rigidità della Costituzione, come abbiamo visto, era allora estranea alla cultura europea.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Il mito dell’assolutismo parlamentare entrò in crisi a cavallo fra il XIX ed il XX secolo.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Nella sua prolusione del 1909 all’Università di Pisa, Santi Romano parlò di crisi dello Stato moderno. Il grande giurista palermitano identificava la crisi nel montare e nel crescere di formazioni sociali che, frastagliando la compattezza dello Stato (quella compattezza voluta dal progetto giacobino, ma assai congeniale allo Stato di diritto di marca liberale), lo stava erodendo nel profondo.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Nella prima metà del secolo XX due grandi giuristi, Hans Kelsen e Carl Schmitt, si posero il problema di quale fosse il soggetto istituzionale più adatto a garantire <personname productid="la Costituzione." w:st="on">la Costituzione.</personname></span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Per Kelsen <personname productid="la Costituzione" w:st="on">la Costituzione</personname> è prima di tutto la principale fonte sulla produzione del diritto ed egli suggeriva il ricorso ad un organo giurisdizionale, una Corte Costituzionale, quale istanza unitaria, in posizione di indipendenza rispetto ai soggetti da controllare.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Per Schmitt, invece, <personname productid="la Costituzione" w:st="on">la Costituzione</personname> era la decisione politica fondamentale; egli riteneva che la funzione di garanzia dovesse essere affidata a quell’organo che rappresentava l’unità politica del popolo, e cioè il Capo dello Stato cui attribuire poteri di eccezione per i momenti di crisi.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Ma, nel XX secolo, iniziò a farsi strada anche la consapevolezza che il pericolo per la libertà potesse provenire anche dalle assemblee rappresentative e che occorresse un organo che potesse porre freni alla onnipotenza del legislatore, che poteva tradursi in una tirannia.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La posizione di Kelsen risultò, quindi, vincente e la prima Corte Costituzionale, su suo impulso, fu prevista dalla Costituzione austriaca del 1920.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">In questo solco, si inserisce <personname productid="la Costituzione" w:st="on">la Costituzione</personname> italiana del <metricconverter productid="1948. A" w:st="on">1948. A</metricconverter> differenza che negli Stati Uniti dove vi è un sistema diffuso di controllo di costituzionalità, affidato a tutti gli organi giudiziari, i quali disapplicano le norme in contrasto con <personname productid="la Costituzione" w:st="on">la Costituzione</personname>, fu scelto un sistema accentrato: il controllo di legittimità è affidato ad un organo costituzionale istituito <i>ad hoc</i>. Questo Tribunale, a differenza del sistema diffuso (per il quale vi è il ricorso alla Corte Suprema), decide in via definitiva con efficacia <i>erga omnes</i>, eliminando dall’ordinamento le norme in contrasto con <personname productid="la Costituzione" w:st="on">la Costituzione</personname>, e non solo disapplicandole.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<personname productid="LA CORTE COSTITUZIONALE" w:st="on"><span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">La Corte Costituzionale</span></personname><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;"> non entrò in funzione subito. La nomina dei 15 giudici fu faticosa e <personname productid="la Corte" w:st="on">la Corte</personname> si insediò il 15 dicembre 1955 e tenne la sua prima udienza il 23 aprile 1956.</span></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Il suo contributo affinché l’ordinamento si conformasse ai principi costituzionali e affinché si affermasse una lettura costituzionalmente orientata delle norme è stata determinante, tanto è vero che si parla della Corte come <i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>viva vox Constitutionis</i>. Nei primi anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione, si tendeva a distinguere, fra le norme costituzionali, quelle “<i>immediatamente precettive</i>” da quelle “<i>meramente programmatiche</i>” (secondo una distinzione introdotta dalla giurisprudenza della Cassazione); veniva prospettata anche la teoria secondo cui il sindacato di costituzionalità non potesse estendersi alle leggi antecedenti all’entrata in vigore della Costituzione (come sostenuto dall’Avvocatura dello Stato nella controversia inerente una norma del T.U. di pubblica sicurezza del 1931 che costituì l’oggetto della sentenza n. 1 della Corte).</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Di queste teorie fece subito giustizia la stessa Consulta con la sua prima sentenza (14 giugno 1956 n. 1).</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Relativamente all’affermarsi progressivo del ruolo della Corte, è di grande interesse la lettura di due splendidi saggi, “<i>Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana</i>” di Livio Paladin e “<i>Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana</i>” di Sergio Bartole.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Il peso effettivo della Corte, nell’ordinamento costituzionale italiano, ha rappresentato e rappresenta tuttora il tema di giudizi assai diversi, pur avendo <personname productid="la Corte" w:st="on">la Corte</personname> ospitato, nei suoi quasi sessant’anni di vita, alcune delle menti giuridiche più brillanti del paese. </span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Basterà ricordare, fra i giudici ormai scomparsi, il primo presidente, Enrico De Nicola; Gaspare Ambrosiani, teorico dell’autonomia regionale; il cremonese Giuseppe Cappi (di cui il prossimo anno ricorrerà il cinquantesimo anniversario della morte); i costituzionalisti Costantino Mortati e Livio Paladin; l’amministrativista Aldo M. Sandulli; il romanista Giuseppe Branca; il processualista Virgilio Andrioli.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">Ha scritto Paolo Grossi, attuale giudice della Consulta, che <personname productid="la Corte" w:st="on">la Corte</personname>, nell’ordinamento giuridico italiano, ha rappresentato un organo sommamente garantistico per il cittadino, che trova in essa il presidio delle sue libertà fondamentali.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt;">In conclusione, occorre ribadire che tutte le funzioni della Corte Costituzionale sono riconducibili “<i>ad un principio fondamentale unitario: garantire e rendere praticamente operante il principio di legalità che il nuovo ordinamento dello Stato ha esteso a livello costituzionale, sottoponendo al rispetto delle norme costituzionali anche gli atti degli organi politici statali, nonché i rapporti intercorrenti tra questi ultimi e quelli tra Stato e regioni</i>” (Corte cost., 17 febbraio 1969 n. 15). Questa attività appartiene alla fisiologia di un ordinamento a costituzione rigida, che contempla, anche se non impone, un organo di giustizia costituzionale. Tuttavia, <personname productid="la Corte" w:st="on">la Corte</personname>, nel tempo ha dovuto anche supplire alle inadempienze e ai ritardi del Parlamento e del Governo,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>disarticolando, a colpi di sentenze, non solo gran parte dell’apparato normativo preesistente all’entrata in vigore della Costituzione, ma anche leggi successive che ledevano valori fondamentali dalla medesima espressi, implicitamente dichiarando l’illegittimità anche dell’indirizzo politico del quale erano espressione. Non può negarsi che <personname productid="la Costituzione" w:st="on">la Costituzione</personname> della Repubblica italiana – naturalmente si parla della Costituzione vigente – risulta parzialmente corrispondente a quella che <personname productid="la Corte" w:st="on">la Corte</personname> ha statuito che sia, e molti suoi articoli vanno ormai letti, interpretati e attuati alla luce delle sentenze costituzionali, facendo della Corte la <i>viva vox Constitutionis</i>. In conseguenza di ciò, ha occupato uno spazio di intervento, che a mano a mano si è esteso e serve a caratterizzare la stessa Corte come organo dotato di una “<i>forza politica</i>”, pur senza appartenere alla politica: “<i>l’incidenza delle sue inappellabili decisioni, la rilevanza che assumono le motivazioni delle sue sentenze (e gli obiter dicta in esse spesso contenuti), la diffusa (ma, in un certo senso, inevitabile) tendenza a sostituirsi al legislatore inadempiente hanno fatto assumere alla Corte un ruolo che, almeno secondo l’originario disegno costituzionale, essa non era chiamata a svolgere; per cui alla Corte sono oggi affidati poteri sostanziali di indirizzo politico, pur nel quadro complessivo delle sue funzioni,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dirette ad assicurare il pieno rispetto della Costituzione</i>”, come ha affermato il costituzionalista Temistocle Martines. Eppure, nessun rischio corre la tenuta delle nostre istituzioni a causa di una giustizia costituzionale protesa alla massima tensione di garanzia: essa, infatti, “<i>protegge <personname productid="la Repubblica" w:st="on">la Repubblica</personname> e per questo limita la democrazia, perché vale a preservarne il carattere di specificazione della Repubblica. La sua funzione è precisamente di evitare che qualcuno, una parte soltanto, s’impadronisca della “cosa di tutti”, estromettendo l’altra parte dalla proprietà comune. In breve: la<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>giustizia costituzionale è una “funzione repubblicana”. In questa definizione di poche parole c’è tutta la sua importanza e la sua dignità e non c’è nessuna ragione di arrampicarsi sugli specchi per cercare a ogni costo di assegnarle un’innaturale natura democratica, di cui essa non ha alcun bisogno, che ha anzi da temere</i>”, come ha scritto l’ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky in “<i>Principi e voti. <personname productid="LA CORTE COSTITUZIONALE" w:st="on">La Corte Costituzionale</personname> e la politica</i>”, un aureo libretto la cui lettura mi sento di consigliare anche ai non tecnici del diritto.</span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoTitle" style="line-height: 200%; margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;">(*) </span><span style="font-size: 10pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-weight: bold;">Questo scritto costituisce una rielaborazione e una sintesi dell’intervento svolto in occasione del seminario “<i>Il giudizio di costituzionalità: un giudice costituzionale a confronto con un avvocato e un magistrato</i>”, tenutosi a Cremona il 15 giugno 2012 con l’intervento del giudice costituzionale Giuseppe Frigo</span><span style="font-size: 12pt; font-weight: normal; line-height: 200%; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;">.</span></span></div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-22916362013802437232012-06-02T08:11:00.002-07:002012-06-18T23:50:01.901-07:00ANCORA SOLDI AI PARTITI?<br />
<div align="justify" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Dopo lo scandalo scoppiato per l’uso improprio (ed usando questo aggettivo faccio certamente dell’understatment) dei fondi pubblici erogati a titolo di rimborsi elettorali alla Margherita ed alla Lega Nord, il Parlamento, fra titubanze e rinvii, sta discutendo della riforma del finanziamento pubblico ai partiti.</span></div>
<div align="justify" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’articolo 49 della Costituzione, per quanto riguarda i partiti, si limita ad affermare che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.</span></div>
<div align="justify" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Cionondimeno i partiti politici hanno avuto un ruolo assai significativo nella storia del nostro paese nel dopoguerra. Non a caso Pietro Scoppola, nel pubblicare, nel 1991, al declinare della prima Repubblica, la sua storia dell’Italia repubblicana, ebbe significativamente a denominare la sua opera “La Repubblica dei partiti”.</span></div>
<div align="justify" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’articolo 49 è uno dei primi esempi di riconoscimento in una costituzione moderna del ruolo dei partiti politici. Per l’inserimento della nuove realtà dei partiti politici, l’Assemblea costituente scelse il riferimento alla libertà dei singoli, incentrato sulla visione dei partiti quali “libere associazioni” di cittadini. La scelta, appare ovvio, fu motivata dal rifiuto del modello di partito – stato che aveva contrassegnato l’esperienza fascista e che, in quegli stessi anni, dominava nell’Unione sovietica e si andava affermando nelle “democrazie popolari” dell’Est europeo.</span></div>
<div align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Nell’Europa di oggi, mentre alcuni paesi (Estonia, Ungheria, Slovenia) includono la loro disciplina dei partiti all’interno del più generico riconoscimento della libertà di associazione, il modello prevalente (Portogallo, Germania, Italia, Francia) è costituito da una esplicita previsione della libertà di riunirsi in partiti, inserita nell’ambito della categoria dei diritti politici, più che come una specificazione delle libertà civili.</span></div>
<div align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">I partiti sono, quindi, preordinati alla formazione della volontà dello Stato. Pertanto, da una parte, le associazioni politiche appartengono alla società civile, dall’altra parte svolgono funzioni di carattere costituzionale, concorrendo a determinare la politica nazionale ed operando, in via pressoché esclusiva, la selezione dei candidati alle elezioni.</span></div>
<div align="justify" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Anche l’articolo 191 del Trattato istitutivo dalla Comunità europea riconosce il ruolo dei partiti affermando che “I partiti politici a livello europeo sono un importante fattore per l’integrazione in seno all’Unione. Essi contribuiscono a formare una coscienza europea e ad esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione”.</span></div>
<div align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">E’ chiaro, quindi, che la libertà, per i cittadini, di associarsi in partiti è elemento distintivo del pluralismo politico che contraddistingue gli stati democratici. </span></div>
<div align="justify" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Peculiarità italiana, scarsamente ravvisabile nei paesi democratici di tradizione occidentale, è la partitocrazia, termine con il quale si indica un regime politico in cui il potere effettivo ha il suo centro nei partiti e non negli organismi previsti dalla Costituzione e dalle leggi (che si limitano a dare veste legale a quanto deciso altrove).</span></div>
<div align="justify" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il termine fu coniato dal costituzionalista Giuseppe Maranini che lo usò, per la prima volta, nel 1949, nella sua prolusione all’Università di Firenze, intitolata “Governo parlamentare e partitocrazia”.</span></div>
<div align="justify" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">La partitocrazia, che ha fatto della democrazia italiana un regime sui generis (perché mai, per essere primari in un ospedale, è quasi sempre necessario appartenere ad un movimento politico?), si è consolidata anche grazie al finanziamento pubblico dei partiti. Questo istituto fu introdotto dalla Legge 2 maggio 1974 n. 195.</span></div>
<div align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Fu abrogato da un referendum svoltosi nell’aprile 1993, in cui il 90,3% dei votanti ebbe ad esprimersi in senso contrario al finanziamento.</span></div>
<div align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Ma fu, pochi mesi dopo, reintrodotto (dalla Legge 10 dicembre 1993 n. 515) nella forma dei rimborsi elettorali.</span></div>
<div align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Tale legge, successivamente modificata ed integrata (da ultimo con la Legge 23 febbraio 2006 n. 51) non è, di per sè, illegittima: l’abrogazione di una norma a seguito di un referendum non impedisce, infatti, al Parlamento di approvare una nuova norma di contenuto simile a quella abrogata. Ma è politicamente riprovevole e assolutamente immorale.</span></div>
<div align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Le somme erogate negli ultimi anni a favore dei partiti politici sono certamente cospicue e superiori alle oggettive spese elettorali. Mentre gli italiani tirano la cinghia per la crisi economica che sempre più si fa sentire, i mezzi di informazione hanno parlato di finanziamenti pubblici utilizzati per l’acquisto di oro e diamanti, ovvero per le spese personali di taluni dirigenti e dei loro familiari.</span></div>
<div align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">L’indignazione provocata da tali accadimenti è notizia di questi giorni. Parlarne esula, peraltro, dalle finalità che mi propongo.</span></div>
<div align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Il finanziamento pubblico dei partiti in generale, non è cosa cattiva e, non a caso, è previsto in vari ordinamenti. Ha, palesemente, lo scopo di impedire che l’attività politica sia di fatto preclusa alle persone che non dispongono di cospicui mezzi personali. Così era nell’Italia liberale postunitaria, quando non esisteva neppure l’indennità parlamentare e venivano eletti deputati quasi esclusivamente i grandi proprietari terrieri, gli industriali, i professionista più noti, i docenti universitari.</span></div>
<div align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Cionondimeno nell’attuale contesto politico, sociale, economico dell’Italia, il finanziamento pubblico ai partiti è inaccettabile.</span></div>
<div align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">I politici che non se ne accorgono, e non sono pochi, hanno, me lo si consenta, le fette di salame sugli occhi.</span></div>
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Come già si è detto, i partiti sono strumenti indispensabili nelle democrazie moderne. Sono irresponsabili quei politici che, con il loro stesso comportamento, alimentano la crisi di rigetto degli elettori nei confronti dei partiti.</span></div>
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br /></span> </div>
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<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">(articolo pubblicato sul quotidiano cremonese on-line Cremonaoggi.it nel giugno 2012)</span></div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-13225974339413239492012-06-02T08:07:00.001-07:002012-06-02T08:07:44.305-07:00IL REBUS DEL DANNO ALL’AMBIENTE<div style="text-align: justify;">
In questi giorni, il mondo politico cremonese è in fibrillazione. Si discute se il Comune di Cremona debba o meno costituirsi parte civile in un procedimento penale che vede imputati, per reati di natura ambientale, alcuni dirigenti della Tamoil. Nel comune sentire, il diritto all’ambiente è senz’altro annoverato fra i diritti fondamentali della persona. Eppure nella Costituzione (che – non lo si deve dimenticare – riflette la cultura degli anni quaranta del novecento), non si rinviene un riferimento espresso all’ambiente e alla sua tutela, come si trova, invece, nell’articolo 66 della Costituzione portoghese del 1976, nell’articolo 45 della Costituzione spagnola del 1978, negli articoli 72 e 73 della Costituzione slovena del 1991. Eppure l’ambiente costituisce un valore trasversale nell’ordinamento giuridico, che necessita di adeguata tutela, in quanto primario per il benessere psicofisico e lo sviluppo della persona umana. Per trovare un fondamento costituzionale alla tutela ambientale, da un lato si è interpretato in senso notevolmente estensivo il dettato dell’articolo 9, dilatando il significato del termine “paesaggio” ivi contenuto, dall’altro lato si è estratto dal diritto alla salute genericamente inteso (e tutelato dall’articolo 32) il diritto ad un ambiente salubre. La Corte costituzionale ha definito indirettamente il diritto all’ambiente (nella sentenza 28 maggio 1987 n. 210) partendo dalla definizione del danno arrecato a tale diritto come “pregiudizio arrecato, da qualsiasi attività volontaria o colposa, alla persona, agli animali, alle piante e alle risorse naturali (acqua, aria, suolo, mare), che costituisce offesa al diritto che vanta ogni cittadino individualmente e collettivamente. Trattasi di valori che in sostanza la Costituzione prevede e garantisce (artt. 9 e 32 Cost.), alla stregua dei quali, le norme di previsione abbisognano di una sempre più moderna interpretazione”. La questione del risarcimento del danno all’ambiente è intrinsecamente connessa alla nozione di diritto all’ambiente ed alla sua configurazione giuridica. A tale proposito, ancora la Corte costituzionale ha negato (nella sentenza 30 dicembre 1987 n. 641) che l’ambiente possa essere “oggetto di una situazione soggettiva di tipo appropriativo: ma, appartenendo alla categoria dei c.d. beni liberi, è fruibile dalla collettività e dai singoli. Alle varie forme di godimento è accordata una tutela civilistica la quale, peraltro, trova ulteriore supporto nel precetto costituzionale che circoscrive l’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) ed in quello che riconosce il diritto di proprietà, ma con i limiti della utilità e della funzione sociale (art. 42 Cost.). E’, inoltre, specificamente previsto il danno che il bene può subire. Esso è individuato come compromissione (dell’ambiente) e, cioè, alterazione, deterioramento o distruzione, cagionata da fatti commissivi o omissivi, dolosi o colposi, violatori delle leggi di protezione e di tutela e dei provvedimenti adottati in base ad esse. La responsabilità che si contrae è correttamente inserita nell’ambito e nello schema della tutela aquiliana (art. 2043 cod. civ.)”. Non è semplice risolvere il problema dell’appartenenza di un bene per sua natura immateriale come l’ambiente ed individuare quindi quale sia il soggetto titolare del diritto al risarcimento laddove il diritto all’ambiente subisca una lesione. Come ha scritto Giuliano Amato, l’ambiente è un bene pluridimensionale, cosicché “il danno ambientale presenta una triplice dimensione: personale (quale lesione del diritto fondamentale dell’ambiente di ogni uomo); sociale (quale lesione del diritto fondamentale dell’ambiente nelle formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità umana, art. 2 Cost.); pubblica (quale lesione del diritto-dovere pubblico delle istituzioni centrali e periferiche con specifiche competenze ambientali)”. Oggi l’azione risarcitoria per il danno ambientale è disciplinata dall’articolo 311 del Codice dell’ambiente (D. Lgs. 3 aprile 2006 n. 152) , il cui primo comma prevede che “il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale”. Tale norma è chiara nell’attribuire, in via esclusiva, la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale in capo al solo Ministero dell’ambiente, che è stato individuato quale soggetto operativamente responsabile alla luce di quanto previsto dall’articolo 11 della direttiva 2004/35/CE. In questo senso, la norma ha caducato l’autonoma legittimazione a chiedere il risarcimento del danno ambientale in capo agli enti territoriali (Comuni, Province, Regioni), diversi dallo Stato. E’ stato, infatti, abrogato l’articolo 18 della Legge 8 luglio 1986 n. 349, secondo cui l’azione di risarcimento del danno ambientale, anche in sede penale, oltre che dallo Stato, poteva essere promossa “dagli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo”. Così pure è stato abrogato l’articolo 9, terzo comma, del T.U. sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267) che prevedeva il risarcimento del danno ambientale a favore degli enti locali stessi. Così pure è stata soppressa la legittimazione delle associazioni ambientaliste, anch’essa prevista dal già citato articolo 18. Chi scrive (che non è un raffinato giurista, ma, al più, un modesto avvocato di campagna) nutre qualche dubbio sulla legittimità costituzionale della norma che limita al Ministro dell’ambiente la legittimazione ad agire per il ristoro del danno ambientale. Se, come si è visto, il diritto all’ambiente è costituzionalmente garantito ed il conseguente danno all’ambiente ha carattere pluridimensionale, non si vede perché la titolarità dell’azione risarcitoria debba essere limitata al solo Ministro dell’ambiente. Ma vi è di più. La nozione di danno ambientale è desumibile dall’articolo 300 del Codice dell’ambiente, in cui sono stati trasfusi i principi contenuti nella direttiva 2004/35/CE: “è danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”. Secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale (nella già citata sentenza 30 dicembre 1987 n. 641), il danno all’ambiente “è certamente patrimoniale, sebbene sia svincolato da una concezione aritmetico-contabile e si concreti piuttosto nella rilevanza economica che la distruzione o il deterioramento o l’alterazione o, in genere, la compromissione del bene riveste in sé e per sé e che si riflette sulla collettività la quale viene ad essere gravata da oneri economici”. Come ha ritenuto la Consulta, la quantificazione del danno non può quindi rispondere a criteri astrattamente aritmetici e contabili, in quanto non è dato prescindere da una valutazione d’insieme della rilevanza sociale delle lesioni – immediate ed istantanee, differite e permanenti – arrecate al valore ambiente nella molteplicità di aspetti che involge. Nel 2008, la Cassazione si è discostata da questo orientamento propendendo per la natura non patrimoniale del danno all’ambiente, sulla base della considerazione che la compromissione dell’ambiente trascende il mero pregiudizio patrimoniale derivato ai singoli beni che ne fanno parte, in quanto il bene pubblico deve essere considerato unitariamente per il valore d’uso da parte della collettività, quale elemento determinante della qualità della vita della persona (sentenza del 10 ottobre 2008 n. 25010). La natura patrimoniale del danno all’ambiente non esclude, di per sé, che gravi fenomeni di inquinamento, oltre al danno all’ambiente, possano provocare altre forme di danno risarcibile. Si può, ad esempio, ritenere che, da siffatti fenomeni, possa derivare quello che la giurisprudenza ha definito come danno esistenziale, e cioè il danno non patrimoniale derivante da lesione di valori della persona costituzionalmente garantiti. Se si ritiene che il diritto all’ambiente faccia parte di tali diritti, si deve pervenire alla conclusione per cui la lesione del diritto all’ambiente possa determinare anche quei danni non patrimoniali che vengono definiti come esistenziali. Il diritto al risarcimento di tali danni compete certamente ai singoli che dall’inquinamento o dal disastro ecologico sono stati lesi (essendo costretti, ad esempio, a cambiare abitazione: si veda la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 15 aprile 1994 n. 667, sul noto caso “Seveso”). Ma tale diritto potrebbe essere riconosciuto anche al Comune che, secondo l’articolo 3, secondo comma, del T.U. sull’ordinamento delle autonomie locali, è ente esponenziale della propria comunità, legittimato ad agire per la tutela degli interessi riferibili alla collettività dei residenti sul suo territorio. Il Comune, inoltre, potrebbe aver subito, jure proprio, un danno all’immagine che è risarcibile anche in capo agli enti pubblici. Ritornando, in conclusione, all’argomento iniziale, mi corre l’obbligo di dire che, a mio modestissimo avviso (ma – debbo ripeterlo – sono solo un avvocato di campagna e non appartengo ad uno degli studi milanesi oggi tanto di moda), non sussistono ostacoli insormontabili, di ordine giuridico, a che il Comune di Cremona si costituisca parte civile nel processo penale relativo all’inquinamento della Tamoil, anche perché l’unico rischio che il Comune correrebbe sarebbe quello di una eventuale inammissibilità della costituzione. Se, invece, nel rispetto formale (per non dire formalistico) dell’articolo 311 del Codice dell’ambiente, il Comune insistesse a non volersi costituire parte civile, sarebbe almeno interessante conoscere se e quando, ai sensi dell’articolo 309 sempre del Codice dell’ambiente, il Comune di Cremona si sia attivato nei confronti del Ministro dell’ambiente perché questo intervenisse, secondo le sue competenze. Se, invece, gli ostacoli frapposti alla costituzione di parte civile non fossero giuridici ma di carattere politico, sarebbe tutt’altro discorso (che non competerebbe certo a me di affrontare). </div>
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(articolo pubblicato sul quotidiano on-line <em>Cremonaoggi.it</em> nel maggio 2012)</div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-56561226064923329072012-02-02T00:36:00.000-08:002012-02-02T00:54:09.787-08:00NAPOLITANO COME DE GAULLE<div align="justify">Il protagonista assoluto della vita politica italiana nel corso del 2011 è stato – a detta unanime di tutti gli osservatori – il Presidente della Repubblica Napolitano.<br />Da ultimo, egli ha saputo, in modo non traumatico, pilotare il passaggio dal Governo Berlusconi al Governo Monti.<br />La grande stampa internazionale ha colto pienamente il significato del ruolo svolto da Napolitano. “Re Giorgio” lo ha definito il “New York Times”, mentre il quotidiano francese “Le Monde” lo ha paragonato a De Gaulle.<br />Il paragone sembrerebbe azzardato, in quanto i due personaggi, De Gaulle e Napolitano, non potrebbero essere più diversi.<br />De Gaulle, guida della Resistenza francese contro i nazisti, era un militare d’antico stampo, un “monumento vivente”, come lo si definiva. Ritiratosi a vita privata dopo la guerra, fu richiamato al potere nel 1958, nel momento in cui la drammatica crisi algerina era sul punto di travolgere la IV Repubblica, dilaniata dalle lotte fra i partiti ed incapace di decidere alcunché. In pochi anni, oltre a concedere l’indipendenza all’Algeria ed a tutta l’Africa francofona, restituì la Francia al ruolo di grande potenza facendone, sia pure in modo non sempre coerente, la protagonista del processo di unificazione europea. Il nome di De Gaulle è soprattutto legato alla Costituzione della V Repubblica, che fu vista allora come una svolta autoritaria, ma che, invece, nell’arco di oltre un cinquantennio, ha garantito alla Francia stabilità e sviluppo. Oggi la Francia ha un sistema politico invidiato in tutta Europa, invidiato soprattutto da noi italiani che, negli anni sessanta, fummo severi critici della V Repubblica e del gollismo.<br />Talune posizioni di De Gaulle (come il veto all’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea, che infatti avvenne solo nel 1973 sotto il successore di De Gaulle) apparivano allora quasi ottocentesche, ma, rimeditate oggi alla luce di quanto poi accaduto, anche nelle ultime settimane, appaiono straordinariamente moderne ed attuali.<br />Ben diversa è la figura di Giorgio Napolitano. L’attuale Presidente della Repubblica è stato per molti anni un dirigente comunista, assolutamente ligio alle direttive del partito. In lui, tuttavia, prima che in altre personalità del più grande partito comunista dell’Occidente, fu palese l’evoluzione verso posizioni tipiche delle socialdemocrazie europee. Mentre, nel 1956, appoggiò la repressione sovietica in Ungheria, già nel 1968 fu a fianco della “primavera di Praga”, contestando l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Fu poi il primo dirigente comunista italiano a visitare gli Stati Uniti e ricoprì le cariche di Presidente della Camera dei Deputati e di Ministro dell’Interno. Parlamentare europeo, fu anche Presidente del Consiglio italiano del Movimento europeo.<br />Ciononostante, il paragone fatto da “Le Monde” è meno azzardato di quanto potrebbe, ad una prima impressione, sembrare.<br />Come De Gaulle, Napolitano si è trovato a dover affrontare la più significativa crisi che l’Italia abbia conosciuto nel dopoguerra. A tale scopo, ha interpretato i poteri presidenziali in modo estensivo, facendo sì che il suo ruolo si discostasse da quello puramente cerimoniale (tipico, ad esempio, del Presidente della Germania), avvicinandosi a quello, decisamente più politico, che è proprio del Presidente francese (ruolo che fu appunto modellato da De Gaulle). Per comprendere questa evoluzione, può essere utile la lettura di un recente volume di Mammarella e Cacace, “Il Quirinale. Storia politica e istituzionale da De Nicola a Napolitano”, edito da Laterza.<br />Resta un punto fermo: in Italia, il Presidente della Repubblica opera all’interno della forma di governo parlamentare declinata dalla Costituzione, i cui compiti sono dati dalla responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento, al cui raccordo è stata attribuita la funzione di indirizzo politico, e della corrispondente irresponsabilità del Presidente della Repubblica.<br />Secondo la dottrina, il ruolo sempre più significativo ricoperto dal Presidente della Repubblica, a partire dalla presidenza Pertini, trova il suo fondamento nel fatto che il Presidente “rappresenta l’unità nazionale”, così come stabilito dall’articolo 87 della Costituzione.<br />Secondo alcuni studiosi, “la rappresentanza dell’unità nazionale costituirebbe il fondamento per un rapporto diretto con l’opinione pubblica, quale fonte di legittimazione autonoma per farsi voce di esigenze che non si sono ancora coagulate sufficientemente a livello istituzionale, giustificando alla fine l’esistenza di un indirizzo politico del Presidente della Repubblica, anche contro i soggetti legittimati dalla Costituzione”.<br />Il ruolo giocato da Napolitano nel corso del 2011 e, in particolare, nella crisi che ha segnato il passaggio da Berlusconi a Monti, conferma che, nell’ordinamento costituzionale italiano, la figura del Presidente della Repubblica ha caratteri di indubbia flessibilità. Infatti, in proposito, si è affermato che il Capo dello Stato, proprio per l’innegabile flessibilità della sua figura, può ridursi ad organo puramente cerimoniale e simbolico, oppure, all’estremo, può trasformarsi in organo politico preminente.<br />Può quindi ritenersi insita nella Costituzione una sorta di “vis expansiva” della figura presidenziale. L’espansione, poi, si verifica in concreto in funzione della situazione politica contingente.<br />Di converso, può quindi affermarsi che non è in atto una lenta ed irreversibile trasformazione del Presidente della Repubblica in un Presidente alla francese, baricentro dell’intero sistema politico. Anzi, si può ritenere che, in una fase politica meno drammatica, i poteri del Presidente potrebbero tornare ad essere più circoscritti di quelli conosciuti nell’arco del 2011, proprio in forza della flessibilità di cui si è detto. </div><br /><br />(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel mese di dicembre 2011)Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-25575831412129418442011-12-16T00:37:00.000-08:002011-12-16T00:38:48.571-08:00UN OSCURO TESTO E UNA ANCOR PIU’ OSCURA GLOSSA<div align="justify">I giuristi medioevali solevano ripetere “a chiaro testo non fare oscura glossa”, volendo affermare il principio per cui quando una norma giuridica è chiara, non sono necessari sforzi interpretativi particolarmente impegnativi per applicarla.<br />Questo antico brocardo mi è tornato più volte alla mente riflettendo sulla recente vicenda della nomina, da parte del Sindaco di Cremona, del Presidente dell’A.E.M., nomina impugnata davanti al T.A.R. per la Lombardia, ma confermata dallo stesso Tribunale.<br />Infatti la norma regolamentare di cui il Sindaco ha fatto applicazione non è certo chiara, ma suscita dubbi anche la sentenza del T.A.R. che ha risolto definitivamente la questione (sempre che non venga interposto appello al Consiglio di Stato).<br />Ricapitolerò rapidamente i punti essenziali della vicenda.<br />L’articolo 50, comma 8, del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (T.U. sull’ordinamento degli enti locali) stabilisce che “sulla base degli indirizzi stabiliti dal Consiglio il Sindaco e il Presidente della Provincia provvedono alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del Comune e della Provincia presso enti, aziende ed istituzioni”.<br />Il Consiglio comunale di Cremona, nel fissare tali indirizzi, ha stabilito il seguente principio: “A far tempo dalla prima data di adozione dei presenti Indirizzi, non possono, comunque, essere nominati o designati coloro che abbiano già avuto nomine o designazioni da parte del Sindaco nel medesimo organismo, anche con incarichi diversi, per due mandati amministrativi consecutivi, o comunque, per un tempo superiore al doppio della prevista durata della carica nell’Ente, Azienda, Fondazione o Istituzione cui si riferisce la nomina o la designazione”.<br />Il problema sta tutto nell’interpretazione di questa norma. Ad un primo sommario esame, verrebbe da dire che, così come il Sindaco non può essere eletto per più di due mandati consecutivi (art. 51, comma 2, del T.U.), egualmente un rappresentante del Comune non può essere nominato, nel medesimo organismo, per più di due mandati consecutivi. L’inciso finale parrebbe voler significare che, se anche vi è stata una sola nomina, se il rappresentante, per qualsiasi ragione, è rimasto in carica più del doppio del periodo previsto, non può più essere nominato.<br />Il Sindaco, sulla base di un autorevole parere (mai, credo, reso pubblico), ha ritenuto che, in virtù di questa precisazione contenuta negli indirizzi approvati dal Consiglio comunale, il presidente dell’A.E.M., pure se già nominato per due volte, potesse essere nominato per una terza, non avendo ricoperto la carica per il doppio del tempo previsto per il mandato.<br />Un’altra persona che, con le modalità previste dagli indirizzi del Consiglio comunale, era stata candidata a ricoprire il medesimo ruolo, impugnava davanti al T.A.R. il provvedimento del Sindaco, avendo a ciò un interesse personale e diretto.<br />Al Giudice amministrativo veniva richiesta, in via cautelare, la sospensione dell’atto impugnato.<br />In sede di discussione della domanda cautelare, il T.A.R., facendo applicazione di una norma introdotta dal recente codice del processo amministrativo (articolo 60) ha definito immediatamente la questione, emettendo una sentenza in forma semplificata.<br />Ciò smentisce, prima di tutto, il luogo comune delle lungaggini della giustizia amministrativa la quale, invece, per le questioni di puro diritto che non richiedono particolare istruttoria, sa essere eccezionalmente rapida ed efficace.<br />La sentenza (che è liberamente consultabile da tutti sul sito internet della giustizia amministrativa) non appare, tuttavia, a mio modestissimo avviso, del tutto convincente.<br />Afferma, in primo luogo, che gli indirizzi approvati dal Consiglio comunale non si applicherebbero nella fattispecie, in quanto riguarderebbero gli enti, e non già l’A.E.M. che ormai è stata trasformata in una società per azioni.<br />La sentenza considera quindi che il termine “enti” debba essere inteso come “enti pubblici”, trascurando di valutare che l’espressione “ente” è generica e può quindi riferirsi a qualsiasi persona giuridica e che gli stessi indirizzi, nella rubrica, equiparano le società agli altri enti.<br />Peraltro la giurisprudenza (si veda, da ultimo, T.A.R. Puglia, Lecce, 24 febbraio 2010, n. 622) afferma che l’articolo 50 del T.U., in materia di nomine del Sindaco, trova applicazione anche per le società strumentali dell’ente locale, come l’A.E.M. certamente è.<br />Ancora meno convincente è la parte della sentenza che riguarda il limite temporale della nomina: “che infatti l’elemento ostativo è individuato alternativamente nei due mandati amministrativi consecutivi (riferiti al Sindaco e quindi ordinariamente 5 + 5 anni) e nel lasso temporale che supera il doppio della durata statutariamente prevista (e quindi oltre i 4 anni per le nomine biennali ed oltre i 6 per le nomine triennali);<br />- che questa formulazione permette a coloro che rientrano nel limite temporale di ricoprire la carica per il tempo previsto nell’atto di nomina, salvo l’ulteriore vincolo dei due mandati consecutivi”.<br />Questa motivazione non convince per un duplice ordine di ragioni. Prima di tutto perché i due mandati consecutivi, secondo gli indirizzi approvati dal Consiglio comunale, apparirebbero riferirsi non al Sindaco ma al rappresentante nominato dal Sindaco. Secondariamente perché, in ogni caso, come dice la stessa sentenza, il limite temporale deve arrestarsi di fronte al vincolo dei due mandati consecutivi (affermazione che – secondo logica - avrebbe dovuto condurre all’accoglimento e non già al rigetto del ricorso).Quale morale trarre da questa vicenda? E’ presto detto. Quando si scrive una norma sarebbe necessario avere chiari in mente gli obiettivi che si vogliono raggiungere e poi far scrivere la norma stessa da chi abbia conoscenza del diritto (e della lingua italiana).</div><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify">(aricolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel mese di dicembre 2011)</div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-33674324594727440072011-12-16T00:32:00.000-08:002011-12-16T00:34:37.421-08:00ROMA CAPITALE O MONZA CAPITALE?<div align="justify">L’aggravarsi della crisi finanziaria e la crisi politica che ne è derivata hanno fatto dimenticare le polemiche di qualche mese fa sull’apertura, nella Villa Reale di Monza, di sedi decentrate di taluni ministeri (Riforme per il federalismo, Semplificazione normativa, Turismo, Economia e finanze).<br />Pomposamente si è parlato di apertura dei ministeri al nord, anche se, più semplicemente, si è trattato della istituzione di “sedi distaccate di rappresentanza operativa” (secondo le parole dei decreti istitutivi).<br />Che Roma sia la capitale d’Italia è fuor di dubbio e non credo che, dal 1870, nessuno l’abbia mai messo in discussione. Roma fu proclamata capitale dall’articolo 1 della Legge 3 febbraio 1871 n. 33 e, secondo l’articolo 2 di detta legge, in Roma ha sede il Governo.<br />Con la recente modifica del Titolo V della Costituzione, che risale al 2001, il ruolo di Roma come capitale della Repubblica è stato costituzionalizzato.<br />L’articolo 114, ultimo comma, dispone, infatti, che “Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”.<br />E’ appena il caso di ricordare che le capitali hanno giocato un ruolo di enorme rilievo nella realtà così come nell’immaginario dell’età moderna. La capitale è stata il simbolo del potere e del prestigio nazionale, la visualizzazione del principio dell’unità dello Stato, il fulcro di complessi apparati politici e di imponenti macchine amministrative. La periferia, la provincia, le altre città hanno talvolta vissuto con disagio il ruolo delle capitali, soprattutto quando, ed è il caso italiano, queste altre città possedevano un’eredità storica e culturale di primo piano o addirittura si presentavano come più convincenti incarnazioni dei processi di modernizzazione.<br />Come reazione all’accentramento di una molteplicità di funzioni nella capitale dello Stato nazionale, si è posta in modo concreto la necessità di trasferire in altre città parti anche considerevoli delle attività dello Stato centrale.<br />In Germania, dopo l’unificazione, pur essendo comparsa sulla scena una capitale dai forti connotati simbolici come Berlino, è stata mantenuta una linea di pluralismo.<br />La sede della Corte costituzionale è restata a Karlsruhe, la Banca centrale a Francoforte, il polo radiotelevisivo a Monaco, e Bonn ha conservato interi dicasteri, così da mantenere il 55 per cento dei posti di lavoro nelle amministrazioni centrali. Accanto alle istituzioni parlamentari, dunque, solo una minoranza delle funzioni governative è migrata verso Berlino.<br />Anche l’Unione europea ha una struttura policentrica. La Commissione e il Consiglio dei Ministri hanno sede a Bruxelles; il Parlamento si divide fra Strasburgo, Lussemburgo e Bruxelles, la Corte di Giustizia è a Lussemburgo, mentre la Banca centrale europea ha la sua sede a Francoforte.<br />Per l’Italia si è parlato, più fra gli studiosi che fra i politici, della necessità di costituire una capitale reticolare, intesa come il riequilibrio del sistema urbano nazionale nel suo complesso, con il conseguente rafforzamento di dodici-quindici città italiane nella prospettiva di rispondere adeguatamente alla competizione economica europea.<br />Merita di essere ricordato, a questo proposito, uno studio della Fondazione Giovanni Agnelli, che risale al 1993, che contiene anche un interessante saggio del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky.<br />Questi ha proposto per l’organizzazione pubblica una struttura “ad arcipelago”, piuttosto che “a piramide”. Ciò consiste nella diffusione delle strutture governanti in più centri localizzati diversamente, “disseminati” in modo che tra di essi non vi siano più rapporti gerarchici, ma semmai rapporti di pari ordinazione e coordinazione.<br />La scelta di aprire uffici ministeriali a Monza sembrerebbe, ad un primo esame, coerente con questa impostazione.<br />In realtà non è così, perché tali uffici sono solo uffici di rappresentanza decentrati, atti ad eventualmente favorire i rapporti con i poteri locali. Qualcosa di assimilabile, quindi, agli uffici di rappresentanza che le Regioni hanno a Roma o a Bruxelles, presso la Commissione europea.<br />Per di più l’operatività di questi uffici (che pare non abbiano mai iniziato a funzionare) è stata sospesa da un decreto del Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Roma in data 19 ottobre 2011.<br />Infatti due sindacati autonomi dei dipendenti della Presidenza del Consiglio, non essendo stata ottemperata, da parte della stessa Presidenza, la richiesta di consultazione delle organizzazioni sindacali sul processo di riorganizzazione collegato all’apertura delle sedi decentrate, avevano presentato un ricorso per repressione di condotta antisindacale, ai sensi dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori.<br />Il Giudice del Lavoro ha dichiarato “l’antisindacalità della condotta tenuta dalla presidenza del Consiglio dei ministri, consistente nell’istituzione di sedi periferiche della struttura di missione di supporto al Ministro per la Semplificazione normativa e del Dipartimento per le Riforme istituzionali, a mezzo del decreto ministeriale per le riforme per il federalismo, entrambi emanati in data 7.6.2011, omettendo l’informativa preventiva e conseguentemente impedendo la concertazione con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del relativo comparto”. Pertanto, a seguito di questo comportamento, il Giudice del Lavoro ha ordinato “all’amministrazione resistente di desistere dal comportamento antisindacale e di rimuoverne gli effetti”.<br />Nel frattempo, per effetto della crisi finanziaria, il clima politico è cambiato. Si può pensare che gli uffici di Monza verranno abbandonati, che le ragnatele vi si accumuleranno e che la polvere offuscherà le lucide targhe di ottone, in attesa di tempi migliori.<br />E’ il destino della Villa Reale di Monza da quando, nel 1900, fu teatro dell’assassinio di Umberto I.</div><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify">(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel mese di novembre 2011)</div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-14748925912681477402011-12-16T00:30:00.000-08:002011-12-16T00:32:14.973-08:001.200.000 FIRME PER IL REFERENDUM. MA SERVIRANNO?<div align="justify">Nel mese di settembre, con una attività frenetica che ha trovato pronta rispondenza in una opinione pubblica sempre più suggestionata dall’antipolitica, sono state raccolte più di 1.200.000 firme sulle due richieste di referendum abrogativo della Legge 21 dicembre 2005 n. 270.<br />Si tratta della vigente legge elettorale, ormai universalmente conosciuta come “porcellum”. I difetti di tale legge sono ben noti. In primo luogo la soppressione dei collegi uninominali e la mancata previsione del voto di preferenza ha tolto all’elettore qualsiasi possibilità di scegliere i suoi rappresentanti ed ha eliminato ogni legame politico del parlamentare con il territorio. Deputati e senatori sono nominati dai vertici dei partiti, in quanto vengono eletti solamente in virtù dell’ordine in cui sono posizionati nelle liste, ordine che è deciso dai partiti. Inoltre, il premio di maggioranza, così come previsto per la Camera dei Deputati, dà una palese sovrarappresentazione alla coalizione vincente; di contro, il premio di maggioranza previsto per il Senato, strutturato su base regionale, non funziona, in quanto i vari premi regionali si neutralizzano a vicenda. Di conseguenza non può con sicurezza essere garantita una chiara maggioranza nell’ambito dell’assemblea.<br />Si tratta di una legge sconclusionata, che non piace a nessuno, tranne che ai capipartito, che vedono esaltato e dilatato a dismisura il loro potere. Non a caso il suo stesso ideatore, il ministro Calderoli, ebbe a definire questa legge una “porcata”.<br />La legge è anche, almeno in parte, responsabile del discredito che, negli ultimi anni, ha colpito la politica e le istituzioni e che ha pochi eguali nei paesi dell’Unione europea.<br />Il numero dei sottoscrittori delle due richieste di referendum credo abbia ben pochi precedenti ed è tanto più significativo se si pensa al periodo brevissimo, ed ancora a ridosso della stagione estiva, in cui le firme sono state raccolte.<br />Ma ciò non garantisce affatto che il referendum si possa svolgere.<br />Il referendum è disciplinato dall’articolo 75 della Costituzione. Esso ha carattere abrogativo ed è escluso “per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.<br />L’articolo 75 prevede la possibilità di sottoporre al corpo elettorale, la richiesta di referendum abrogativo, totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge (un decreto legge o un decreto legislativo). Il referendum è volto, quindi, a privare di efficacia un atto normativo.<br />Potendo il referendum essere anche parziale, nella prassi, si sono talora avuti quesiti referendari che, attraverso l’abrogazione di singole parole o di singole frasi arrivavano a mutare radicalmente il significato di una o più norme. Il referendum, quindi, nato come abrogativo, si è talora trasformato in manipolativo ed ha sostanzialmente proposto all’esame ed alla approvazione degli elettori una norma che disciplinava in modo diverso un determinato istituto.<br />L’articolo 2 della Legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 1 prevede che compete alla Corte costituzionale “giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell’art. 75 della Costituzione siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell’articolo stesso”.<br />In altri termini, non basta che, su un quesito referendario, si raccolgano le firme in numero sufficiente; occorre anche che il quesito sia dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale. Di tale competenza, non prevista dall’articolo 134 della Costituzione ed introdotta nel 1953 con legge costituzionale, la Corte ha fatto un uso tale da modellare l’istituto referendario in modo assai innovativo. Si è ritenuto che ci si trovasse di fronte ad una sorta di integrazione della Costituzione.<br />Con la sentenza 7 febbraio 1978 n. 16, la Corte, infatti, abbandonò l’interpretazione letterale dell’articolo 2 della Legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 1 per aprire, di fronte al moltiplicarsi delle richieste referendarie, ad una interpretazione sistematica dell’ammissibilità, che orienterà tutta la sua giurisprudenza successiva.<br />Secondo la Corte, l’elenco di cause di inammissibilità del referendum, previsto dall’articolo 75, non è rigorosamente tassativo, ma presuppone una serie di cause di inammissibilità inespresse, ricavabili dall’intero ordinamento costituzionale del referendum abrogativo.<br />Particolarmente significative, sotto il profilo dell’ammissibilità delle richieste, sono le sentenze in materia elettorale (complessivamente tredici fra il 1991 e il 2008).<br />La Corte, riconducendo le leggi elettorali nella categoria delle leggi costituzionalmente obbligatorie, ha consentito di assoggettare a referendum abrogativo parziale (si veda, ad esempio, la sentenza 10 febbraio 1997 n. 26) anche le norme sull’elezione degli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, alla condizione che restasse in vigore una normativa complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in qualsiasi momento, dell’organo rappresentativo.<br />In conclusione, anche se la Corte ha ritenuto ammissibili, in materia elettorale, referendum fortemente manipolativi, capaci di modificare, attraverso l’abrogazione di singole parole, il significato complessivo della disposizione, resta il vincolo della necessità della sopravvivenza, dopo che sia stata utilizzata la tecnica del ritaglio, di una normativa di risulta in grado di essere applicata senza interventi integrativi da parte del legislatore.<br />Facendo applicazione di tali principi (per i quali si è parlato di una “dottrina” della Corte Costituzionale in materia di referendum elettorali) le due richieste di referendum dovrebbero essere ritenute inammissibili. Consapevoli di tale rischio, i promotori del referendum, tra i quali si annoverano illustri costituzionalisti, sostengono la tesi della reviviscenza delle precedenti leggi elettorali (quelle che, nel loro insieme, furono definite “mattarellum”, dal nome del suo ideatore, è cioè le Leggi 4 agosto 1993 n. 276 e n. 277).<br />Dottrina e giurisprudenza, tuttavia, non sembrano riconoscere in modo generalizzato il fenomeno della reviviscenza, ritenendo che l’abrogazione di una norma abrogativa non provochi automaticamente il ripristino delle precedenti norme già abrogate, salvo espressa previsione ad opera dello stesso legislatore, sulla base del principio “abrogata lege abrogante, non reviviscit lex abrogata”.<br />Ciononostante, il fenomeno della reviviscenza è stato talora riconosciuto dalla giurisprudenza come naturale conseguenza in caso di dichiarazione di incostituzionalità di una norma abrogativa (Cass., 6 agosto 2009, n. 18054; in senso contrario, Cass., 14 ottobre 1988 n. 5599).<br />Dal canto suo, la Corte costituzionale, nella recentissima sentenza 26 gennaio 2011 n. 24, relativa all’ammissibilità del quesito referendario sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica (il referendum sull’acqua, tanto per intenderci), ha affermato che, dalla abrogazione dell’articolo 23 bis del D.L. 25 giugno 2008 n . 112, sottoposto a referendum, non sarebbe conseguita “alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo”.<br />La legge “mattarellum”, già utilizzata nelle elezioni del 1994, 1996 e 2001 è certamente migliore del “porcellum”: consente agli elettori la possibilità di scelta e, unendo il carattere maggioritario insito nel sistema dei collegi uninominali al recupero proporzionale per una quota ridotta del 25 per cento, sembra sufficientemente adatta al sistema politico italiano.<br />Tuttavia, il cammino per ritornare, attraverso il referendum, a tale sistema elettorale che, pur non perfetto, è certamente più apprezzabile del famigerato “porcellum”, appare decisamente impervio.<br />Un’ultima considerazione. Come nel 1991 e nel 1993 la strada del referendum, per quanto impervia, appare oggi l’unico strumento in mano ai cittadini per imporre nell’agenda politica il cambiamento dell’attuale legge elettorale, che ha spezzato il rapporto tra elettori ed eletti, sostituendo a questi ultimi un Parlamento di nominati.<br />Di fronte ad una riforma in pejus come quella costituita dal “porcellum”, sotto il profilo costituzionale il referendum finisce per apparire come l’unico strumento costituzionale utilizzabile dagli elettori, per rivendicare l’effettività della loro sovranità, ripristinando la democraticità del sistema.Alla Corte costituzionale, l’ultima parola.</div><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify">(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel mese di ottobre 2011)</div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-43600593996293411582011-10-13T08:22:00.000-07:002011-10-13T08:24:11.529-07:00MORTE E RISURREZIONE DELLA PROVINCIA<div align="justify">Nel convulso dibattito estivo determinato da una crisi finanziaria devastante quanto inattesa, è parso, ad un certo momento, che i destini del paese fossero legati all’abolizione delle Province.<br />In effetti, il D.L. 13 agosto 2011 n. 138, emanato dal Governo in un drammatico ferragosto su pressante sollecitazione della Banca centrale europea, prevedeva che fossero soppresse le Province che non rispettassero alcuni precisi limiti dimensionali (di popolazione e di superficie). Nel complesso, avrebbe dovuto essere eliminata una trentina di enti. Alla soppressione di tali Province avrebbe dovuto conseguire la scomparsa degli uffici statali con circoscrizione provinciale (Prefetture e Questure, in primo luogo). Di tutto ciò, tuttavia, non vi è traccia nella legge di conversione del decreto (la Legge 14 settembre 2011, n. 148).<br />La materia, infatti, in sede di conversione del decreto, è stata stralciata ed ha formato oggetto di un apposito disegno di legge costituzionale, già presentato alle Camere.<br />Ad un primo esame, la soluzione adottata dal Governo potrebbe apparire corretta. La Provincia è, infatti, un ente previsto dalla Costituzione. L’articolo 114 afferma che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Non è conseguentemente ipotizzabile che la Provincia possa scomparire come ente senza una modifica costituzionale (che – come è noto – richiede un iter lungo e complesso).<br />Le sorprese, tuttavia, iniziano se si legge il testo del disegno di legge, pudicamente denominato “Soppressione di enti intermedi”.<br />Il senso della riforma può essere sintetizzato nella celebre frase pronunciata da Tancredi nel Gattopardo, “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.<br />Mentre, infatti, l’articolo 1 del disegno di legge espunge dal testo costituzionale le parola “Provincia”, l’articolo 2 introduce la nuova “Provincia regionale”, con una aggiunta all’articolo 117 della Costituzione: “Spetta alla legge regionale, adottata previa intesa con il Consiglio delle autonomie locali di cui all’articolo 123, istituire sull’intero territorio regionale forme associative fra i Comuni per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta nonché definirne gli organi, le funzioni e la legislazione elettorale”.<br />Io non sono mai stato fra coloro che hanno fatto della soppressione delle Province un leit motiv della politica italiana. Neppure penso che la soppressione delle Province costituisca una terapia d’urto per affrontare la situazione economica. Ho sempre considerato piuttosto la soppressione delle Province come uno slogan sbandierato da quegli editorialisti (fra cui un mio omonimo) che continuano a proporre la misura come panacea di tutti i mali della finanza pubblica.<br />Il disegno di legge che sopprime le Province, per farle immediatamente risorgere nella forma di province regionali, mi conferma nel convincimento che, non solo per ragioni storiche, la Provincia, a partire dalla Legge 8 giugno 1990 n. 142, che ha trasformato l’assetto dei poteri locali nel nostro paese, è diventata qualcosa di diverso dal passato, quando era un ente che, pur essendo considerata alla stregua dei Comuni, nell’ambito del sistema degli enti locali, aveva in realtà funzioni piuttosto circoscritte e finiva talora per essere sovrapposto o confuso con organi periferici dello Stato, come la Prefettura, operanti in ambito provinciale.<br />La Provincia, invece, è, e non solo appare, come espressione effettiva di autonomia ed è ente esponenziale di una comunità territoriale.<br />Come ha scritto un illustre studioso Gian Candido De Martin, “Oggi, invece, la Provincia – rafforzata nelle funzioni istituzionali di carattere generale e ricompresa nell’elenco dei soggetti che costituiscono la Repubblica – è sempre più da considerare come l’espressione istituzionale di una comunità legata ad un territorio di area vasta, destinata a rappresentare uno snodo essenziale rispetto sia ai Comuni che alla Regione. Rispetto ai primi, perché può certamente svolgere a vario titolo una preziosa funzione tanto di supporto quanto di coordinamento, soprattutto dei piccoli Comuni. Nei confronti della Regione, d’altra parte, può essere determinante per affrontare finalmente il problema del decentramento dell’ente regionale, immaginato anche nella Costituzione essenzialmente come soggetto di legislazione, programmazione e coordinamento, più che di amministrazione attiva, e che invece nei fatti ha alimentato la progressiva costruzione di un apparato amministrativo spesso elefantiaco, burocraticamente simile al modello statale, cui si aggiunge una miriade di enti o società strumentali regionali, con una forte propensione all’accentramento e alla considerazione degli enti locali più come soggetti dipendenti, che non dotati di un’autonomia effettiva”.<br />Altro problema, invece, è quello della riduzione dei costi e su di esso già mi sono soffermato, in passato, su queste stesse colonne. In sostanza, per ottenere una effettiva, pur se limitata, riduzione di costi, gli organi devono essere ridotti all’essenziale, ma ciò non può valere per le sole Province, ma deve riguardare anche Regioni e Comuni. Ed anche lo Stato deve fare la sua parte: l’organizzazione dell’amministrazione periferica statale sul territorio non dovrebbe necessariamente essere sempre fondata sull’ambito provinciale.<br />Resta il fatto che non si può pensare di “fare cassa” con misure di questo tipo. A parte il tempo che è logicamente necessario perché una complessa riforma istituzionale giunga a compimento, è da rilevare che, se si sopprimono gli enti, non si possono certamente sopprimere né le funzioni né il personale che tali funzioni esplica. La riduzione dei costi (peraltro modesta) si può solo ottenere dalla soppressione o riduzione degli organi. Per raggiungere tale scopo, mi pare fuori luogo una riforma costituzionale, comunque complessa: è sufficiente agire, e lo si può fare rapidamente ed efficacemente, attraverso leggi ordinarie. </div><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify">(articolo pubblicato sul quotidiano cremonese "La Cronaca" nel settembre 2011)</div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-45800382551604911482011-09-05T02:53:00.000-07:002011-09-05T02:56:22.615-07:00LA LIBERALIZZAZIONE DELL’AVVOCATURA, SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE<div align="justify">Nel mezzo del mese di agosto, per far fronte ad una crisi finanziaria devastante, il Governo ha emanato il D.L. 13 agosto 2011 n. 138, avente ad oggetto “ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione e lo sviluppo”.
<br />L’articolo 3 di tale decreto concerne la “abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni a delle attività economiche”.
<br />Nell’imminenza della riunione del Consiglio dei Ministri che avrebbe varato il decreto pareva che il decreto medesimo avrebbe avuto, in ordine alla liberalizzazione delle professioni, effetti dirompenti. Le voci furono raccolte anche da autorevoli organi di stampa, come “Il Sole 24 Ore”, del 13 agosto 2011.
<br />La lettura del testo pubblicato poi sulla Gazzetta Ufficiale ha riservato, invece, più di una delusione. La prima parte dell’articolo 3, infatti, rinvia a future norme (che dovrebbero essere emanate entro un anno) e, nella sostanza, ricorda più il contenuto di una legge delega che quello di un decreto legge.
<br />Che un decreto legge possa avere un siffatto contenuto e, peraltro, vietato dall’articolo 15 della Legge 21 agosto 1988 n. 400 (avente ad oggetto la disciplina dell’attività di Governo), secondo cui i decreti legge devono contenere misure di immediata applicazione e non possono conferire deleghe legislative.
<br />Riguarda più specificatamente le professioni (e, per quanto mi interessa, l’avvocatura) il comma 5 dell’articolo 3. Esso non sembra introdurre sostanziali novità rispetto alla situazione attuale. Le tariffe professionali rimangono come criterio orientativo e restano abolite le tariffe minime, già soppresse dal cosiddetto decreto Bersani (D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni nella Legge 4 agosto 2006 n. 248).
<br />Anche l’abolizione del divieto di pubblicità per le attività professionali, già contenuto nel decreto Bersani, viene confermato. Sembrerebbe invece abolito (in realtà la norma non ne parla) il potere degli Ordini professionali di sindacare, sotto il profilo deontologico della dignità della professione, la congruità delle tariffe applicate al cliente, nonché le modalità con cui la pubblicità viene effettuata.
<br />Forse non ci si poteva attendere di più, ma il decreto è già una netta inversione di tendenza rispetto agli ultimi orientamenti parlamentari.
<br />Infatti la nuova legge professionale forense, già approvata dal Senato ed attualmente all’esame della Camera dei Deputati, prevederebbe il ristabilimento dei minimi tariffari. Mentre qualche settimana fa, la Camera dei Deputati ha approvato una riforma dell’Ordine dei giornalisti (ordine assolutamente inutile, a mio avviso, non me ne voglia il direttore di questo giornale), che prevede due vere chicche. L’obbligo, per i giornalisti di possedere una laurea, almeno triennale (se fosse stato così in passato, grandi firme come Giorgio Bocca, Ugo Stille e Vittorio Feltri – per tacere di altri – avrebbero fatto un altro mestiere) e l’obbligo, per i pubblicisti, di sostenere un esame (provi il lettore soltanto ad immaginare la Commissione incaricata di esaminare aspiranti pubblicisti come Eugenio Montale ed Umberto Eco).
<br />Il problema delle professioni non è semplice. Fra l’altro la Costituzione, all’articolo 33, comma 5, prevede genericamente un esame di stato “per l’abilitazione all’esercizio professionale”. In proposito, la Corte Costituzionale, nella sentenza 23 luglio 1974 n. 240 ha sottolineato l’esigenza che “un accertamento preventivo, fatto con serie garanzie, assicuri, nell’interesse della collettività e dei committenti, che il professionista abbia i requisiti di preparazione e di capacità occorrenti per il retto esercizio professionale”.
<br />Inoltre, se da un lato sono ben visibili i “lacci e lacciuoli” (per riprendere una fortunata espressione di Guido Carli) che costringono in una camicia di Nesso l’esercizio delle professioni (e, per quanto particolarmente mi interessa, della professione forense), dall’altro ognuno comprende come una pura e semplice liberalizzazione degli accessi (già sperimentata, con esiti infausti, per l’Università, nel lontano 1969) non sia, di per sé, garanzia di sviluppo per il paese.
<br />Se si vuole, come io auspico, che l’avvocatura torni ad essere la “prima scelta”, di molti giovani bravi laureati in giurisprudenza, occorre ripensare, in primo luogo, all’Università.
<br />Come scriveva, già nel 2005, Adriano Cavanna, uno storico del diritto prematuramente scomparso, “da molto tempo le lancette della storia hanno segnato l’eclissi degli estremismi politici studenteschi e della massificazione demografica delle Facoltà di Giurisprudenza italiane (già divenute giganteschi esamifici e ora intente a scindersi in una miriade impazzita di microgemmazioni periferiche, spesso addirittura ridicole per la loro superfluità e per lo spirito di competizione campanilistica che le anima). Intanto, mentre si approssima l’integrazione europea dei titoli di studio e dell’esercizio delle professioni legali, prende forma una illusoria “autonomia universitaria” e decolla una deludente riforma caratterizzata dal cosiddetto sistema dei “crediti formativi”: il tutto nel contesto di facoltà-parcheggio dalle strutture e dalle attrezzature sclerotizzate, popolate per un verso da una moltitudine studentesca sempre meno preparata dagli studi secondari e a rischio di esserlo ancor meno nel futuro, per altro verso da corpi di docenti quotidianamente distolti nel lavoro e dall’attività scientifica da inutili commissioni e progressivamente frustrati nel loro intento di formare criticamente, secondo seri canoni di merito, le nuove generazioni di giuristi”.
<br />Cavanna proseguiva affermando: “è ottima cosa l’idea della laurea breve ed è legittimo che tutti coloro i quali vorranno impegnarsi seriamente in una futura carriera che non sia necessariamente quella dell’avvocato, del magistrato o del notaio aspirino a conseguirla. L’altro rischio che si corre è piuttosto quello di costringere chi vuole proseguire negli studi a farlo con una identica preparazione istituzionale di base”.
<br />L’iter delle varie riforme ha avuto un esito diverso ed oggi vi è solo la laurea in giurisprudenza, cosiddetta “magistrale”, al termine di un corso di studi di cinque anni.
<br />Si dovrebbe tornare, invece, al doppio sistema, che ha avuto vita brevissima. La laurea triennale può essere sufficiente per l’impiego pubblico e privato, mentre la laurea magistrale dovrebbe essere riservata a chi aspira alla carriera accademica, alla magistratura, all’avvocatura, al notariato.
<br />Solo dopo sarà possibile pensare ad un accesso alla professione, con un esame di stato collegato alla frequenza obbligatoria di una scuola retribuita. Pochi lo sanno, ma i medici che frequentano le scuole di specializzazione, ai sensi del D.Lgs. 8 agosto 1991 n. 257, godono di borse di studio a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
<br />A mio modestissimo parere, questa, unita ad altre misure (di cui mi riservo di parlare dopo la conversione in legge del decreto), consentirebbe una vera riforma strutturale in grado di portare a livello europeo il mercato dei servizi legali.
<br />Tutto il resto, dalla formazione continua alle specializzazioni, che da anni viene partorito dalla fervida fantasia del sistema degli Ordini, sono chiacchiere, che dimostrano come l’avvocatura organizzata (non i singoli professionisti più avveduti) sia impari rispetto alla sfida che la attende.
<br />Oggi, comunque, la liberalizzazione dell’avvocatura rimane il sogno di una notte di mezza estate.</div>
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<br /><div align="justify">(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nell'agosto 2011)</div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-81533192941239575872011-08-22T10:04:00.000-07:002011-09-05T02:58:10.166-07:00UNA VISIONE CARICATURALE DELLA GIUSTIZIA<div align="justify">A causa della mia professione, mi è accaduto più di una volta di parlare, con varie persone, dei problemi della giustizia.
<br />Si trattava sovente di persone di buona cultura che, nel loro ambito professionale, avevano raggiunto risultati di eccellenza.
<br />Ciononostante ho sentito spesso discorsi che, eufemisticamente, definirei quanto meno irrazionali.
<br />Ho sentito dire che l’apparato giudiziario non funziona, senza che fosse fatta distinzione alcuna tra civile e penale, tra sede giudiziaria e sede giudiziaria. Ho sentito dire che i magistrati non lavorano, atteso che non hanno vincolo di orario e non tengono quasi mai (e non è vero) udienza al pomeriggio, quasi che non fosse necessario, per loro, avere tempo per studiare i processi e scrivere le sentenze. Ho sentito negare pervicacemente l’esistenza di problemi giuridici, sulla base dell’ovviamente erroneo presupposto che i processi sarebbero decisi sulla base di criteri essenzialmente politici.
<br />Una visione caricaturale della giustizia, quindi. Una visione caricaturale, aggiungerei, che è specifica della giustizia: nessuno, infatti, si sognerebbe di attribuire ai medici le nefandezze che attribuisce con nonchalance ai magistrati, anche se è noto a tutti che gli ospedali sono politicizzati certo di più dei palazzi di giustizia e non sempre sono un modello di efficienza. Nessuno avrebbe poi l’ardire di sostenere che le terapie mediche e gli interventi chirurgici vengono eseguiti secondo criteri politici.
<br />All’origine di questa visione caricaturale della giustizia vi è un piccolo gruppo di giornalisti, di cui, per carità di patria, non faccio il nome, ma che tutti conoscono perché costantemente imperversano nei dibattiti televisivi.
<br />Per giustificare la tesi (che non so veramente quanto possa essere in concreto fondata) di un Berlusconi vittima di persecuzioni giudiziarie, iniettando veleni nell’opinione pubblica, costoro hanno accreditato questa idea caricaturale della giustizia, riuscendo a farla accettare ai loro lettori come verità incontrovertibile.
<br />I magistrati in Italia sono complessivamente poco più di 8000: come è naturale, atteso il numero, non si tratta di una categoria del tutto omogenea come preparazione professionale e come approccio al lavoro. Vi sono, quindi, magistrati più o meno preparati, più o meno laboriosi, più o meno efficienti, che più o meno sono attenti agli avvenimenti della politica. Distinzioni che si rinvengono in ogni categoria, dagli avvocati ai commercialisti, dai medici ai dirigenti d’azienda, dai burocrati agli insegnanti.
<br />E’ assolutamente irragionevole, tuttavia, definire i magistrati, come è stato fatto, un cancro. Perché non è vero, non è affatto vero.
<br />Ciò non significa che, nell’ambito della giustizia, tutto funzioni alla perfezione. I problemi ci sono e non sono pochi. Solo in parte sono attribuibili a norme procedurali che consentirebbero comportamenti defatigatori. Anzi, le modifiche a “a pelle di leopardo” del codice di procedura civile realizzate nell’ultimo quindicennio, mandando in frantumi la coerente logica del codice del 1942, hanno creato nuovi problemi più che risolvere i vecchi.
<br />Il problema reale è quello delle strutture. E queste, nei centocinquant’anni trascorsi dall’unità d’Italia, sono palesemente peggiorate. Ho recentemente scoperto su internet (che è una vera miniera di informazioni) il testo digitalizzato di un Annuario statistico della Provincia di Milano e delle Provincie di Lombardia che risale al 1863. Secondo tale Annuario, al circondario di Cremona (Tribunale, Corte d’Assise, Preture) era assegnato un numero complessivo di 43 giudici, a fronte di un totale di 45 avvocati (e di una popolazione che era meno della metà dell’attuale). Io non sono uno storico delle istituzioni e non so dire, quindi, quanto l’ordinamento giudiziario di allora fosse paragonabile a quello attuale.
<br />Mi limito ad osservare che i giudici si sono ridotti di oltre i due terzi, mentre gli avvocati si sono accresciuti di sei volte.
<br />Ogni giorno di più, in conclusione, emerge la necessità di affrontare il problema della giustizia con intelligenza e senza faziosità. Ma dubito che la classe dirigente attuale sia all’altezza di questo non facile compito. Quando ancora mi nutrivo delle illusioni della gioventù, vedevo i ministri come personaggi di altissima caratura politico-amministrativa. Ora, con il disincanto della vecchiaia, vedendo l’azione di certi ministri, mi vien da dire, in dialetto, a fare il ministro in questo modo “sò bòon an me”.</div>
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<br /><div align="justify">(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel luglio 2011)</div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-16799655852941682132011-08-22T10:00:00.000-07:002011-09-05T02:59:00.462-07:00IN DIFESA DELLA PROVINCIA<div align="justify">Ciclicamente riemerge, nel dibattito politico, l’affermazione della necessità di abolire le Province. Si sostiene, da parte di non pochi osservatori, che le Province sarebbero macchine mangiasoldi e che la loro abolizione consentirebbe l’eliminazione di sprechi e notevoli risparmi nell’ambito della spesa pubblica.
<br />Questa tesi, reiteratamente ribadita negli ultimi tempi, è, senz’ombra di dubbio, una mistificazione.
<br />Prima di tutto perché la Provincia è prevista dalla Costituzione, all’articolo 114. E’ un elemento costitutivo della Repubblica, intermedio fra il Comune e la Regione, tendenzialmente alternativo alla città metropolitana (che, prevista sin dal 1990, non ha ancora trovato, ad oggi, concreta attuazione). Si tratta di un ente di governo di area vasta, presente in diversi ordinamenti europei: basti pensare ai dipartimenti francesi, alle contee inglesi, alle province spagnole, ai kreis tedeschi.
<br />Nell’ordinamento italiano, l’istituzione provinciale ha avuto una storia contraddistinta da una perdurante incertezza in ordine al ruolo da riconoscere all’ente per l’autogoverno delle collettività territoriali ed alla valenza che, di contro, la circoscrizione provinciale (mutuando, in questo, il modello francese) aveva assunto quale livello di decentramento dell’amministrazione statale, fondato peraltro su delimitazioni territoriali sovente artificiose.
<br />L’avvento delle Regioni, nel 1970, mise fortemente in discussione il livello di autogoverno provinciale. Si fece, infatti, risaltare, soprattutto per iniziativa di Ugo La Malfa, la valenza, per così dire sostitutiva e alternativa, del nuovo livello di governo regionale, nei confronti di un ente di area vasta, intermedio fra Comuni e Regioni.
<br />I dubbi e le incertezze furono superati dapprima con la Legge 8 giugno 1990 n. 142 (che riformò l’ordinamento delle autonomie locali) e poi con il D. Lgs. 31 marzo 1998 n. 112 (noto come Legge Bassanini), che segnarono un deciso rafforzamento delle competenze provinciali. Oggi il settore di intervento più significativo delle Province è quello della tutela e valorizzazione del territorio e dell’ambiente.
<br />Al ruolo di amministrazione attiva della Provincia, si affianca un complesso di compiti di programmazione e pianificazione che fanno dell’ente uno snodo determinante per le attività programmatorie dei vari livelli di governo.
<br />Attese le competenze proprie delle Province, abolire tali enti non appare sicuramente facile. Si abolirebbero certamente gli organi, ma non si potrebbero ovviamente sopprimere le funzioni, che dovrebbero essere redistribuite fra Comuni e Regioni. I Comuni, per la loro dimensione limitata, non sarebbero certamente in condizione di esercitare le funzioni di un ente di area vasta come la Provincia. Dal lato opposto, nelle Regioni, soprattutto in quelle di maggiori dimensioni, con l’accentramento delle competenze provinciali, si verrebbe a creare una struttura amministrativa assai complessa, probabilmente a danno dell’efficienza.
<br />Se, invece, come penso, si vogliono essenzialmente ridurre i costi, di ordine generale, che il funzionamento delle Province comporta, altre sarebbero, a mio parere, le misure da adottare (con legge o con atti amministrativi).
<br />Gli organi delle Province (Consiglio e Giunta) potrebbero tranquillamente essere dimezzati: non si vede perché a Cremona, tanto per fare un esempio, il Consiglio non potrebbe scendere da trenta a quindici consiglieri. Non si vede perché, poi, la Giunta, da dieci componenti non potrebbe essere ridotta a cinque, il Presidente e quattro assessori, dato che oggi le deleghe assegnate a qualche assessore sono inconsistenti, improbabili ovvero riguardano materie estranee alle competenze dell’ente.
<br />Si dovrebbe poi abolire il Presidente del Consiglio provinciale: le sedute del Consiglio potranno tornare, come un tempo, ad essere presiedute dal Presidente della Giunta.
<br />Negli enti di maggiore dimensione, laddove esistano, si dovrebbero eliminare le strutture che le Province mettono a disposizione dei gruppi consiliari (e cioè dei partiti).
<br />Un Consiglio più snello consentirebbe, poi, di abolire le Commissioni, con l’accentramento nello stesso Consiglio di ogni attività, comprese quelle che oggi normalmente si affidano alle Commissioni.
<br />Se, come previsto dalla legge sin dal 1990, si introducessero finalmente le Città metropolitane, potrebbero essere abolite le Province coincidenti con tale nuovo ente (che sarebbe, cioè, una sorta di Comune-Provincia per le aree metropolitane più ampie).
<br />Potrebbe, infine, essere presa in considerazione la possibilità di sopprimere le Province istituite negli ultimi anni che hanno, tutte, un ambito territoriale assai ridotto, con il ritorno al numero di Province esistenti nel 1970, al momento dell’entrata in funzione dell’ordinamento regionale.
<br />Soprattutto, infine, occorrerebbe accentrare nella Provincia, come ente di area vasta, tutte le funzioni che attualmente sono affidate ad enti di carattere provinciale, subprovinciale o sovracomunale (come, ad esempio, le Comunità montane).
<br />Secondo me, anche le stesse A.S.L. (ma non gli Ospedali), attualmente governate da Direttori generali di nomina regionale (figura ibrida di funzionari politici) potrebbero essere affidate al livello di governo provinciale.
<br />Con misure di questo tipo, le spese generali si ridurrebbero in modo apprezzabile e si otterrebbe, contemporaneamente, il risultato di completare il disegno costituzionale della Provincia intesa come ente autonomo necessario e direttamente rappresentativo della comunità locale. </div>
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<br /><div align="justify">(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel luglio 2011)</div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-2190267399857421972011-07-12T08:37:00.000-07:002011-07-12T08:40:32.227-07:00LA TOPONOMASTICA FRA STORIA E POLITICA<div align="justify"><span >La toponomastica riguarda l’attribuzione di una denominazione a luoghi e monumenti pubblici o di fruizione pubblica.<br />E ciò sia per renderne agevole l’identificazione, sia, soprattutto per i monumenti, per l’omaggio alla memoria di alcune persone giudicate particolarmente meritevoli di essere ricordate.<br />La meritevolezza dei soggetti cui dedicare aree di circolazione (vie, vicoli, calli, viali, piazze e simili), viene, come è facilmente intuibile, valutata diversamente a seconda dei tempi, dei luoghi e del relativo clima politico.<br />La prima volta in cui mi recai in Spagna, poco dopo la morte di Franco, agli albori del processo di transizione verso la democrazia, non vi era città spagnola che non avesse una avenida o una plaza “del Generalisimo”. Oggi credo che, anche a girare tutta la Spagna, da Madrid a Barcellona, da Bilbao a Siviglia, non se ne troverebbe neppure una.<br />E’ intuibile, quindi, come il legislatore abbia circondato di particolari cautele la scelta di dedicare una via o una piazza a personaggi contemporanei.<br />La materia è regolata dal R.D.L. 10 maggio 1923 n. 1158 (convertito nella Legge 17 aprile 1925 n. 473), nonché dalla Legge 23 giugno 1927 n. 1188, che prevede una speciale autorizzazione prefettizia ove la scelta ricada sul nominativo di un personaggio contemporaneo.<br />Inoltre, qualora si intenda mutare, in un Comune, il nome di una strada o di una piazza, si dovrà chiedere ed ottenere preventivamente l’approvazione del Ministero della Pubblica Istruzione (ora dei Beni culturali).<br />Come ha ritenuto il Consiglio di Stato, la norma è motivata dall’esigenza di non mutare, se non in casi eccezionali la denominazione di antiche strade o piazze che rappresenta storicamente la volontà delle amministrazioni nelle diverse epoche e comporta il ricordo dell’antico evento o personaggio, caratterizzante lo stesso luogo (Cons. Stato, Sez. VI, 12 dicembre 2002, n. 6790).<br />* * *<br />Essendo questa la normativa, accade, nella pratica, che nuove denominazioni vengano attribuite soprattutto a strade e piazze nuove che a Cremona, città il cui sviluppo urbanistico è fermo da anni, certamente non abbondano.<br />In questo quadro, si collocano le polemiche, ancora non sopite, sull’intitolazione di una strada ad Aldo Protti che fu certamente un grande cantante lirico, ma è ricordato anche per essere stato un combattente, non pentito, della Repubblica Sociale Italiana.<br />Eppure anche Protti fa parte della storia della nostra città. L’intitolazione a lui di una strada non può quindi essere ritenuta completamente fuori luogo ma, per essere accettata dalla coscienza collettiva, deve inserirsi in una prassi per cui tutti i cremonesi illustri devono avere un riconoscimento toponomastico.<br />Ciò, invece, è accaduto di rado atteso che spesso alle nuove strade sono stati attribuiti, negli ultimi decenni, nomi di fantasia. Così sono sorti i quartieri dei castelli, dei fiori, degli alberi.<br />* * *<br />Non pochi cremonesi, invece, meriterebbero di essere ricordati con la intitolazione di una via o di una piazza. Due, Gino Gorla e Paride Formentini, ho già avuto modo di ricordarli tempo fa su queste stesse colonne.<br />* * *<br />Desidero, perciò, lasciare una sorta di pro-memoria agli amministratori, attuali e futuri, del Comune, ricordando alcuni personaggi significativi della nostra storia recente, cui si potrebbero intitolare strade o piazze.<br />Come già ho detto, mi pare, infatti, preferibile, laddove non esistano antichi toponimi, dedicare vie o piazze a personaggi illustri, piuttosto che denominarle con nomi di fantasia, privi di qualsiasi riferimento con la realtà (in via degli Ontani, non credo vi sia neppure un ontano).<br />Il primo personaggio che vorrei suggerire è Felice Guarneri. Nacque a Pozzaglio nel 1882 da una famiglia di agricoltori, e si laureò in economia a Venezia, nel 1906.<br />Dopo alcune esperienze nell’ambito delle Camere di Commercio e dopo aver combattuto nella grande guerra come sottotenente di fanteria, fu chiamato a dirigere i servizi economici della Confindustria.<br />Nel 1937 fu nominato Ministro per gli scambi e le valute (un Ministero di nuova istituzione trasformatosi, nel dopoguerra, nel Ministero del Commercio con l’estero). Fu rimosso nel 1939, come capro espiatorio dell’impreparazione bellica del paese.<br />Dal 1940 al 1944 presiedette il Banco di Roma.<br />Prosciolto dalla Commissione di epurazione, nel dopoguerra ricoprì vari incarichi in grandi gruppi industriali, sino alla morte, avvenuta a Roma nel 1955.<br />Liberista in economia e liberale a riformatore in politica è il prototipo del tecnocrate che, senza mai identificarsi con il fascismo, collaborò attivamente con il regime, convinto di fare l’interesse del paese.<br />A Felice Guarneri può essere accomunato Giuseppe Bianchini, nato a Cremona nel 1876 e morto a Milano nel 1970, direttore e poi presidente dell’Assobancaria, senatore del Regno e sottosegretario alle Finanze nel 1935. Ricordo di averlo incontrato negli anni Sessanta, a Pavia, presso l’Almo Collegio Borromeo (di cui, all’epoca, ero studente). Ultraottantenne era il decano della Associazione alunni del Collegio.<br />* * *<br />Personaggio del tutto diverso è Carlo Falconi, nato a Cremona nel 1915 e scomparso nel 1988. Fu ordinato sacerdote, ma, nel 1949, per una crisi di fede, si distaccò dalla Chiesa. Iniziò una intensa attività di pubblicista e di storico, collaborando a “Il Mondo”, “Il Giorno” e “L’Espresso”, con articoli, specie nei primi anni, caratterizzati da una certa vena anticlericale.<br />Divenne, negli anni sessanta, lo storico più noto del cattolicesimo contemporaneo. Fra i suoi numerosi volumi (circa una ventina) si possono ricordare i due monumentali (ed ormai introvabili) “La Chiesa e le organizzazioni cattoliche in Italia” e “La Chiesa e le organizzazioni cattoliche in Europa”, oltre ad una documentatissima biografia del cardinale Antonelli, segretario di Stato di Pio IX.<br /><br />Pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel mese di luglio 2011</span></div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-87523036001580573152011-04-13T03:16:00.000-07:002011-04-13T03:19:11.045-07:00ALFANO E IL RASOIO DI OCCAM<div align="justify">Guglielmo di Occam è un filosofo inglese del XIV secolo, alla cui figura Umberto Eco si ispirò nel delineare il personaggio di Guglielmo da Baskerville, il protagonista del suo romanzo “Il nome della rosa”.<br />Guglielmo di Occam è conosciuto per il principio metodologico noto come “rasoio di Occam”. Tale principio, che è alla base del pensiero scientifico moderno, nella sua forma più immediata suggerisce l’inutilità di formulare più assunti di quelli che si siano trovati per spiegare un dato fenomeno: il rasoio di Occam impone, cioè, di evitare ipotesi aggiuntive, quando quelle iniziali sono sufficienti.<br />La metafora del rasoio suggerisce l’idea che sia opportuno eliminare con tagli di lama e mediante approssimazioni successive le ipotesi più complicate. Il principio si suole sintetizzare nella formula latina “entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem”, vale a dire che gli elementi non devono essere moltiplicati più del necessario.<br />Il principio del rasoio di Occam mi è tornato alla mente nelle scorse settimane, di fronte alla proposta di riforma costituzionale, definita “epocale”, della giustizia, presentata dal Ministro Alfano, che, quanto al Consiglio Superiore della Magistratura, prevede la suddivisione dello stesso in tre distinti organismi, il Consiglio Superiore della magistratura giudicante, il Consiglio Superiore della magistratura requirente, la Corte di disciplina della magistratura giudicante e requirente.<br />Alla base di questa tripartizione di organismi vi è, evidentemente, il principio fissato dell’articolo 5 della proposta di riforma (che andrebbe a sostituire l’articolo 104 della Costituzione vigente), secondo il quale “la legge assicura la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri”. Oggi invece, ed ormai da qualche anno, esiste (prevista dalla legge sull’ordinamento giudiziario) una rigida separazione tra le funzioni di giudice e di pubblico ministero, tanto è vero che, ormai da qualche anno, il passaggio fra le due carriere è divenuto assolutamente eccezionale, come ben sa chiunque si occupi di vicende giudiziarie.<br />Le ragioni per cui, nell’ambito della giustizia penale, è opportuno che le funzioni di giudice e di pubblico ministero siano nettamente distinte, sono intuitive. Tuttavia chi, portando alle estreme conseguenze l’opportunità di una distinzione di funzioni, vorrebbe separare le carriere, con una disposizione contenuta nella stessa Costituzione, mi pare sottovaluti, proprio nell’ottica garantista in cui si muove, il rischio di avere, nei magistrati del pubblico ministero, una sorta di superpoliziotti, con mezzi pressoché illimitati a disposizione e totalmente privi, per non averla mai avuta, di quella “cultura della giurisdizione” che oggi accomuna giudici e pubblici ministeri.<br />Al di là della distinzione delle funzioni o della separazione delle carriere, la caratteristica essenziale che i magistrati debbono avere è data dall’autonomia e dall’indipendenza, che devono essere proprie sia dei giudici che dei pubblici ministeri. Non a caso il primo comma dell’articolo 104 della Costituzione del 1948 afferma espressamente che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.<br />Si afferma in dottrina che l’indipendenza non riguarda esclusivamente i singoli giudici e pubblici ministri, ma è una qualità che caratterizza la magistratura nel suo complesso. A garanzia dell’autonomia e indipendenza, la Costituzione ha previsto un organo, il Consiglio Superiore della Magistratura, cui la Costituzione stessa (articolo 104, secondo comma) affida, in quanto potenzialmente pericolose per l’indipendenza, tutte le funzioni attinenti allo stato giuridico dei magistrati (giudici e pubblici ministeri), un tempo di competenza del Ministro della Giustizia.<br />Se autonomia ed indipendenza sono i valori che debbono essere garantiti per tutti i magistrati, non si capisce la ragione per cui le funzioni attualmente svolte dal Consiglio Superiore debbano essere attribuite a tre organi diversi. Anche se le carriere dovranno essere separate (ed io ho qualche perplessità in proposito), il Consiglio Superiore potrebbe restare unico, sebbene suddiviso in due distinte sezioni, una per i giudici ed una per i pubblici ministeri, con elezioni separate per ciascuna delle due sezioni. Ad una terza sezione, composta da persone diverse rispetto alle prime due, potrebbero poi essere attribuite le funzioni disciplinari che, invece, il progetto di riforma intenderebbe conferire ad una Corte disciplinare nuova di zecca. La stranezza della soluzione progettata, poi, è che, di fronte a due distinti Consigli Superiori, vi sarebbe un’unica Corte di disciplina, comune a giudici e pubblici ministeri.<br />Resta da dire della composizione degli organismi previsti dalla riforma: la proporzione fra i componenti togati ed i componenti laici del C.S.M., attualmente fissata in due terzi per i togati ed un terzo per i laici, diverrebbe paritaria (cinquanta per cento per ciascuna componente).<br />Anche questo mutamento, che sembrerebbe secondario, mi induce talune perplessità. Il sistema attuale, infatti, intende evitare che attraverso l’esercizio di poteri che incidono sullo status dei magistrati si possa ledere la loro indipendenza; nello stesso tempo, si vuole impedire che l’ordine giudiziario perda qualsiasi legame con gli altri poteri dello Stato.<br />Riassuntivamente, non mi pare che una riforma delle norme costituzionali in materia di Consiglio Superiore della Magistratura sia particolarmente necessaria ed urgente. Piuttosto sarebbe opportuno introdurre modificazioni alla Legge 24 marzo 1958 n. 195, che contiene le norme sull’elezione ed il funzionamento del Consiglio Superiore.<br />Ritorna, quindi, il principio del rasoio di Occam, secondo cui, fra l’altro, “frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora”, è inutile, cioè, fare con più ciò che si può fare con meno.<br /><br />(pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel mese di aprile 2011)</div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1089953274155561522.post-65405462796721879932011-04-06T02:23:00.000-07:002011-04-06T02:26:20.103-07:00L’AVVOCATURA ALLA RICERCA DI SE’ STESSA<div align="justify">Qualche settimana fa, su queste stesse colonne, Gianfranco Taglietti, con l’abilità che tutti gli riconoscono, ha tratteggiato, nel cinquantesimo anniversario della morte, la figura dell’avvocato Mario Stradivari, caratteristico personaggio della vecchia Cremona. Nonostante abbia alle spalle quasi quarantadue anni di avvocatura, io non ho avuto modo di conoscere l’avvocato Stradivari. Ne ho, tuttavia, molto sentito parlare, poiché, quando iniziavo la professione, la sua figura era ancora ricordata nelle aule di Palazzo Persichelli e la sua voce tonante ancora, per così dire, riecheggiava nei corridoi. L’avvocato Stradivari fu uno degli ultimi epigoni di un’avvocatura ormai consegnata alla storia. Sino alla metà del secolo XX, l’avvocato era, più che un tecnico del diritto, un umanista. Le ore che trascorreva in ufficio erano, rispetto alle abitudini di oggi, relativamente poche e l’avvocato, oltre che i codici e le pandette, amava leggere i classici, dilettarsi di musica e di teatro. Per l’avvocato, era altresì un vanto occuparsi della cosa pubblica; prima della grande guerra nelle amministrazioni locali era cospicua la presenza di avvocati. Il XX secolo ha visto, tuttavia, in molteplici campi dell’attività umana, l’affermarsi progressivo della tecnica e della specializzazione (La politica e la tecnica come professione di Max Weber risale al 1919). L’avvocato, di fronte ad una società sempre più complessa, ha dovuto di necessità affinare la propria preparazione giuridica, dovendo diventare, anche per poter continuare ad esercitare la sua funzione di mediatore sociale, sempre più tecnico del diritto. Gli autori ai quali oggi un avvocato di buona cultura deve fare riferimento non sono più Virgilio, Catullo ed Orazio, come ai tempi dell’avvocato Stradivari e delle generazioni che l’hanno preceduto, ma Galgano, Zagrebelsky, Santoro Passarelli o Rosario Nicolò. Una vera mutazione genetica, dunque. Nel frattempo, ci si è avveduti che la preparazione fornita dall’Università, anche se più approfondita di un tempo (il corso di laurea in giurisprudenza è passato da quattro a cinque anni), non è certo sufficiente per l’intero arco della vita professionale di un avvocato. Altre professioni hanno affrontato di petto la questione. I medici, ad esempio, hanno ormai più che valide scuole di specializzazione, a carattere teorico-pratico, e gli specializzandi che le frequentano sono (giustamente) retribuiti. E’ ben vero che la salute, di cui i medici devono occuparsi, è un valore essenziale, ma è altrettanto vero che la libertà personale non è un valore meno importante. Nel sostanziale disinteresse del legislatore (che si è limitato ad istituire le Scuole di specializzazione per le professioni legali, che, tuttavia, preparano all’accesso alla professione e non si curano dell’aggiornamento permanente dei professionisti), la categoria degli avvocati ha dovuto occuparsi da sola del proprio aggiornamento. Avrebbe potuto (e sarebbe stata la soluzione più semplice) affidarsi al mercato: l’avvocato ha la necessità di tenersi aggiornato e deve provvedere da sé a migliorare la propria cultura giuridica, leggendo libri e riviste e frequentando seminari, convegni e corsi post-universitari. Se non lo fa, sarà meno competitivo nel suo lavoro e lavorerà meno bene e con più difficoltà. Invece il Consiglio Nazionale Forense, l’organismo posto al vertice del sistema degli Ordini professionali (sulla cui rappresentatività sarebbero da avanzare non poche riserve) ha elaborato, considerando l’aggiornamento un obbligo deontologico su cui gli Ordini hanno il compito di vigilare, un complesso sistema di crediti formativi, che devono essere acquisiti dall’avvocato nel corso di un triennio. Non ho certo la pretesa di spiegare il funzionamento del sistema messo in piedi dagli Ordini che, almeno sino ad oggi, si è rivelato essenzialmente un modo per garantire un pubblico anche ad iniziative di infimo valore e di ben scarsa valenza culturale. In buona sostanza: tutti si sono messi ad organizzare seminari e corsi di lezioni, sovente a pagamento, che gli avvocati si vedono costretti a frequentare, pur di riuscire ad accumulare i crediti che hanno l’obbligo di conseguire nel triennio. Risultato: ore ed ore vengono sottratte al lavoro, mentre gli abissi di ignoranza, se esistono (e talora esistono), permangono inalterati. Gli Ordini, poi, trattano gli avvocati come asini, alternando il bastone alla carota. Basteranno due esempi, tratti da quella miniera di informazioni che ormai è internet. L’Ordine di Bergamo ha organizzato una proiezione del celebre film Kramer vs Kramer, cui è seguito un dibattito. Un cineforum di periferia, quindi, cui però vengono attribuiti tre crediti formativi. L’Ordine di Reggio Emilia, invece, ha organizzato, in occasione della manifestazione degli avvocati a Roma contro la recente legge sulla mediazione obbligatoria nelle cause civili, una trasferta a Roma in pullman, con l’attribuzione ai partecipanti di ben otto crediti formativi. Lascio ai lettori di immaginare quali saranno stati i vantaggi, sotto il profilo della preparazione giuridica, della partecipazione ad un cineforum e ad un viaggio (o dovremmo definirlo una gita?) a Roma. Ma la trepidante solerzia con cui il Consiglio Nazionale Forense si occupa della formazione culturale degli avvocati non finisce qui. Il prossimo 1 luglio entrerà in vigore il Regolamento (emanato non si sa in base a quale norma di legge), in forza del quale il Consiglio Nazionale Forense potrà attribuire, agli avvocati che supereranno una sorta di percorso di guerra, congegnato sulla frequenza di corsi a pagamento, il titolo di specialista in un determinato ramo del diritto. Non starò a soffermarmi sui complessi dettagli di tale regolamentazione. Mi limito ad osservare che non si comprende quale particolare competenza abbia il Consiglio Nazionale Forense per rilasciare, al posto dell’Università, dei titoli di specializzazione. Ovviamente, gli avvocati che conseguiranno il titolo non saranno particolarmente più specializzati di coloro che ne saranno privi. Ma intanto si onerano gli avvocati che intendono svolgere con serietà il loro lavoro, ed essere apprezzati come tali, delle spese per la frequenza dei corsi e del tempo necessario per seguire i corsi stessi e preparare relazioni ed esami. Queste novità si inseriscono in un momento non facile per la professione forense: la crisi economica ha inciso pesantemente, come è stato riferito da diversi quotidiani, sul lavoro degli studi legali, già condizionato negativamente da recenti leggi che hanno ridotto il lavoro e ancor più lo ridurranno in futuro (il D.Lgs. 7 settembre 2005 n. 209 denominato Codice delle assicurazioni e il D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28 sulla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, di cui, in una prossima occasione, converrà parlare particolareggiatamente). A fronte di ciò, la nomenklatura che oggi governa l’avvocatura dà la sensazione di essere solo una casta autoreferenziale che mira a perpetuare sé stessa. Certo qualcosa di molto meno efficace della Associazione Nazionale Magistrati, che ha sempre e concretamente esaltato il ruolo, anche sociale, dei propri aderenti. (pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel mese di aprile 2011) </div>Avv. Antonino Rizzohttp://www.blogger.com/profile/13804303792466457328noreply@blogger.com0