mercoledì 15 settembre 2010

IL CALCIOMERCATO NON E’ IL MERCATO DEGLI SCHIAVI

Il 31 agosto, a campionato di calcio ormai iniziato, si è chiuso quello che viene definito il calciomercato, che riaprirà tra qualche settimana per la fase invernale.
Un tempo (ed i più anziani lo ricorderanno) il mercato dei calciatori si teneva a Milano, presso l’Hotel Gallia, nei pressi della stazione centrale, dove, fra giugno e luglio, si dava appuntamento una corte dei miracoli di presidenti, procuratori, factotum e faccendieri che, in saloni e stanze d’albergo piene di fumo (allora il divieto di fumare era di là da venire) combinavano affari per somme che oggi appaiono ridicolmente basse (come quando il comandante Lauro, presidente del Napoli, acquistò lo svedese Jeppson per poco più di cento milioni di lire, un record per l’epoca).
Oggi, con il calcio divenuto una grande industria, tutto è cambiato.
Cambiato al punto che anche il legislatore si è interessato di disciplinare, quanto meno sotto il profilo fiscale, il fenomeno del calciomercato.
La Legge 4 agosto 2006, n. 248, di conversione del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, ha introdotto, nell’articolo 35 del medesimo testo di legge, il nuovo comma 35-bis.
Con tale norma il legislatore, al fine di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale, ha introdotto l’obbligo per le società di calcio professionistiche di inviare, per via telematica, all’Agenzia delle entrate, copia dei contratti di acquisizione delle prestazioni professionali degli atleti professionisti, nonché dei contratti riguardanti i compensi per tali prestazioni.
Tale disposizione è rafforzata da quanto previsto nel paragrafo successivo, il quale stabilisce che “il Ministro dell’economia e delle finanze è delegato ad acquisire analoghe informazioni dalle Federazioni calcistiche estere per le operazioni effettuate da società sportive professionistiche residenti in Italia anche indirettamente con analoghe società estere”.
Quello che, nel linguaggio da bar sport, tipico di quanti vivono a pane e “gazzetta”, viene considerato come l’acquisto di un calciatore, è definito dalla legge come un contratto di acquisizione delle prestazioni professionali degli atleti professionisti.
L’articolo 35 individua due distinte tipologie contrattuali, oggetto dell’onere di comunicazione.
Da una parte il contratto di acquisizione delle prestazioni professionali del calciatore (che, come si vedrà nel prosieguo, potrebbe anche non sussistere), dall’altra il contratto di lavoro subordinato stipulato fra società di calcio e atleta.
Il primo dei due contratti, che è quello che più interessa, trova il suo fondamento nella Legge 23 marzo 1981, n. 91, che regola i rapporti tra società e sportivi professionisti.
Con tale legge, fu disposta l’abolizione di quello che veniva definito come “vincolo sportivo”.
In precedenza, il rapporto fra il calciatore e la società sportiva comprendeva un divieto di concorrenza che impediva all’atleta, alla scadenza del contratto, di stipulare autonomamente un nuovo accordo con una diversa società e gli negava la facoltà di recedere dal contratto medesimo. Il primo tesseramento di un calciatore, effettuato da una squadra presso la Federazione, rendeva infatti la squadra stessa proprietaria “a vita” dei diritti sulle prestazioni sportive del calciatore medesimo. L’eventuale cessione dello stesso era, dunque, solo un affare interno tra società cedente e società acquirente.
Abolito questo vincolo, la legge stabilì che il contratto di lavoro subordinato sportivo può contenere l’apposizione di un termine risolutivo, non superiore a cinque anni dalla data di inizio del rapporto, scaduti i quali, dunque, lo sportivo era libero di stipulare un nuovo contratto con una diversa squadra che avrebbe provveduto al tesseramento presso la Federazione.
Il comma 2 dell’articolo 5, poi, consente, prima della scadenza, la cessione del contratto da un club all’altro, ma solo in presenza di due condizioni e cioè che vi sia il consenso dell’atleta e che siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali.
Alla luce di ciò, si comprende come il contratto di acquisizione delle prestazioni professionali di un atleta professionista potrebbe anche non esistere.
Se infatti il giocatore passa ad un’altra società solo dopo che sia scaduto il termine contrattuale che lo legava a quella precedente, nessun accordo dovrà essere stipulato tra la nuova e la vecchia società. In tal caso, infatti, il giocatore, libero da ogni vincolo contrattuale, sarà l’unico soggetto con il quale la nuova squadra dovrà stipulare un accordo (a tale proposito, si parla, in gergo, di giocatore proprietario del proprio “cartellino”).
Se, al contrario, il trasferimento avviene in costanza di rapporto tra il giocatore e la vecchia società, il club “acquirente” dovrà stipulare un contratto di cessione con il club “cedente”.
L’oggetto di tale cessione è dunque, non come comunemente viene affermato, il calciatore, ma il contratto di lavoro che lo stesso aveva stipulato con la precedente società.
Come ha scritto Francesco Galgano, un illustre giurista autore di un brillante saggio sul tema della compravendita dei calciatori, “la cessione del contratto è, a sua volta, l’oggetto di un contratto, come lo è la cessione di un credito: un contratto si può vendere, permutare, donare, eccetera, come si può vendere, si può permutare, si può donare un credito. Si tratta di un contratto traslativo che, se concluso a titolo oneroso, contro il pagamento di un prezzo, si configura come vendita. Bene si può vendere, dunque, il contratto di lavoro sportivo: non si vende, beninteso, l’atleta; si vende, per una somma che ne costituisce il prezzo di contratto che ha per oggetto le sue prestazioni”.
Anche l’acquisto e la cessione dei calciatori (e, in genere, degli atleti professionisti) è quindi un fenomeno inquadrabile in categorie giuridiche, come quasi ogni aspetto della vita quotidiana.
Se così non fosse, significherebbe, peraltro, che gli atleti professionisti sono assimilabili agli schiavi.

(articolo pubblicato su "La Cronaca" nel novembre 2007)

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