venerdì 24 settembre 2010

REGIONALISMO, FEDERALISMO, FEDERALISMO FISCALE

Tramontata ingloriosamente la “devolution”, la nuova parola d’ordine, riguardo all’assetto istituzionale della Repubblica, è divenuto il “federalismo fiscale”.
Come ha osservato il costituzionalista Enrico Cuccodoro nel suo recente volume “Il diritto pubblico della transizione costituzionale italiana”, la Costituzione ha disegnato uno stato unitario e pluralista insieme, aperto alla promozione ed al riconoscimento delle autonomie e del più ampio decentramento. Negli anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione prevalse, invece, in linea di fatto, un sistema di organizzazione amministrativa di stampo statalista, derivato dal modello napoleonico, poi fatto proprio dallo Stato unitario.
L’introduzione, nel 1970, dell’ordinamento regionale non seppe sfruttare gli ampi spazi di autonomia riconosciuti dalla Costituzione.
La Legge 8 giugno 1990 n. 142 (che sostituì i vecchi testi unici della legge comunale e provinciale, risalenti al 1915 ed al 1934) segnò l’inizio di un rinnovato interesse del legislatore per le autonomie locali, alle quali, grazie anche all’impulso proveniente da una forza politica nettamente caratterizzata in senso autonomista, di cui si voleva frenare la deriva secessionista, fu dato sempre maggiore spazio.
Si iniziò, quindi, a parlare di riforma federale dello Stato, che si concretò nella Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, che modificò il Titolo V della Costituzione, relativo a Regioni, Province, Comuni.
Anche con l’approvazione della riforma del Titolo V, tuttavia, si rimase ben lontani dall’aver trasformato l’Italia in uno Stato federale, come la Germania o la Svizzera.
Innanzitutto per una ragione formale (ma mai come nella materia costituzionale la forma è sostanza).
Resta, infatti, in vigore (e nessuno ha mai proposto di modificarlo), l’articolo 5 della Costituzione che disegna quello Stato, unitario e pluralista insieme, di cui si parlava dianzi: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
Invece, in uno Stato federale, si ha (come ha ben illustrato il costituzionalista Michele Ainis nel suo “Dizionario costituzionale”) uno Stato composto, che si articola al suo interno in una pluralità di altri Stati, dotati di un proprio ordinamento diverso e relativamente indipendente da quello dello Stato centrale.
Storicamente, uno Stato federale nasce in due modi diversi: più Stati indipendenti si associano tra loro dando vita a una nuova formazione, ovvero Stati unitari decentrati modificano il loro assetto in senso federale. Il primo caso è quello degli Stati Uniti e della Svizzera; il secondo quello del Belgio.
La teoria del federalismo fu delineata, per la prima volta, in un’opera del 1788, “Il Federalista”, di Alexander Hamilton, James Madison e John Jay, nella quale veniva sviluppata, da un lato, una critica della democrazia diretta a favore del sistema rappresentativo e, dall’altro, veniva proposta una difesa della Costituzione federale degli Stati Uniti, per propugnarne la ratifica da parte della Convenzione dello Stato di New York.
Negli ultimi anni è, infine, invalso l’uso del termine “federalismo fiscale”, quasi una forma ridotta di federalismo, limitata all’aspetto fiscale.
Il federalismo fiscale parrebbe consistere nell’attribuire a ciascuna Regione una potestà impositiva propria, volta ad assicurarle i mezzi per realizzare autonomamente gli obiettivi derivanti dall’esercizio delle sue funzioni.
Federalismo fiscale non potrebbe, comunque, voler dire che il gettito fiscale di ogni Regione verrebbe utilizzato esclusivamente nel singolo territorio, in quanto ciò creerebbe un notevole squilibrio tra Regioni ricche e Regioni povere, pregiudicando i diritti dei cittadini residenti in queste ultime e ledendo quindi il fondamentale principio di eguaglianza, consacrato nell’articolo 3 della Costituzione.
Inoltre, se all’attribuzione alle Regioni di nuove risorse non dovesse corrispondere l’attribuzione di nuove funzioni (secondo un principio di federalismo vero e proprio e non di un federalismo meramente fiscale), si creerebbero i presupposti di una crisi della finanza pubblica, in quanto, ad una diminuzione delle risorse statali, non corrisponderebbe una correlativa diminuzione dei compiti dello Stato.
In realtà, il problema è già stato risolto dalla stessa Costituzione (nel testo modificato dalla Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3), che solo richiede di trovare attuazione concreta.
L’articolo 119, dopo che gli articoli 117 e 118 hanno fissato le competenze regionali, così dispone in materia di finanza degli enti locali: “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato.
Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti”.
In conclusione, più che pensare ad astratte forme di federalismo, pur se limitate all’ambito fiscale, sarebbe opportuno dare compiuta attuazione, anche sotto il profilo della finanza locale, al disegno costituzionale che ha voluto coniugare unità ed autonomia, solidarietà ed efficienza.


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel maggio 2008)

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