martedì 14 settembre 2010

I BROGLI DI LEOLUCA

Leoluca Orlando, candidato a Sindaco di Palermo, poco dopo che i mezzi di informazione avevano comunicato che il suo avversario Diego Cammarata era stato eletto, ha iniziato a parlare di gravi irregolarità nelle elezioni, di brogli e quindi della necessità di ricontare le schede.
Non può non venire alla memoria quanto, da poco più di un anno, ha iniziato a ripetere, quasi ossessivamente, Silvio Berlusconi dopo le elezioni politiche.
Si potrebbe dire che è facile, per chi è sconfitto, attribuire ai brogli la responsabilità del mancato successo (mentre, negli anni cinquanta, Saragat se la prendeva con “il destino cinico e baro”).
Ma è, altresì, da dire che la verifica delle irregolarità, in caso di elezioni amministrative, è disciplinata in modo assai diverso rispetto alle elezioni politiche. Infatti, secondo l’articolo 66 della Costituzione, “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti”.
Di contro, in materia di operazioni elettorali amministrative, vi è la giurisdizione del giudice amministrativo (Tribunali amministrativi regionali e Consiglio di Stato), ai sensi dell’art. 6 della Legge 6 dicembre 1971 n. 1034, mentre spetta al giudice ordinario decidere sulle controversie relative ad ineleggibilità, incompatibilità e decadenza dei consiglieri comunali, provinciali e regionali.
Il contenzioso in materia elettorale è numericamente significativo, soprattutto nelle regioni meridionali.
Si è detto che, così come con l’estate arrivano le impugnazioni degli esiti scolastici, ad intervallo di tempo maggiore, in coincidenza con le elezioni amministrative, si riaccende il contenzioso elettorale.
Le operazioni elettorali vengono individuate dalla giurisprudenza in tutti quegli adempimenti che vengono posti in essere dopo la convocazione dei comizi elettorali, e che non si esauriscono nelle attività strettamente inerenti alle votazioni, ma si estendono al complesso procedimento elettorale, dall’indizione delle elezioni alla proclamazione degli eletti.
Il giudice amministrativo, quando accoglie il ricorso in materia di operazioni elettorali, corregge i risultati delle elezioni e sostituisce ai candidati illegalmente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo.
Secondo una giurisprudenza assolutamente costante, in materia di operazioni elettorali, vige il principio che è stato definito di strumentalità delle forme, secondo il quale hanno rilevanza, fra tutte le possibili irregolarità solo quelle sostanziali, tali cioè da influire sulla sincerità e sulla libertà del voto: conseguentemente non comportano l’annullamento delle operazioni elettorali i vizi da cui non deriva alcun pregiudizio alla libera espressione del voto.
Il giudice, inoltre, è tenuto ad effettuare quella che è definita la prova di resistenza, nel senso che, ove dall’istruttoria emerge che una pur erronea attribuzione di voti non altera i risultati elettorali complessivi, egli non può pronunciare l’annullamento delle operazioni elettorali rispetto alle quali vi è stato il ricorso.
In giurisprudenza, si è altresì affermato il principio secondo cui, con il ricorso giurisdizionale in tema di operazioni elettorali, il giudice amministrativo può essere chiamato soltanto alla verifica di specifici vizi di legittimità. Gli è invece precluso il controllo generalizzato delle operazioni: in altre parole, il sempre invocato (da Berlusconi, come da Leoluca Orlando) riconteggio complessivo delle schede non è possibile in assenza di specifiche irregolarità e può essere effettuato solo con riferimento alle sezioni elettorali in cui si sono verificate le irregolarità la cui esistenza sia stata dedotta in giudizio.
I motivi del ricorso in materia di operazioni elettorali, quindi, non possono essere formulati in modo approssimativo, astratto e generico.
Ciò rende la proposizione del ricorso non sempre facile: chi ricorre, infatti, non ha accesso diretto al materiale elettorale, ma può soltanto attenersi al “racconto” di chi ha assistito alle operazioni di spoglio.
Se questo è l’orientamento della giurisprudenza, ben difficilmente il ricorso al giudice amministrativo potrà portare all’annullamento delle elezioni comunali di Palermo ed al ribaltamento dei risultati, con la conseguente proclamazione a Sindaco di Leoluca Orlando. Al massimo, potranno essere corretti i risultati, ma ciò sarebbe, evidentemente, ben poca cosa.
E’ stato anche detto che, in occasione delle elezioni comunali di Palermo, si sarebbero verificati, in danno di Leoluca Orlando, alcuni fatti penalmente rilevanti.
E’ certamente possibile, non ho elementi per negarlo.
Ma deve essere chiaro che non è nei poteri del giudice penale (né, tantomeno, della Procura della Repubblica, alla quale Orlando ha presentato un esposto) incidere sui risultati elettorali.
Potrà, eventualmente, essere applicato l’art. 143 del T.U. sull’ordinamento delle autonomie locali.
Tale norma prevede lo scioglimento, da parte del Governo, di un Consiglio comunale in conseguenza di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.
Peraltro, secondo la giurisprudenza, lo scioglimento previsto dall’art. 143 costituisce una misura di carattere straordinario che non ha finalità repressive nei confronti di singoli, ma concerne piuttosto la salvaguardia della Pubblica Amministrazione di fronte alla pressione ed all’influenza della criminalità organizzata.
Lo scioglimento è temporaneo e può durare al massimo ventiquattro mesi, decorsi i quali devono essere convocati i comizi elettorali.
E, ovviamente, nulla assicura che il risultato delle nuove elezioni sia diverso da quello delle elezioni precedenti.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel giugno 2007)

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