venerdì 1 ottobre 2010

UN POPOLO DI COSTITUZIONALISTI PER IL QUALE I FATTI SONO AL SERVIZIO DELLE OPINIONI

La recente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della Legge 23 luglio 2008 n. 124 (comunemente nota come “lodo Alfano”) ha destato non poco scalpore nel mondo politico, anche se, fra gli addetti ai lavori, era attesa, cosicché avrebbe eventualmente destato scalpore una decisione in senso contrario. Gli italiani, nei salotti televisivi come nei bar, si sono improvvisamente trasformati in un popolo di costituzionalisti i quali, tuttavia, mettendo i fatti al servizio delle loro opinioni, hanno dato origine ad una serie di leggende, pervicacemente ribadite ma prive di fondamento giuridico.
Le leggende, in parte accreditate dallo stesso Berlusconi, che vorrei smentire sono tre: la Corte Costituzionale è in contraddizione con se stessa; al Presidente del Consiglio deve essere garantita una particolare tutela perché costituisce l’unica alta carica dello Stato eletta direttamente; la Corte Costituzionale ha smentito il Presidente della Repubblica, che, promulgando il “lodo Alfano”, ne aveva, evidentemente, ritenuto la conformità alla Costituzione.


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Il problema posto dalla prima leggenda, certamente, è il più complesso da spiegare. Come si sa, il “lodo Alfano” (che stabilisce, per le quattro più alte cariche dello Stato la sospensione dei procedimenti penali in corso) era stato preceduto dalla Legge 20 giugno 2003 n. 140 (comunemente nota come “lodo Schifani”). A seguito di questione sollevata dal Tribunale di Milano, tale legge fu dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza del 20 gennaio 2004 n. 24. Fu ritenuto che l’illegittimità fosse fondata sulla violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, riguardanti rispettivamente il principio di uguaglianza ed il diritto di difesa.
Nella sentenza del 2004, nulla, almeno apparentemente, si diceva in ordine al fatto che la sospensione dei processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato dovesse essere prevista da una legge costituzionale, anziché da una legge ordinaria. Nel 2009, di contro, la Corte Costituzionale ha motivato l’incostituzionalità del “lodo Alfano”, per essere stato lo stesso adottato con legge ordinaria, anziché con legge costituzionale.
Premesso questo, si deve ricordare come la sentenza del 2004 non avesse eluso il problema. Al punto 6) di tale sentenza, infatti, si afferma, incidentalmente, che, nel caso in cui si faccia eccezione al principio di eguaglianza, “ha decisivo rilievo il livello che l’ordinamento attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione di diversità può venire in considerazione”.
Ma vi è di più. Nel giudizio di costituzionalità, la Corte Costituzionale è legata ai “termini” della questione di costituzionalità, come viene proposta dal Giudice che la questione stessa ha sollevato (il Giudice a quo, come lo si definisce).
Orbene, per quanto riguarda la sentenza del 2004, il Tribunale di Milano (che aveva allora sollevato la questione) non aveva denunciato la violazione dell’articolo 138 della Costituzione, e cioè la necessità di adottare la norma con legge costituzionale, anziché con legge ordinaria.
Ora, invece, il Tribunale di Milano ed il Tribunale di Roma (che hanno sollevato la questione di costituzionalità del “lodo Alfano”), hanno espressamente lamentato, oltre alla violazione dell’articolo 3 riguardante il principio di uguaglianza, anche la violazione dell’articolo 138, per essere stato il “lodo Alfano” approvato con legge ordinaria, anziché con legge costituzionale.
La necessità, per sancire la sospensione dei processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato, di una legge costituzionale è confermata da due rilievi, uno storico e l’altro comparatistico. Sul piano storico, deve ricordarsi che l’immunità parlamentare, che costituiva una vistosa eccezione al principio di uguaglianza e fu abrogata dalla Legge costituzionale 29 ottobre 1993 n. 3, poteva sussistere in quanto prevista da una norma di rango costituzionale (l’articolo 68 della Costituzione, nel testo allora vigente).
Sotto il profilo comparatistico, non si può tacere che l’immunità di cui gode il Presidente della Repubblica francese, cara ai critici della pronuncia della Corte Costituzionale che l’hanno spesso citata ad esempio, fu introdotta attraverso una modifica della Costituzione, e non attraverso una legge ordinaria.


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E’ palesemente una leggenda anche il fatto che il Presidente del Consiglio dei Ministri sia eletto direttamente. L’elezione diretta del Premier (che è cosa assai rara, essendo stata sperimentata solo in Israele e per pochi anni) in Italia non esiste. Infatti, l’articolo 92, secondo comma, della Costituzione, prevede che “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”.
E’ ben vero che l’articolo 5 della Legge 21 dicembre 2005 n. 270 (l’attuale legge elettorale per la Camera dei deputati ed il Senato) prevede che “i partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come unico capo della coalizione”. Ma è altrettanto vero che la medesima norma dispone anche che “restano ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall’articolo 92, secondo comma, della Costituzione”.
La dottrina esclude che la norma prevista dalla legge elettorale ponga un vincolo giuridico a carico del Presidente della Repubblica. Essa, quindi, non innova i principi ricavabili in precedenza dal sistema.
Infatti, la scelta dell’incaricato a formare il Governo da parte del Presidente della Repubblica è unicamente vincolata dal fine, costituzionalmente imposto, di individuare una personalità in grado di formare un Governo che ottenga la fiducia.


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L’ultima leggenda accreditata è quella secondo cui, dichiarando illegittimo il “lodo Alfano”, la Corte Costituzionale avrebbe smentito clamorosamente il Presidente della Repubblica, che, promulgando tale legge, l’avrebbe ritenuta conforme alla Costituzione.
Tale tesi è doppiamente falsa. Prima di tutto perché tutte le leggi, prima di entrare in vigore, vengono promulgate dal Presidente della Repubblica (e sono ancora in vigore numerose leggi, antecedenti all’ordinamento repubblicano, promulgate dal Re). Si dovrebbe, quindi, pensare che, ogniqualvolta la Corte Costituzionale accoglie una questione di costituzionalità, venga smentito il Presidente della Repubblica che ha promulgato la legge. Ma non è così. Al Presidente della Repubblica non compete il controllo sulla costituzionalità delle leggi, che è riservato alla Corte Costituzionale. Secondo l’articolo 74 della Costituzione, “il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”.
Sulla natura del potere del Presidente della Repubblica di rinviare la legge alle Camere, la dottrina non è univoca. Mentre generalmente si esclude che il rinvio possa essere motivato da ragioni di merito, si ammette invece che esso possa essere determinato da evidenti problemi di costituzionalità. Si è detto, in altre parole, che compito del Presidente della Repubblica non è tanto quello di valutare il contenuto sostanziale della legge, quanto piuttosto le ripercussioni che la stessa potrebbe avere sugli assetti istituzionali o sulla coerenza dell’ordinamento in sé considerato.
Non v’è chi non veda, quindi, come il potere di rinvio sia assai diverso dal controllo di costituzionalità esercitato dalla Corte Costituzionale: in caso contrario, si determinerebbe la possibile continua latenza di un conflitto fra il Presidente e la Corte, in relazione a tutte le leggi che non sono state rinviate dal primo ma che potrebbero essere dichiarate incostituzionali dalla seconda.


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Di altre leggende non mette neppure conto parlare. Ad una moral suasion che il Presidente della Repubblica avrebbe potuto esercitare sui giudici della Corte non si può neppure pensare.
Alla Corte Costituzionale appartengono alcune delle più brillanti menti giuridiche del paese, vanto della nostra cultura giuridica, che non possono essere oggetto di polemiche di basso conio.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nell'ottobre 2009)

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