venerdì 8 ottobre 2010

“SUGLI, SUGLI, BANE, BANE, TU MISCUGLI LE BANANE…”

“Sugli, sugli, bane, bane, tu miscugli le banane; le miscugli in salsa verde, chi le mangia nulla perde”. Sono le parole di una canzoncina demenziale del 1973, che ebbe allora un certo successo, ed era cantata da un gruppo ormai dimenticato , Le Figlie del Vento.
Un nonsense, come si suol dire, che mi è improvvisamente tornato alla mente di fronte al pasticcio della presentazione delle liste elettorali nella Lombardia e nel Lazio. Una vicenda dai risvolti talora grotteschi, che non è certo stata risolta ma, semmai, aggravata dalla contestata emanazione del D.L. 5 marzo 2010 n. 29, contenente l’interpretazione autentica di talune norme del procedimento elettorale.
I problemi giuridici, di tipo costituzionale ed amministrativo, posti dal decreto e dalle decisioni dei Giudici amministrativi sulle vicende delle liste di Lombardia e Lazio sono molteplici e svariati. Io mi limiterò ad alcune rapide ed incomplete considerazioni, dato che, nel momento in cui scrivo (è lunedì 15 marzo) la situazione non è ancora definitivamente assestata. Mi riservo, se necessario, di ritornare sull’argomento fra qualche giorno.
Più che le decisioni giurisdizionali, esaminerò soprattutto il D.L. 5 marzo 2010 n. 29, sul quale vorrei svolgere considerazioni di ordine strettamente giuridico, dopo aver premesso, sul piano politico (ma sarà questa la mia unica valutazione di tale tipo), che è certamente anomalo che il Governo sia intervenuto in materia elettorale, per correggere o risolvere problemi che riguardavano essenzialmente il proprio schieramento politico, con norme, cioè, a suo vantaggio.
Mi spiegherò con un esempio. Nessuno, nel nostro paese di calciodipendenti, considererebbe accettabile che, a campionato già iniziato, si cambiassero le regole del gioco e si riattribuissero, in virtù delle nuove regole, i punteggi delle partite già giocate e si ponessero nel nulla decisioni arbitrali già assunte.
La prima questione che si pone è se sia possibile disciplinare, con un decreto legge, la materia elettorale. In effetti, l’articolo 15, secondo comma, lettera b), della Legge 23 agosto 1988 n. 400, riguardante la decretazione d’urgenza, non consente l’utilizzo dello strumento del decreto legge per disciplinare la materia elettorale. E’ ben vero che la norma in esame è contenuta in una legge ordinaria e non in una legge costituzionale e che, di conseguenza, è astrattamente possibile che un atto avente valore di legge (come un decreto legge), e quindi di pari efficacia, possa derogarvi, non essendo la norma precedente in grado di vincolare la successiva. Ma è altrettanto vero che, secondo la dottrina, la disposizione contenuta nell’articolo 15 esplicita principi già immanenti nel testo costituzionale.
In effetti l’articolo 72, quarto comma, della Costituzione prevede la cosiddetta riserva di assemblea per le leggi in materia elettorale che, conseguentemente, non possono essere abrogate o modificate se non da leggi approvate in assemblea, escludendosi l’approvazione in commissione. A fortiori, quindi, il principio dovrebbe applicarsi ai decreti legge.
Il decreto in esame, poi, contiene disposizioni interpretative di norme del procedimento elettorale. L’ipotesi di un decreto legge che contenga norme interpretative di una legge precedente è certamente inusuale. Ma non mancano, nella prassi, contrariamente a quanto si è detto in questi giorni, decreti interpretativi (si veda, da ultimo, l’articolo 17, secondo comma, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, in materia fiscale).
In termini generali, è autentica l’interpretazione che proviene dallo stesso autore del precetto interpretato. Si dice comunemente di interpretazione autentica una legge che stabilisce (successivamente) quale significato deve essere attribuito ad un (precedente) enunciato legislativo.
La naturale retroattività riconosciuta a tali leggi può celare – dietro lo schermo dell’interpretazione autentica – interventi legislativi finalizzati in concreto, come nel caso in esame, ad interferire con la funzione giurisdizionale. Da qui i vari tentativi, operati dalla dottrina, e volti a circoscrivere l’efficacia ex tunc delle leggi interpretative, attraverso il richiamo a limiti di carattere costituzionale, come il principio di irretroattività in materia penale e in materia tributaria, il divieto di irragionevoli disparità di trattamento, il principio di tutela dell’affidamento, il divieto di interferenze con processi in corso o con decisioni passate in giudicato.
A ciò deve aggiungersi che talune disposizioni contenute nel decreto legge, oltre ad essere, per così dire, la fotografia delle due situazioni concrete della Lombardia e del Lazio (con probabile conseguente violazione del principio di uguaglianza), appaiono palesemente innovative e non interpretative.
Ma il decreto legge, pone un terzo problema di costituzionalità. E si tratta, probabilmente, del più significativo, dato che ha determinato la decisione del T.A.R. per il Lazio.
E’ da rammentare che l’articolo 122, primo comma, della Costituzione, sostituito dalla Legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, sancisce che “il sistema di elezione” regionale è disciplinato, unitamente ai casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, “con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”; le disposizioni attuative di tale precetto costituzionale sono state poi adottate con la Legge 2 luglio 2004, n. 165. In tale contesto normativo è stata così adottata la L.R. del Lazio 13 gennaio 2005, n. 2 che ha recepito la normativa statale in materia elettorale. Su questa base, ha deciso il T.A.R. per il Lazio.
Assume il Giudice amministrativo che la normativa statale non potrebbe dispiegare efficacia nell’ambito della Regione Lazio in quanto quest’ultima, in attuazione del disposto dell’articolo 122 della Costituzione, avrebbe ormai esercitato la competenza ad emanare una propria disciplina (nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica). E’ infatti pacifico, anche sulla base della giurisprudenza costituzionale, che la previgente disciplina statale possa continuare ad applicarsi integralmente solo alle Regioni che non abbiano ancora esercitato la propria potestà normativa. Una volta esercitata la competenza regionale, la disciplina di dettaglio del proprio sistema di elezione e delle relative procedure spetterebbe alla Regione anche se, come nel caso del Lazio, la Regione si sia limitata ad un rinvio recettizio alla normativa statale.
Orbene, la Regione Lazio ha deciso di proporre ricorso in via principale, contro il decreto legge, alla Corte Costituzionale; e pare che anche altre Regioni siano intenzionate a seguirla sulla medesima strada. Ovviamente, una Regione non potrà lamentare un uso scorretto del potere di interpretazione autentica o dello stesso strumento della decretazione d’urgenza, se non dimostrerà che ciò ha interferito, limitandole, con le competenze costituzionalmente riconosciute alle Regioni dal già citato articolo 122 della Costituzione.
La questione, giuridica e non politica, è quindi ben lungi dall’essere conclusa. Anche se – come si sa – il tanto discusso decreto legge non ha trovato, dopo le polemiche suscitate, concreta applicazione né nel caso della Lombardia, né in quello del Lazio, è difficile che il Governo possa abbandonarlo al proprio destino, non facendolo convertire in legge dal Parlamento. Esso, infatti, pare abbia trovato applicazione in altri casi che non hanno suscitato il medesimo clamore di quelli della Lombardia e del Lazio.
Se, quindi, il decreto non fosse convertito, il pasticciaccio brutto delle liste sarebbe destinato ad accrescersi in modo esponenziale, con conseguenze forse oggi imprevedibili.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel marzo 2010)

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