venerdì 1 ottobre 2010

NON DIMENTICARE GLI ANNI DI PIOMBO

Oggi 9 maggio, trentunesimo anniversario dell’assassinio di Aldo Moro, si ricordano, con una apposita “Giornata” le vittime del terrorismo.
Le giovani generazioni, ormai, non hanno personale memoria degli anni ’70 e dei primi anni ’80, quando, in un contesto economico assai difficile (l’inflazione giunse a toccare il 23% su base annua), le strade del nostro paese furono bagnate di sangue. Furono uccisi, o anche soltanto “gambizzati” (il che, il più delle volte, significava restare storpi per tutta la vita) magistrati, avvocati, giornalisti, carabinieri, poliziotti, guardie carcerarie, uomini politici di rilievo e non.
Ricordarli tutti sarebbe impossibile. Sarebbe un rosario di nomi che occuperebbe molte colonne di questo giornale.
Fra tutti, desidero fare un solo nome, quello di Maurizio Puddu, consigliere provinciale democristiano di Torino. Fu “gambizzato” dalle Brigate Rosse (e non era certo un esponente dello Stato Imperialista delle Multinazionali, come dicevano, nel loro fumoso linguaggio ideologico, le BR). Feci la sua conoscenza nel lontano 1978. Era invalido, camminava con due bastoni, e, tuttavia, con una serenità che destava ammirazione, cercava di condurre una vita normale (lo conobbi, infatti, in un convegno, in Germania, dove, con grande fatica, era arrivato in aereo). E’ scomparso lo scorso anno, quasi ottantenne, dopo aver dedicato trent’anni di attività all’Associazione delle vittime del terrorismo, purtroppo quasi completamente dimenticato da questa seconda Repubblica, i cui eroi sono, al massimo, i protagonisti del “Grande fratello”.
Di quegli anni ancora ricordo l’ansia con cui, tornato a casa per pranzo, ascoltavo il telegiornale delle 13, ogni giorno con il timore che vi fossero nuove vittime. Ricordo anche come, ad ogni scoperta di un covo brigatista, tremavo al pensiero che potesse essere coinvolto qualche amico o conoscente dei tempi dell’università.
Un’intera generazione, infatti, è stata travolta dagli anni di piombo.
Tanti anni sono passati. Ma, soprattutto quando mi capita di rivedere su youtube i filmati dell’epoca, cosa che consiglio a tutti di fare, devo ribadire a me stesso come sia ripugnante l’atteggiamento di chi ormai tratta i terroristi come reduci di una guerra, perduta ma comunque gloriosa, invitandoli a convegni, dibattiti, tavole rotonde, dimenticando che sono assassini, il più delle volte non pentiti.
Gli anni del terrorismo hanno lasciato anche ferite profonde nella società che, in tanti protagonisti di quegli anni, non sono state cancellate dall’edonismo di quella che ormai siamo abituati a chiamare seconda Repubblica.
Particolare significato avrà, quindi, l’incontro, previsto per oggi al Quirinale, in occasione della cerimonia nella quale Napolitano ricorderà le vittime del terrorismo, fra la vedova di Giuseppe Pinelli e la vedova di Luigi Calabresi, le cui vite si sono incrociate quarant’anni fa, ma che non si sono mai incontrate sinora.
Giuseppe Pinelli, ingiustamente accusato di essere l’autore della strage di Piazza Fontana, e Luigi Calabresi, ingiustamente additato come l’assassino di Pinelli. Il primo morto per un malore (come fu accertato dalla sentenza del Giudice istruttore D’Ambrosio), il secondo freddato sotto casa da un commando di terroristi, dopo essere stato bersaglio di una campagna di stampa durata anni.
Di Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi, ci dà un toccante ritratto il figlio Mario Calabresi (giornalista, da poco nominato direttore del quotidiano “La Stampa”) nel suo libro autobiografico “Spingendo la notte più in là”, pubblicato lo scorso anno, in occasione del trentacinquesimo anniversario della morte del padre.
Mentre leggi il libro, ti prende un gran groppo alla gola per la delicatezza e la profondità con cui Calabresi descrive il dolore e il senso di vuoto che prende chi si trova con un marito o un padre ammazzato per strada negli anni di piombo.
Davvero un libro bellissimo, da leggere, per non dimenticare.


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel maggio 2009)

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