venerdì 8 ottobre 2010

SONO SCIOCCHEZZE, MA A VOLTE RITORNANO

Nella seconda metà degli anni ottanta, raggiunse il suo culmine in Italia quel sistema politico al quale, sin dal lontano 1949, un costituzionalista ormai dimenticato, Giuseppe Maranini, in una prolusione all’Università di Firenze, aveva dato il nome di partitocrazia.
Era un sistema politico in cui il potere aveva il suo centro effettivo nei partiti, e non già negli organi previsti dalla Costituzione e dalle leggi.
Nelle istituzioni locali, le scelte effettive non erano assunte dagli organi amministrativi (giunte e consigli comunali e provinciali), dopo dibattiti aperti e trasparenti, ma nelle stanze piene di fumo (all’epoca non esistevano divieti di sorta) delle segreterie e delle direzioni dei partiti, ovvero nei conciliaboli dei capi corrente. Alle istituzioni (giunte e consigli) toccava poi il compito di tradurre in atti amministrativi le decisioni che erano state assunte, nella sostanza, altrove. I consiglieri non consigliavano affatto, limitandosi il più delle volte a votare, ratificandole, scelte preconfezionate.
Il sistema ricordava quello degli stati socialisti (all’epoca, il muro di Berlino non era ancora caduto), in cui la struttura dello Stato veniva subordinata ad un partito unico, con la differenza che non vi era un partito unico, ma una coalizione di partiti, con altri partiti all’opposizione.
In questo clima, qualcuno, a Cremona, inventò quelle che furono definite le giunte politiche. Le giunte (comunali e provinciali), in altre parole, si riunivano periodicamente con la partecipazione dei segretari dei partiti della coalizione che sosteneva le giunte stesse. Si trattava di persone del tutto estranee all’Amministrazione che però avevano un ruolo assolutamente determinante nella formulazione delle scelte che l’Amministrazione stessa era chiamata ad assumere.
Grazie al cielo, le giunte politiche ebbero vita breve. Le elezioni amministrative del 1990 segnarono, anche a Cremona, l’inizio di una crisi irreversibile del pentapartito, che, entro pochi anni, sarebbe stato travolto dalla bufera di tangentopoli.
Contemporaneamente, l’entrata in vigore, poco dopo le elezioni, della Legge 8 giugno 1990 n. 142 (sull’ordinamento delle autonomie locali) innescò un circuito virtuoso, restituendo alle istituzioni il ruolo previsto dall’ordinamento, finché, con la Legge 25 marzo 1993 n. 81, fu introdotta l’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti della Provincia.
Da allora, di giunte politiche nessuno parlò più e le stesse furono rapidamente dimenticate, senza che nessuno le rimpiangesse.
Con stupore, quindi, ho letto su La Cronaca, sempre attenta agli sviluppi della politica locale, delle polemiche che, nell’ambito del Comune di Cremona, sono sorte in ordine alla convocazione di cosiddette giunte allargate cui partecipano anche i capigruppo delle forze politiche, presenti nel Consiglio Comunale, che sostengono il Sindaco e la Giunta.
Le giunte politiche, scomparse vent’anni fa, sono quindi riemerse dalle nebbie di un lontano passato nella rinnovata veste di giunte allargate.
Le giunte allargate sono meno scandalose delle infauste giunte politiche (i capigruppo sono pur sempre consiglieri comunali), ma pongono egualmente il problema della legittimità della partecipazione di estranei ad organi amministrativi collegiali.
Come ha ritenuto il Consiglio di Stato (Sezione VI, 21 ottobre 1996, n. 1367), costituisce principio generale il fatto che, negli organi collegiali, la partecipazione di persone estranee, anche se limitata alla sola presenza fisica, costituisce motivo di invalidità delle deliberazioni assunte dall’organo.
Il T.A.R. per la Campania (Napoli, Sezione III, 19 febbraio 1991, n. 39), con assoluta rigidità, ha affermato che “l’intervento – anche sotto il profilo di semplice presenza, senza alcuna partecipazione attiva alla discussione – alle sedute di un organo collegiale, di persona che non fa parte della sua composizione legislativamente prevista, vizia gli atti adottati dall’organo stesso e ciò in quanto anche il semplice atteggiamento ovvero l’espressione assunta dall’estraneo può influenzare le determinazioni dei singoli membri del collegio”.
In modo altrettanto rigido si è espresso il T.A.R. per il Lazio (Latina, 5 maggio 2006, n. 311): “La presenza in seno alla seduta consiliare di un membro non autorizzato a farvi parte per difetto di status comporta che tutta l’attività amministrativa svolta in tale sede risulta inficiata sin dall’origine, riverberandosi sulla corretta costituzione dell’organo collegiale, e quindi sulla sua stessa legittima composizione, che, per tale ragione, viene a difettare del necessario requisito della rappresentatività, il quale deve esistere a priori ed a prescindere dal concreto esito che le votazioni avrebbero potuto avere sia pure in assenza del soggetto estraneo al plesso”.
La dottrina, a sua volta (Verbari, Organi collegiali, in Enciclopedia del Diritto), ha affermato che “La presenza di estranei alle adunanze del collegio impedisce l’imputazione giuridica della fattispecie all’organo. La partecipazione di estranei, tranne che ciò non sia espressamente consentito dalle norme, è fatto che non permette il venire in essere del rapporto organico. Ciò perché vengono introdotti nella riunione del collegio interessi particolari se non personali, non previsti dalle norme. Il soggetto che partecipa alla riunione senza essere incardinato nel collegio come componente sostanzia un centro di imputazione di interessi non istituzionalizzato dalle norme”.
Ma la cosa che maggiormente stupisce è un’altra. Nessuno, in modo particolare dell’opposizione, ha criticato, se non con un fragoroso silenzio, questa poco commendevole prassi delle giunte allargate.
Infatti, il vero problema dell’ordinamento costituzionale italiano (evito deliberatamente di usare la stucchevole espressione riforme) sembra essere quello di ricostituire le condizioni perché si affermi e si consolidi l’indipendenza delle istituzioni governanti dai partiti e dai movimenti politici, dalle cui invadenti ingerenze le istituzioni stesse devono essere poste al riparo.
Ma questo è un problema che riguarda tutti, chi governa e chi fa opposizione (ed è destinato a governare domani).
(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel febbraio 2010)

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