lunedì 22 agosto 2011

IN DIFESA DELLA PROVINCIA

Ciclicamente riemerge, nel dibattito politico, l’affermazione della necessità di abolire le Province. Si sostiene, da parte di non pochi osservatori, che le Province sarebbero macchine mangiasoldi e che la loro abolizione consentirebbe l’eliminazione di sprechi e notevoli risparmi nell’ambito della spesa pubblica.
Questa tesi, reiteratamente ribadita negli ultimi tempi, è, senz’ombra di dubbio, una mistificazione.
Prima di tutto perché la Provincia è prevista dalla Costituzione, all’articolo 114. E’ un elemento costitutivo della Repubblica, intermedio fra il Comune e la Regione, tendenzialmente alternativo alla città metropolitana (che, prevista sin dal 1990, non ha ancora trovato, ad oggi, concreta attuazione). Si tratta di un ente di governo di area vasta, presente in diversi ordinamenti europei: basti pensare ai dipartimenti francesi, alle contee inglesi, alle province spagnole, ai kreis tedeschi.
Nell’ordinamento italiano, l’istituzione provinciale ha avuto una storia contraddistinta da una perdurante incertezza in ordine al ruolo da riconoscere all’ente per l’autogoverno delle collettività territoriali ed alla valenza che, di contro, la circoscrizione provinciale (mutuando, in questo, il modello francese) aveva assunto quale livello di decentramento dell’amministrazione statale, fondato peraltro su delimitazioni territoriali sovente artificiose.
L’avvento delle Regioni, nel 1970, mise fortemente in discussione il livello di autogoverno provinciale. Si fece, infatti, risaltare, soprattutto per iniziativa di Ugo La Malfa, la valenza, per così dire sostitutiva e alternativa, del nuovo livello di governo regionale, nei confronti di un ente di area vasta, intermedio fra Comuni e Regioni.
I dubbi e le incertezze furono superati dapprima con la Legge 8 giugno 1990 n. 142 (che riformò l’ordinamento delle autonomie locali) e poi con il D. Lgs. 31 marzo 1998 n. 112 (noto come Legge Bassanini), che segnarono un deciso rafforzamento delle competenze provinciali. Oggi il settore di intervento più significativo delle Province è quello della tutela e valorizzazione del territorio e dell’ambiente.
Al ruolo di amministrazione attiva della Provincia, si affianca un complesso di compiti di programmazione e pianificazione che fanno dell’ente uno snodo determinante per le attività programmatorie dei vari livelli di governo.
Attese le competenze proprie delle Province, abolire tali enti non appare sicuramente facile. Si abolirebbero certamente gli organi, ma non si potrebbero ovviamente sopprimere le funzioni, che dovrebbero essere redistribuite fra Comuni e Regioni. I Comuni, per la loro dimensione limitata, non sarebbero certamente in condizione di esercitare le funzioni di un ente di area vasta come la Provincia. Dal lato opposto, nelle Regioni, soprattutto in quelle di maggiori dimensioni, con l’accentramento delle competenze provinciali, si verrebbe a creare una struttura amministrativa assai complessa, probabilmente a danno dell’efficienza.
Se, invece, come penso, si vogliono essenzialmente ridurre i costi, di ordine generale, che il funzionamento delle Province comporta, altre sarebbero, a mio parere, le misure da adottare (con legge o con atti amministrativi).
Gli organi delle Province (Consiglio e Giunta) potrebbero tranquillamente essere dimezzati: non si vede perché a Cremona, tanto per fare un esempio, il Consiglio non potrebbe scendere da trenta a quindici consiglieri. Non si vede perché, poi, la Giunta, da dieci componenti non potrebbe essere ridotta a cinque, il Presidente e quattro assessori, dato che oggi le deleghe assegnate a qualche assessore sono inconsistenti, improbabili ovvero riguardano materie estranee alle competenze dell’ente.
Si dovrebbe poi abolire il Presidente del Consiglio provinciale: le sedute del Consiglio potranno tornare, come un tempo, ad essere presiedute dal Presidente della Giunta.
Negli enti di maggiore dimensione, laddove esistano, si dovrebbero eliminare le strutture che le Province mettono a disposizione dei gruppi consiliari (e cioè dei partiti).
Un Consiglio più snello consentirebbe, poi, di abolire le Commissioni, con l’accentramento nello stesso Consiglio di ogni attività, comprese quelle che oggi normalmente si affidano alle Commissioni.
Se, come previsto dalla legge sin dal 1990, si introducessero finalmente le Città metropolitane, potrebbero essere abolite le Province coincidenti con tale nuovo ente (che sarebbe, cioè, una sorta di Comune-Provincia per le aree metropolitane più ampie).
Potrebbe, infine, essere presa in considerazione la possibilità di sopprimere le Province istituite negli ultimi anni che hanno, tutte, un ambito territoriale assai ridotto, con il ritorno al numero di Province esistenti nel 1970, al momento dell’entrata in funzione dell’ordinamento regionale.
Soprattutto, infine, occorrerebbe accentrare nella Provincia, come ente di area vasta, tutte le funzioni che attualmente sono affidate ad enti di carattere provinciale, subprovinciale o sovracomunale (come, ad esempio, le Comunità montane).
Secondo me, anche le stesse A.S.L. (ma non gli Ospedali), attualmente governate da Direttori generali di nomina regionale (figura ibrida di funzionari politici) potrebbero essere affidate al livello di governo provinciale.
Con misure di questo tipo, le spese generali si ridurrebbero in modo apprezzabile e si otterrebbe, contemporaneamente, il risultato di completare il disegno costituzionale della Provincia intesa come ente autonomo necessario e direttamente rappresentativo della comunità locale.


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel luglio 2011)

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